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Non chiuse occhio in tutta la nottata, ripensando quel «Ne riparleremo domani», E se lo zanni voleva proprio quattrini?
Aveva udito dire dal Soldato allo zi' Girolamo: - Dove nascondete il morto, vecchiaccio? Non spendete un soldo del salario, Fate almeno testamento e rivelate il nascondiglio, Dovrà mangiarseli la terra quei quattrini, vecchiaccio?
- Tròvali, - aveva risposto il bovaro crollando la testa,
- Se chiedessi in prestito cinque lire allo zi' Girolamo, - pensava Scurpiddu, – Gliele renderei sùbito con le prime coroncine vendute,
E all'alba andò a trovare il bovaro che, spartito il fieno ai bovi, si accingeva a spazzare l'agghiaccio,
- Mattiniero! - gli disse il vecchio, - Su, dammi una mano,
Scurpiddu prese la grossolana granata, che era più alta di lui, fece un mucchio di tutto il concime, ne riempì un corbello e andò a vuotarlo nel serbatoio davanti a la stalla delle mule,
Il vecchio intanto rivolgeva la parola ai suoi animali, li accarezzava, li strigliava con le dita affettuosamente:
- Questi sono i miei figli!
Scurpiddu l'osservava senza ancora sapersi risolvere a domandargli: - Volete prestarmi cinque lire? - quando comparve lo zanni con la pipa in bocca, il fil di rame a tracolla, e in mano la tanaglietta a punta, Lavorava lesto lesto le maglie di una coroncina, annodando i grani di cocco anticipatamente infilati nel fil di rame; e intanto che le dita sembravano occupate per proprio conto, gli occhi lucidi e neri pareva contassero i capi di bestiame, e ne calcolassero il valore,
- Dunque?- egli disse finalmente a Scurpiddu,
- Quanto volete? - rispose il ragazzo,
- Secondo, Tanaglia, fil di rame, cocco e medagline per le dieci corone?
- E insegnarmi anche. - rispose Scurpiddu.
- Tre lire, tutto compreso; ma in danaro sonante.
Scurpiddu si grattava la testa, guardando lo zi' Girolamo.
- Vuoi diventare zanni? - disse il bovaro a Scurpiddu ridendo.
- Vo' fare coroncine e venderle, zi' Girolamo.
- Bravo! La prima te la compro io.
Scurpiddu lo trasse in disparte e gli parlò in un orecchio.
Il bovaro strinse le labbra, socchiuse gli occhi e stette un momento a riflettere.
- Sentite, - poi disse allo zanni. - Più tardi saremo lassù, al pascolo. Venite là, conchiuderemo l'affare: due lire.
- Tre, o niente! - quegli rispose, togliendosi la pipa di bocca e facendo schizzare la saliva tra i denti.
Scurpiddu tornò a grattarsi la testa e a guardare lo zi' Girolamo, implorando.
- Va bene; venite lassù, soggiunse il bovaro.
Fu una gran giornata per Scurpiddu. La sera, tornando alla masseria, gli pareva di possedere un tesoro con quel fil di rame e quel cocco, quelle medagline e la tanaglietta a punta.
La sua prima coroncina era già fatta a metà. Egli aveva pregato lo zi' Girolamo di serbargli il segreto; e prima di arrivare alla masseria, aveva nascosto tra le erbe il fil di rame; sarebbe andato a riprenderlo più tardi, senza farsi scorgere da nessuno. Temeva che il massaio o la massaia non lo sgridassero pei quattrini che si era fatti prestare. Dopo d'aver reso allo zi' Girolamo le tre lire, avrebbe lavorato una bella corona per la massaia e gliel'avrebbe regalata.
Ogni domenica poi, quando i contadini verrebbero alla masseria per la messa, egli direbbe: - Chi vuol comprare coroncine? Otto soldi l'una. - E ne guadagnerebbe quattro su ognuna di esse. Farebbe anche laccetti a maglia, per diversi usi, catenelle per chiavi, come lo zanni
Quella sera non si mise a dormire se prima non ebbe aggiunto alla coroncina altri dieci chicchi d'una posta.
Dall'alto del suo nido, Paola lo guardava intenta, tenuta desta dal lume
- Vuoi apprendere a lavorar coroncine anche tu?
Le maglie non erano uguali; bisognava impratichirsi bene.
Quella prima coroncina mal fatta Scurpiddu pensava di tenerla per sé, come ricordo. E non spense il lumicino a olio, avanti di aver avvolto il fil di rame in cerchi più stretti, da riporlo comodamente nella tasca che portava a tracolla con dentro la colazione e i dieci giorni e le vecchie monete e lo zufolo e gli altri oggetti, tutta la sua ricchezza.
