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15. La mamma in pensiero per Menu.
In quella settimana Menu aveva compiuto il corso elementare. Le scuole si erano chiuse.
«Che ne faremo di questo ragazzo?» si domandava il nonno.
Ne parlò un giorno, alla Nicchiara, con lo Sciancatello, mentre questi faceva merenda con pane e cipolla.
«Non vedete che abbiamo bisogno di braccia per l'agricoltura? Mandatemelo qui. Deve prendere amore alla terra».
«È già grandicello. Ha dieci anni».
«Io, se avessi un figlio di quest'età, gli metterei la zappa tra le mani. Contadini siamo e contadini dobbiamo rimanere. Qualcuno di quelli tornati dalla Merica è già pentito di esservi andato, se voi non lo sapete».
«Si adatterà, dopo di essere stato a scuola?»
«Per ora ha le mani delicate, ma soltanto le mani coi calli, come queste mie, dànno il pane e le vesti».
«La terra è divenuta ingrata, caro compare!»
«E diventerà peggio, se noi non ci rompiamo la schiena a coltivarla. La settimana scorsa è tornato da soldato il figlio di mio cugino Zangàra. Dice che lassù, nella Talia, le campagne sono lavorate e anniaffiate come un giardino, e non valgono le nostre. Hanno fin gli aratri a macchina lassù. Vorrei vederli su questa costa sassosa... Braccia qui ci vogliono... Ah! la Merica maledetta! Ci porta via la gioventù. Per questo, dice, che là sono tutti ricchi; si arricchiscono a spese dei nostri figli».
«È vero. Danari però, non possiamo negarlo, ne vengono. E perciò tutti sono presi dalla pazzia d'andarsene là. Se non avessi cinquant'anni sulle spalle, forse farei la pazzia anch'io, per provare almeno».
«Chi cangia la vecchia per la nova peggio trova!»
«Intanto pensiamo al ragazzo».
«Vorrei consultarmi col dottor Liardo; è uomo di esperienze e vuol bene a Menu».
«Date retta a me; mandatemelo qui. Contadini siamo e contadini dobbiamo rimanere, vi ripeto. E il ragazzo che dice?»
«Niente. Sempre coi libri in mano, anche ora che non può più andare a scuola. Ha preso la medaglia di argento l'anno scorso, e credo che l'avrà anche quest'anno».
Allo zi' Santi sembrava di fare una cattiva azione mandando Menu in campagna, dopo di aver commesso lo sbaglio - diceva così - di metterlo a scuola. La mamma aveva provveduto che suo figlio non scomparisse pei vestiti, pei libri, pei quaderni, per tutto.
Vedendolo attento allo studio, voluto bene dal maestro, lo aveva abituato a certe delicatezze, come si fa con una pianticina che richiede cure speciali, minute. E perciò il nonno talvolta scherzando, lo chiamava: il signorino.
Mamma e nonno si compiacevano di vederlo serio, attento, ordinato, poco amante di mescolarsi ai giuochi ed ai divertimenti degli altri ragazzi. Se avessero saputo quel che macchinava quella testolina da alcuni mesi in qua! La mamma, che quando egli stava in casa, a tavolino, con davanti certi libri, prestatigli da un giovanetto suo amico, andava e veniva dalla stanza quasi per covarlo con gli occhi, cominciava un po' a rimpensiersi di vederlo muto più del solito, con una lieve ruga tra le sopracciglia specie quando egli, smesso di perdere gli occhi su quei libri pieni di santini, come essa chiamava le illustrazioni, si dava a passeggiare su e giù, con le braccia dietro la schiena, la testa un po' indietro e gli occhi socchiusi, quasi inseguisse qualcosa con la fantasia. Quei libri le ispiravano diffidenza.
Una volta, nell'assenza di Menu, si era messa a sfogliarli e a osservare santini. Stentava a raccapezzarsi, lei che non sapeva leggere, con quelle figure di gente strana, mezza ignuda, armata di lance, con quegli animali feroci che pareva assalissero quei disgraziati, con cert'altri animali che sembravano brutti uomini con la coda e si spenzolavano dai rami degli alberi, o con mostri che uscivano dall'acqua con tanto di bocca spalancata simili a certe lucertole squamose...
Altro che santini!
«Devono mettergli paura», pensava. «Ecco perché il ragazzo si leva da tavolino così sbalordito!»
E raccomandava al figliuolo:
«Lascia di leggere cotesti libracci».
La povera donna si rassegnava alla sua ignoranza, ma rimaneva diffidente.
Menu, senza dir niente alla mamma e al nonno, aveva scritto ai suoi fratelli:
«Vorrei venire anch'io in America. Qui non so più che fare, ora che ho terminato le elementari. Verrei di nascosto della mamma e del nonno, che, se sapessero la mia intenzione, non mi lascerebbero partire. Dovresti mandarmi il danaro con la posta, direttamente a me, per il viaggio; o mandarmelo con qualcuno fidato che ritorna a Ràbbato. La mamma piange perché non scrivete; il nonno non dice niente, ma è addolorato anche lui. Se fossi costì, scriverei io alla mamma e al nonno, una volta la settimana; e sarebbero contenti. Il nonno va alla Nicchiara; ha dato il fondo a mezzadria a compare Lisi lo Sciancatello. Se vi bisognasse qualche cosa ve la porterei io...»