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- Dove volete andare, poveretta? A Mineo non avete casa. O che siamo turchi, senza carità? Darete una mano nelle faccende, quando potrete.
La massaia le aveva detto così, dopo aver udito le tristi avventure di quella donna.
- Ho voluto venire a morir qui! Almeno mio figlio mi chiuderà gli occhi! - ella ripeteva.
- Fatevi coraggio! - aveva soggiunto massaio Turi.
- È vero; chi deve patire non muore!
Massaio Turi, per consolarla, si mise a fare l'elogio di Scurpiddu.
- Bravo ragazzo! Attento, ubbidiente: allegro poi! Ora apprende anche a lèggere. Basta che una volta gli si dica: - Devi fare così! - Non se ne dimentica più. Gli vogliono tutti bene qui. Non gli ho dovuto mai dare uno scappellotto, né sgridarlo. È una meraviglia, per la sua età.
E raccontò pure come lo aveva trovato quella sera, stracciato e morto di fame, proprio un'anima del purgatorio!
- Sentite come fa trillare lo zùfolo oggi? È lui che suona, lassù.
Ella guardò inutilmente verso il punto indicato. Tutta la costa era inondata di sole, come la terrazza dove stavano a discorrere lei e quei due benefattori: non li chiamava altrimenti.
Ma ella, avvolta nella mantellina di panno, già ricominciava a sentire, nonostante il sole, il ribrezzo della febbre che l'assaliva.
- Andate a buttarvi sul letto. La massaia vi farà un decotto di erbe, che è una santa cosa.
Così la povera donna era rimasta anche lei nella masseria; e, quando poteva, dava una mano nelle faccende. Spazzava le stanze, mondava il frumento da portare al mulino, ripuliva le erbe per la minestra della cena, aiutava la massaia a governare le galline, a raccogliere le uova dal pollaio: rammendava i panni e le camicie del figlio; per non mangiarsi il pane a tradimento, diceva, e, non essere di troppo aggravio.
E pareva un fantasma che si aggirasse per la masseria, con negli occhi la gran tristezza della sua prossima fine.
Pure la sera rideva insieme con tutti gli altri allorché Scurpiddu rifaceva la rissa del cane col gatto, o il canto del gallo, o il verso della gallina che fa l'uovo; e quando il Soldato, dandogli un bastone in mano, gli faceva ripetere gli esercizi militari:
- Presentat'arm'! - Per fila destra! - Per fila sinistra! - Caricat'arm! – Fuoco!
- Bumh! Bumh! - aggiungeva Scurpiddu.
E poi i saluti della sentinella.
E il Soldato passava lui davanti a Scurpiddu, che non sbagliava mai il saluto.
E tornava indietro, pettoruto, quasi fosse un capitano davvero.
E il Soldato fingeva di passare a cavallo, un po' ciondoloni, come il suo vecchio generale, quand'egli era ancora nell'esercito a Milano, a Bologna, a Torino; era stato in tanti posti quel Soldato!
E Scurpiddu buttava all'aria il bastone, facendo il grido del porcellino o saltellando o abbaiando: e i cani della masseria gli rispondevano di fuori abbaiando tutti a una volta.
Quando però andava a chiudersi nel suo bugigattolo dove Paola lo attendeva sveglia nel paniere col fieno, quasi volesse accertarsi di non dormir sola, Scurpiddu da qualche sera in qua stentava ad addormentarsi. Pensava allo zi' Girolamo che gli aveva detto: - Tua madre tornerà! - Ed era tornata!.
Chi gliel'aveva detto a lui? Le Nonne?
Fantasticava intorno al modo di accertarsi se era vero che il bovaro lasciasse sul corbello il suo giubboncino col cappuccio ritto e col bastone tra le maniche incrociate, come aveva raccontato di averlo visto una volta il Soldato, al lume di luna, verso la mezzanotte
Pensava di uscir fuori zitto zitto e andare a verificare coi suoi occhi. Non lo avrebbe chiamato, se no il povero zi' Girolamo sarebbe morto, perché coloro che vanno colle Nonne se sono svegliati all'improvviso, aveva detto un'altra sera il Soldato, cascano freddi sul colpo.
Era lassù, a mezza costa dell'Arcura, dove la pastura pei tacchini abbondava, e si divertiva con Paola, facendosi inseguire abbassandosi in tempo quando Paola stava per posarglisi su la spalla, e allontanandosi presto dopo che quella era andata via col volo. Pareva che anche Paola prendesse gusto al gioco, perché due volte che Scurpiddu non era stato lesto ad abbassarsi, essa non si era fermata, anzi era volata lontano verso i mandorli di Rossignolo. E fu per questo che Scurpiddu si accorse di quei due che con la mano gli facevano cenno di avvicinarsi, mezzi nascosti fra i tronchi dei mandorli.
Aveva avuto paura vedendo luccicare le canne dei fucili che coloro tenevano in mano col calcio a terra. E siccome Scurpiddu intimorito, non si risolveva, quei due si mossero verso di lui. Allora egli vide che essi, oltre il fucile avevano le pistole ai fianchi infilate a traverso la cintura di cuoio. E in mezzo, una giberna, come quella dei carabinieri che giusto il giorno avanti erano passati di là e gli avevano domandato:
- Hai visto nessuno?
