Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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LA NONNA

I

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LA NONNA

 

I

 

— La nonna! —

La chiamavano tutti così, anche coloro che la conoscevano appena, e le volevano bene tutti, anche coloro che la conoscevano soltanto di vista e di nome. Bastava vedere quella rubizza vecchina, con gli abbondanti capelli bianchissimi che le facevano un'aureola di argento attorno a la testa, vestita di nero con dignitosa eleganza, sempre circondata da un allegro nugolo di nipotini, per sentirsi riempire sùbito il cuore di rispettosa tenerezza.

Magra, bruna, piena di rughe, con occhi ancora belli non ostante i suoi settantatrè anni, con bocca anche più bella quando sorrideva o benevolmente ammoniva, con mani scarne sì ma piccole e delicate, svelta e vivace tuttavia nei movimenti, nei gesti, nella parola, la signora Adelaide Tocci-Memili, ogni volta che compariva nei salotti del figlio o del genero, strappava un grido di ammirazione fino ai giovinotti che non sogliono avere molti riguardi per la vecchiezza.

Come doveva essere stata bella in gioventù!

— È più giovane di noi! — dicevano la figlia e la nuora.

Infatti i bambini, appena la vedevano arrivare, cessavano di fare il chiasso e le si radunavano attorno, solleciti soltanto di averne i baci, le carezze e di sentirla parlare. I piccini le si arrampicavano addosso, le cingevano il collo coi braccini; gli altri le facevano corona, sorridenti, lieti di averla in mezzo a loro quasi fosse una bambina loro pari, e si aggrappavano alla veste, alle mani di lei chiamandola: Nonnetta! Nonnina! Nonnettina! con accento più vezzeggiativo della parola; e se la contendevano appena si moveva per la casa; e mettevano il broncio se la nonnetta, la nonnina, la nonnettina, un po' stordita dalla festosa accoglienza, non aveva badato abbastanza alle dimostrazioni di affetto di qualcuno di loro.

Nonna, non mi vuoi più bene?

— Ma sì, carina!

Nonnetta, perchè non mi hai fatto una carezza?

— Eccola; siete tanti, bambino mio; mi confondo.

— E a me non mi dici niente, nonnina?

— Ti dico che sei bella: sei contenta? —

E sorrideva, e accarezzava, e tornava a baciare, e aveva una parolina dolce per questo, un'occhiata affettuosa per quella, un cenno per quell'altro, un gesto gentile per qualcuna che rimaneva un po' indietro e non riusciva a farsi largo fra i più vivaci.

Resti a desinare con noi?

— Se la vostra mamma mi vuole.

— Ti vogliamo noi, nonnina! — urlavano tutti in coro.

Allora ella soleva aggiungere:

— La mamma dice che non ce n'è a sufficienza anche per me.

— Ti cedo la mia parte.

— La mia!

— La mia! —

Era una gara chiassosa che divertiva sempre i bambini, quantunque sapessero che la nonna dicesse così per ischerzo.

Viveva sola, in casa propria, per non destar gelosia tra il figlio e la figlia, tra il genero e la nuora, i quali, un po' per affetto, un po' per interesse, avrebbero voluto indurla ad abitare insieme con loro.

— Non posso dividermi, e perciò sto qui. E poi, voglio la mia libertà — ella rispondeva sorridendo alle sollecitazioni del figlio e della figlia, che non lasciavano mai sfuggirsi la più piccola occasione per tornare all'assalto.

— Sono sana, robusta, e non sono rimbambita; ho una serva che sta con me da quarant' anni, un servitore che è invecchiato in casa mia, e non ho punta fretta di morire. Ci sto bene in questo mondo, ci sono stata sempre bene, grazie a Dio. Ho anche dei difettucci, qualche innocente debolezza di vecchia, e che non può garbare a tutti; ho abitudini di altri tempi che mi piace conservare; e mi renderei incresciosa in casa vostra, dove vivete alla moderna. Io, per esempio, voglio vedere i miei vecchi mobili attorno a me: non sono belli ma mi ricordano tante cose. Quando vengo da voi, mi sento spostata. Che posso farci? Sono così, e sarebbe inutile tentar di mutarmi.

Parlava con voce dolce, persuasiva, non senza un lieve accento di tristezza, perchè in quella gara di offerte e di preghiere che facevano figlio e nuora, figlia e genero, ella scorgeva che non si trattava soltanto di affetto, ma anche d'interesse, e prevedeva il male che avrebbe fatto consentendo di abitare insieme col figlio o con la figlia, poichè non poteva farsi in due parti uguali e contentare tutti e due in una volta.

Quando si era accorta che anche tra i nipotini si faceva strada un senso di interessata gelosia, forse perchè avevano udito certi discorsi in famiglia, proibì assolutamente al figlio, alla figlia, alla nuora e al genero di riparlare più mai di quella loro sciocca proposta. E un giorno che Gabriele, il primogenito del figlio, aveva mostrato di pretendere qualcosa di particolare dalla nonna, e che non doveva essere concessa ai cuginetti, perchè quelli non si chiamavano con lo stesso cognome, ella era stata molto severa con lui, tanto che il bambino si era messo a piangere ed era andato a dire al babbo che la nonna non gli voleva più bene.

Occorse un'ultima spiegazione, e da allora in poi la nonna fu lasciata in pace.

