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A furia di sentirsi dire: E se ti ammazzavano? Scurpiddu concepiva ora la paura che avrebbe dovuto aver in quel momento; e non valevano a rassicurarlo gli elogi di massaio Turi, la promessa del regalo di un vestito nuovo fattagli dalla massaia, e il vedersi diventato una persona importante, nella masseria, a veglia, dopo cena, non si ragionava d'altro che del furto tentato e dell'ardire di Scurpiddu che era riuscito a impedirlo.
La stessa mattina, più tardi, si era saputo l'affare delle schioppettate, Calcapaglia e suo genero stati fino alla mezzanotte alla posta della volpe, - erano loro, in maniche di camicia, che si acquattavano, uscivano d'agguato, tornavano ad appostarsi, e Scurpiddu non aveva potuto riconoscerli, nonostante il lume di luna, per la distanza, - Calcapaglia e suo genero avevano finalmente visto arrivare la volpe, che andava abbaiando e uggiolando tra le macchie, e le avevano tirato addosso, sbagliandola prima, ammazzandola coi secondi colpi.
- Un viaggio e due servigi! - disse ridendo massaio Turi. - Avete ammazzato la volpe, e spaventato i ladri!
Calcapaglia aveva portato lassù la bestia col muso insanguinato e il fianco squarciato, perché la massaia la cucinasse, come sapeva ben cucinarla lei. Se ne sarebbero leccate le dita domani, ch'era domenica, e lui e il genero sarebbero venuti anche per la santa messa.
- Ah, ti hanno dato gli stranguglioni le due tacchine, brutta bestiaccia! - esclamò Scurpiddu, osservando la volpe intrisa di sangue, stesa per terra con le gambe irrigidite e la lingua mezza fuori tra i denti. - Ho pianto due volte per cagion tua, brutta bestiaccia!
E le aggiustò una pedata, aspettando che Paola venisse a stuzzicarlo.
- A Scurpiddu daremo a rodere la coda!
Così erano trascorsi una quindicina di giorni, fino alla sera
- No, massaia, la coda spetta a me; ne ornerò la giumenta per ricordo, - disse il Soldato che cavò di tasca il coltello.
Scurpiddu volle almeno tenerla da cima mentre il Soldato la tagliava. E quando l'operazione fu terminata, sciorinò la coda per aria, trionfalmente, agitandola attorno, saltando, abbaiando, miagolando, chicchiriando; pareva ammattito dalla gioia, e tutti ridevano e battevano le mani:
Egli aveva confidato alla mamma come si era trovato fuori a quell'ora. La povera donna, ridendo, l'aveva ridetto alla massaia; la massaia a massaio Turi che ci si era divertito e cominciò a canzonarlo davanti a tutti:
- Bada, Scurpiddu! Con le Nonne non si scherza!
- Se lo sa zi' Girolamo! - soggiungeva il Soldato, - viene a pizzicottarti nel sonno.
No, delle Nonne non aveva più tanta paura, quanta degli amici.
E stava tutta la giornata con l'animo sospeso, in mezzo al prato, tra i tacchini al pascolo. Respirava soltanto nei giorni che vedeva passare i carabinieri, parecchi ora, a due a due chi di qua per la strada del Monte, chi di là per le colline di Bardella e dell'Arcura, come tanti cani che ricercassero col fiuto. E si sentì rinascere il giorno che arrivò fino alla masseria la notizia che gli amici erano stati scovati e arrestati nelle campagne di Rammacca, lontano.
Quel giorno Scurpiddu fece una diecina di capriole sul prato, e ordinò la banda dei tacchini, glù-glù-glù, e si sfiatò mezza giornata con lo zùfolo, Tiù! Tiù! Gli sembrava di essere diventato il re della contrada, libero da ogni timore; e si faceva rincorrere da Paola e la rincorreva su e giù, ruzzando su l'erba, sdraiandosi supino quant'era lungo, con le braccia aperte, e aspettando che Paola venisse a stuzzicarlo.
Così erano trascorsi una quindicina di giorni, fino alla sera in cui vedendo che il tempo minacciava, egli avviò prima dell'ora, il branco dei tacchini verso la masseria. Il vento formava mulinelli, trasportando per aria pianticine strappate e polvere, e stornava i tacchini dalla via diritta. Parte di essi si era sbrancata dal lato della fontana e Scurpiddu borbottava: - Accidenti! - vedendo che non gli davano retta. Dovette spingere gli altri dietro loro. Alle prime gocce di pioggia che vennero giù, il branco prese la rincorsa.