- Nessuno.
- Coi fucili come noi?
- Nessuno.
Ed erano andati via, prendendo la strada del Monte, tra i fichi d'India. Più tardi, li aveva visti lassù, in cima al Monte, coi fucili che luccicavano e le striscie di cuoio bianco sul petto. Guardavano, con la mano su gli occhi per la via del sole. Erano passati, un mese addietro, due volte, ma allora non gli avevano domandato niente. Chi cercavano? Ladri, forse.
E subito pensò che i ladri cercati dovevano essere quei due; perciò aveva paura.
- Va' a dirgli: Ci sono due amici che vogliono qualche pagnotta e un fiasco di quello bono. Pel resto, si prenderanno un tacchino; e vi salutano tanto. Così devi dirgli. Va'?
- E i tacchini a chi li lascio? - rispose Scurpiddu piagnucolando.
- Li guarderemo noi, non aver paura. Digli: Ci sono due amici...
E colui che parlava - l'altro stava zitto - replicò le parole del messaggio, soggiungendo:
- E digli: Devo portare tutto io e non altri. E non tardar troppo, va'!
Scurpiddu si avviò subito, giacché quell'amico comandava con modi bruschi; e di tratto in tratto si voltava indietro per vedere se tutti e due erano ancora colà. Poi si era messo a correre, e alla masseria era arrivato ansante, in sudore. Chiamato in disparte il massaio, gli aveva fatto l'imbasciata, senza dimenticare una sillaba.
Massaio Turi aggrottò le sopracciglia, increspò le labbra, stette un istante a riflettere, e rispose:
E dopo pochi minuti, ricomparve tenendo pel collo un fiasco di terracotta coi mànichi, e una salvietta con le pagnotte richieste.
- Dirai a quegli amici: Dice il massaio: se vi occorre un tacchino, prendetelo. E dice: che da queste parti non c'è aria bona, perché tira vento quasi ogni giorno. E dice che vi saluta tanto, e che il Signore vi aiuti. Tu poi non fiaterai di questo con nessuno; hai capito?
- Sissignore.
- E spicciati.
Andava di corsa. Intanto pensava perché il massaio mandava a dire a quegli amici: - Qui tira vento ogni giorno? – Non era vero. Che vento? Uh! Ma del tacchino voleva fingere di essersene scordato. Quale avrebbero preso? Notaio? Don Pietro? Scurpiddu? Questo poi no. Gli piangeva il cuore all'idea che potessero portargli via il suo prediletto.
Quando arrivò lassù, non trovo gli amici. I tacchini si erano un po' sbandati. Posò per terra il fiasco e le pagnotte, e li rincorse. Scurpiddu era là che faceva la ruota, ponzando, col bernoccolo rosso allungato sul becco!
Respirò. Tutt'a un tratto si vide davanti uno di quei due, senza fucile né pistole, quasi fosse uscito di sotto terra. E prima di prendere il fiasco e la salvietta col pane, colui si fregò in una tasca del panciotto.
- Tieni, questi sono per te.
E Scurpiddu ripetè quel che massaio Turi gli aveva dato incarico di dire. Quando ripetè: Qui tira vento quasi ogni giorno, l'amico fece una smorfiaccia che voleva essere una risata.
- Gli dirai: Grazie anche di questo. Il tacchino lo mangeremo alla sua salute. E tu…
Mise l'indice su le labbra; voleva dire: Silenzio!
- Sissignore.
Dunque il tacchino se lo erano già preso! E cercò con gli occhi tra il branco. Mancava Notaio!
Alzò le spalle, quasi avessero portato via proprio il notaio di Palagonìa che lo aveva scacciato dal servizio per una tacchina perduta. Non gli poteva perdonare la fame e il freddo patiti, e l'elemosina che aveva dovuto chiedere e i maltrattamenti dei ragazzi di colà; tutto per cagione di quel birbante!
Cominciò a chiamarla con la voce e col fischio, guardando attorno. Non si vedeva, ne si sentiva gracchiare.
Stava a grattarsi il capo con tutte e due le mani, impensierito, quando lo zi' Girolamo gli gridò da lontano:
Volava da un bue all'altro, beccandoli sul dorso; e i buoi la scacciavano con la coda o con le corna.
Scurpiddu corse fino alla punta del ciglione e chiamò:
La tàccola accorse ad ali spiegate, gracchiando allegramente; gli fece un bel giro attorno, in alto, e poi tornò dai bovi.
- È in collera, povera bestia, perché l'ho lasciata sola.
Scurpiddu e la tàccola s'intendevano così bene, ch'egli non fu meravigliato di quell'atto.
- Ora viene, senza che io la richiami, - pensava.
E infatti poco dopo la tàccola volò diritto verso di lui e gli si posò su la spalla.
- Non ti lascierò più sola, mai più!
L'accarezzava con una mano, e Paola gli beccava delicatamente l'orecchio. Lo ammoniva davvero di non lasciarla più sola?