Andava a giorni fissi, in casa del figlio e della figlia. Riuniva le due famiglie in casa sua nelle grandi solennità del Natale, del capo d'anno, della Pasqua, dell'onomastico e del compleanno; le invitava nel settembre, per una quindicina di giorni, in campagna in una bella villa portata in dote da lei al marito e dove ella passava, tutti gli anni, l'estate; non faceva un regalo a una delle due famiglie senza farne uno identico, e lo stesso giorno, all'altra; e sarebbe morta contenta di esser riuscita nella difficile impresa di mantenere la pace e l'armonia tra quelle persone a lei care, se non fosse avvenuto un caso che fece crollare improvvisamente il bel congegno da lei tessuto e tenuto su con tanta cura.

La nonna aveva preso marito un po' tardi, a trentacinque anni, e i figli erano venuti un po' tardi anch'essi. Il marito era morto pochi anni dopo il matrimonio della figlia e quando il figlio già avvocato e con tante belle speranze di fortuna, pensava anche lui a crearsi una famiglia.

La nonna soleva dire

— Tutto vien tardi in casa nostra, ma per compenso tutto dura più a lungo; guardate me. —

Si compiaceva della sua vegeta vecchiezza; era felice dell'affetto e del rispetto dei figli, della nuora e del genero, ed era matta a dirittura, lo ripeteva spesso, dei nipotini.

D'un avvenimento doloroso di casa sua ella non parlava mai, ma ci pensava sempre. Una delle sue figliuole aveva voluto fare un matrimonio capriccioso, senza curarsi degli avvertimenti e dei consigli dei genitori, e il babbo e la mamma l'avevano abbandonata alla triste sorte che ella aveva scelto. Quella figliuola era stata considerata come morta. La nonna, quand'era sola, specie la sera, a letto, e nelle notti che non poteva prender sonno, piangeva della disgrazia della sua infelice creatura, si rimproverava la sua eccessiva rigidezza, ma voleva mantenere la promessa fatta al marito al letto di morte, di non permettere che quella cattiva figliuola mettesse più piede in casa loro. Eppure la povera signora si sarebbe lasciata indurre a venir meno a quella promessa, e a perdonare, se la disgraziata non fosse stata orgogliosa e non si fosse ostinata a soffrire, a morire di fame, piuttosto che umiliarsi. Veramente questo suo orgoglio non riguardava tanto la mamma, quanto il fratello e la sorella che si erano mostrati quasi crudeli con lei.

— Mi tengono per morta? Voglio essere come morta davvero! —

Or un giorno la nonna ricevette una lettera, raccomandata con francobolli stranieri, e con la soprascritta di una mano che non riconosceva.

La lettera diceva così:

 

« Mamma mia,

«Fra qualche giorno non sarò più. Morrò senza il tuo perdono. Le mie sventure, le mie sofferenze mi hanno punita abbastanza; mi sento quasi perdonata. Lascio una creaturina di dodici anni, che porta quasi il tuo nome e che è anche sangue tuo. Raccomando a te la povera orfanella. Io sono stata disubbidiente; ma questa creaturina non ha fatto male a nessuno. Non punirla per colpa della mamma! Gli ultimi miei aneliti di vita saranno un ringraziamento e una preghiera per te....»

 

La nonna dovette interrompere la lettura; le lagrime le impedivano di andare avanti. Si inginocchiò dinanzi il quadro della Madonna, chiese perdono della durezza mostrata verso la figlia; poi andò in salotto dov'era un bel ritratto del marito, gli parlò, quasi fosse stato vivo, e le parve di sentirlo rispondere dentro il suo stesso cuore. Si asciugò le lagrime, non disse niente a nessuno: chiamò il vecchio servitore, gli diede le istruzioni necessarie, il danaro occorrente e lo fece partire lo stesso giorno per andare a prendere la bambina.

Solamente, un giorno essendo a pranzo dal figliuolo, e parlando del proprio onomastico che sarebbe stato fra pochi giorni, si lasciò scappare di bocca, rivolta ai nipotini:

Vedrete che bel regalo vi farò quel giorno!

— Che regalo, nonnina! Anche ai cugini?

— A tutti, a tutti; vedrete.

Non volle dir altro.

In quei quattro giorni i bambini smaniarono di curiosità, tentavano tutti i mezzi per strapparle il segreto. E siccome Matilde, insistendo più degli altri, voleva almeno sapere se il regalo per lei sarebbe stato una bella bambola, la nonna, le disse:

— Sì, una bambola che parla, che si muove, che mangia e che sa fare tante cosine meglio di te.

— E a me? — domandò allora Gabriele.

— E a me?

— E a me? —

Tutti le erano d'attorno con baci, carezze, moine, preghiere.

— Sarà un unico regalo, per tutti!

— E come faremo a divertirci tutti con una sola bambola?

— Ve lo insegnerò poi.

Dovrò baloccarmi con la bambola anche io? — disse Gabriele, che voleva fare l'omino.

— Certamente; e ne sarai più contento degli altri. —

E vedendola sorridere, e nello stesso tempo asciugarsi gli occhi riempiti improvvisamente di lagrime, i nepotini erano rimasti dubbiosi se dovevano credere o no, e la loro curiosità era diventata impazienza importuna; volevano, a ogni costo, dai loro babbi e dalle loro mamme, la spiegazione dell'indovinello.

Matilde, che era la più smaniosa, si credeva burlata:

Babbo, può mai essere? Una bambola che parla, che si move, che mangia e che sa fare tante cosine meglio di me?

— La nonna non dice bugie — le rispose il babbo serio serio, non sospettando affatto di affermare proprio la verità.

La notte precedente l'onomastico, i bambini non chiusero occhio. Da un lettino all'altro si domandavano

— Che sarà? —

E nessuno di loro trovava una spiegazione soddisfacente.

 


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