- Ooh, Ooh, ragazzo! Lasci indietro la tacchina coi pulcini!
Scurpiddu credette che il mezzadro di Poggio Don Croce, venuto ad attingere acqua alla fontana, lo canzonasse a motivo della scenata della tacchina: e tirava diritto.
Scurpiddu si voltò. Per la china della strada, rasente al muricciuolo gli correva dietro, davvero, una tacchina seguìta da mezza dozzina di pulcini che pigolavano spauriti. La riconobbe subito. Era una di quelle sperdute, e si fermò, spalancando gli occhi dallo stupore quasi vedesse un portento incredibile... Sì, sì, una delle due tacchine! E sei pulcini dietro, con la lanugine bianca listata di strisce scure, che il vento agitava:
- Né rubata, né mangiata dalla volpe dunque?
Uno scherzo della mezzadra, che così faceva un bel regalo alla massaia? Non trovava altra spiegazione.
E si cacciò avanti i sopraggiunti, stimolandoli con la canna.
Gli pareva mill'anni di arrivare alla masseria, e non si curava della pioggia incalzante, timoroso soltanto che tacchina e pulcini non gli sparissero sotto gli occhi, come aveva udito raccontare di chiocce e pulcini fatati.
E quando fu in vista della masseria, si mise a correre, gridando:
- Massaia, massaia! La tacchina!
Il branco arrivava davanti al cancello, affollandosi per entrare e ripararsi nel pollaio, e Scurpiddu lo scompigliò per pigliare in mano due pulcini e mostrarli alla massaia.
- Di chi sono?
- Nostri. Il mezzadro di Poggio Don Croce mi ha gridato: - Ooh! Ooh! Lasci indietro la tacchina coi pulcini! - Mi pareva che canzonasse... Invece. Li ha covati la tacchina in qualche siepe, tra le ginestre. E come sono belli! Grassi! La tacchina li conduceva qui. Hanno fame poveretti!
- Belli! Grassi! Sfido!- esclamò, - li ha allevati la mezzadra.
- Chi te l'ha detto?
- Eh! - fece.
- Sei pulcini? Quell'arpia? Avrebbe piuttosto tirato il collo alla chioccia.
Secondo la mamma di Scurpiddu, quello era un miracolo della Madonna, per giustificare il ragazzo. Chioccia e pulcini furono condotti in casa. La massaia mise un po' di crusca in un piatto, vi tritò su due cime di prezzemolo e intrise tutto con acqua.
I pulcini beccavano golosamente, e la chioccia pure.
- Se trovi l'altra covata, - disse massaio Turi a Scurpiddu, - te ne faccio un regalo.
A Scurpiddu, dalla contentezza straluccicavano gli occhi. Pestava coi piedi, girava su se stesso stropicciandosi le mani.
Sapeva lui dove andare a trovare l'altra covata! Gli pareva impossibile che la tacchina avesse ogni giorno deposto un uovo in qualche siepe e poi li avesse covati, come pretendeva la massaia. Se la mezzadra di Poggio Don Croce si era fatta coscienza di rendere una tacchina e con sei pulcini per giunta, avrebbe reso anche l'altra con altrettanti pulcini.
Gli sembrava così naturale, che non vedeva l'ora di essere alla mattina appresso, e andare ad accertarsene.
La giornata si levò nebbiosa e piovigginosa. Tanto meglio. Egli non doveva condurre i tacchini al pascolo.
E si avviò verso Poggio Don Croce zitto zitto.
La mezzadra, che stava pettinando la figlia su lo scalino della porta, fece il viso arcigno vedendolo spuntare dai melogranati che formavano quasi siepe attorno alla casa,
Scurpiddu volle fare il malizioso.
- Abbiamo trovato la tacchina!
E fissava negli occhi la mezzadra.
Scurpiddu si attendeva tutt'altra risposta. La mezzadra, con le sopracciglia aggrottate, riprese a pettinare la ragazza.
- L'abbiamo ritrovata e con sei pulcini! - egli soggiunse.
- Si vede che il Signore vuole aiutare le male lingue!
E, dalla stizza, tirò in su le trecce posteriori, per fare la crocchia, con tanta mala grazia che la ragazza strillò: - Ahi!
Vedendo che Scurpiddu restava là fermo, con le mani dietro alla schiena, la mezzadra gli si rivolse come una cagna arrabbiata:
- E ora che vuoi?
Scurpiddu avrebbe voluto rispondere: - L'altra tacchina. - Ma non n'ebbe il coraggio.
- Niente voglio, - disse mortificato.
Intanto non si risolveva ad andarsene.
- L'altra tacchina,.. - biascicò.
- Qual'altra tacchina? Sentiamo!- lo interruppe la mezzadra.
- Quella sperduta il giorno dopo; dovrebb'essere... da queste parti.
Pronunziava le parole lentamente, e aveva sul labbro il lieve sorrisino di chi sa e intanto finge di non sapere.
- Che intendi dire?- strillò la mezzadra.
- Va a romperti la noce del collo, tu e la tua massaia!
- L'abbiamo ritrovata, e con sei pulcini, la prima tacchina!
E le voltò le spalle serio, serio, quasi dopo questa frecciata si aspettasse di essere stato capito e di sentirsi richiamare. Udì borbottarsi qualcosa dietro, che non intese bene, e un po' deluso, scese verso le ginestre dalla parte della vigna, lungo il limite segnato dalle piante di àgave che incurvavano le larghe e acuminate foglie carnose, con un bel fusto ritto in mezzo che slargava in cima i rami fioriti, a guisa di braccia di candelabro
Il cielo si rischiarava. Occhiate di sole facevano capolino, di fra le nuvole grigie velandosi subito e tornando a sorridere, qua e là, con vaste chiazze dorate, su le macchie luccicanti per la pioggia che le avea lavate nella nottata. E Scurpiddu, pur pensando che quella strega della mezzadra non avea voluto dargli la soddisfazione di confessargli che l'altra tacchina, era presso di lei, per scrupolo di coscienza, batteva coi piedi tra le ginestre, sciò! sciò! E guardava vicino, lontano fin dove poteva giungere l'occhio.
Laggiù le ginestre finivano, il terreno si avvallava. Fitte macchie di rovi, vecchie piante di fichi d'India cingevano gli orli dove lo scoscendimento era maggiore.
Tutt'a un tratto si fermò trattenendo il respiro.
Si udiva, ora sì, ora no, un pigolio, ma non si capiva bene da qual punto venisse. E tese l'orecchio. No, non s'ingannava, era pigolìo di tacchina. E corse verso la gran macchia di rovi che circondava un masso, a sinistra; tremava tutto dalla commozione.
E ficcò la testa fra i tralci del roveto, senza punto curarsi delle spine che gli graffiavano le mani e gli strappavano i capelli.
La chioccia, accovacciata in una buca sotto il sasso, si rizzò e i pulcini ch'ella copriva con le ali tentarono di nascondersi, pigolando in fondo alla buca.
Afferrò la tacchina per un'ala e la trasse fuori. I pulcini accorsero dietro la madre. - Otto, Signore Iddio! Otto! - E l'ultimo covato aveva ancora appiccicato addosso un po' del guscio dell'uovo da cui doveva essere uscito poche ore addietro.
Scurpiddu si strizzava le mani, si faceva piccino piccino; accarezzava la tacchina, palpava i pulcini. Come portarli via? Tirò fuori il davanti della camicia facendone una specie di borsa, e ve li cacciò dentro a uno e a due per volta, ridendo pel solletico che essi gli facevano con le ali e coi beccucci.
La tacchina gli andava dietro a testa ritta, pigolando, quasi reclamasse i piccini.
In quel punto un rovescione di pioggia cominciò a venir giù all'improvviso. Scurpiddu però non affrettava il passo, per non far male ai pulcini. Avrebbe potuto ricoverarsi sotto la tettoia del casotto delle api; ma che gl'importava di essere inzuppato dalla testa ai piedi?
- Otto! E questi sono miei!...Otto!...Me li ha regalati il massaio!
Se lo ripeteva, per confermare a sé stesso che il massaio avrebbe mantenuto la parola:
- Otto!...E miei! Tutti miei!