Ogni giorno, appena arrivato coi tacchini e con Paola nel posto del pascolo, Scurpiddu si sedeva per terra, cavava fuori i suoi arnesi e si metteva a lavorare attentamente e lentamente nella prima settimana, interrompendosi per non perder d'occhio le sue bestiole, per fare qualche carezza a Paola che veniva a posàrglisi sul braccio e tentava di strappargli dalle mani, col becco, quel filo lucido che pareva attraesse particolarmente la sua curiosità.
- Ti farò una bella catenina pel collo; sta' cheta, - le diceva Scurpiddu. - Parrai una signora con collana d'oro.
Ma Paola si mostrava molto seccata di vedere il suo padrone che se ne stava continuamente occupato, incurante di lei.
- Quante coroncine, Scurpiddu? - gli domandava lo zi' Girolamo.
- Cinque. Quando avrò fatta la diecina, andrete a venderle voi, e riprenderete i vostri quattrini.
- Quante, Scurpiddu?
- Otto.
- Fammi vedere. Bravo, Scurpiddu!
Le stirava per mostrare la bontà delle maglie.
- Per voi, sceglierò la meglio, all'ultimo.
Scurpiddu era divenuto serio. Non si sentiva tranquillo, con quel grosso debito di tre lire addosso. E la sera d'un sabato, quando potè consegnare allo zi' Girolamo, che andava a Mineo per la vicenda quindicinale, le dieci coroncine belle e finite, coi chicchi dei paternostri e le medagliette in fondo, mise fuori un gran sospiro di sollievo. Ma passò la domenica agitatissimo. Chi sa se lo zi' Girolamo avrebbe potuto smerciarle tutte? E gli andò incontro, appena lo scorse da lontano.
- Sei soldi l'una, - gli gridò il bovaro. - E col denaro ti ho comprato altro fil di rame e cocco e medagline dallo zanni che ho incontrato per caso. Ho fatto bene?... .Le tre lire me le darai un' altra volta.
Scurpiddu si mise a saltare dalla gioia. Quanto fil di rame! Quanto cocco! Quante medagline! E anche del fil di ferro per le coroncine più scadenti!
- Dice don Santi il merciaio che, a quel prezzo, te ne compra quante ne avrai fatte.
Anche questa sembrava a a Scurpiddu una gran fortuna.
Che bella idea aveva avuto d'imparare quel mestiere! Avrebbe potuto fin smettere di fare il guardiano di tacchini. No; sarebbe stata ingratitudine verso il massaio e la massaia. Gli avevano fatto tanto bene! Gli si erano affezionati come a un figlio. La massaia pensava a rivestirlo, a fargli lavare la biancheria; e il massaio gli aveva detto che l'anno venturo gli avrebbe insegnato a potare e a far gl'innesti dei peri, delle mele, dei melogranati. Il guardare i tacchini non gl'impediva di lavorare coroncine e catenelle e lacci a maglie, se voleva. E poi, ormai, gli sembrava che la masseria fosse casa sua; in quattro anni se n'era allontanato appena una o due volte, spedito a Mineo dal massaio per una commissioncina; andare e tornare; e un'altra volta per una testimonianza davanti al Giudice istruttore, insieme col Soldato. Due mietitori erano venuti alle mani una sera alla masseria, e uno era stato mortalmente ferito con un colpo di falce. Il Giudice istruttore con gli occhiali d'oro a capestro, il cancelliere che scriveva le deposizioni, i carabinieri nella saletta di aspetto avevano così atterrito Scurpiddu, che non gli era parso vero di scappar sùbito e tornare sano e salvo alla masseria. Là, quel bugigattolo accanto al pollaio era il suo palazzo, non ci entrava nessun altro.
E gli otto tacchini? Se voleva, a Natale, sarebbero quaranta lire. Alti, grassi, non si distinguevano più dai vecchi, Aveva battezzato anche loro e con che nomi! Uno, Vittorio Emanuele; un altro, Garibaldi; un terzo, il Guappo, perché presuntuoso e attaccalite, Notaio, Don Pietro, Capobanda, la Massaia e parecchi altri non erano più nel branco, erano stati venduti da un pezzo.
Il branco, in due anni, si era rinnovato. Egli aveva dovuto riaddestrarlo alle marce e a far la banda e per capobanda aveva messo il Guappo, che quando cominciava a gluglugliare non la finiva più, e avrebbe voluto pure far la ruota, quasi per mostrar meglio la sua dignità; allor Scurpiddu lo toccava sul dorso con la canna e gli faceva ritirare subito le ali e il bernòccolo:
- Avanti, Guappaccio!
Ma ora che aveva da occuparsi con le coroncine, addio marce, addio guerra, com'egli diceva e si poteva anche aggiungere: addio Paola! Tutto si era dato a quel lavoro.
- E lo zùfolo? - gli domandava il Soldato. - Non ti si ode più!
Lo zùfolo rimaneva in fondo alla tasca abbandonato. E Paola volava e rivolava da un albero all'altro, si faceva portare in carrozza dai tacchini, si allontanava dal branco, e spesso, sul punto di ritornare alla masseria, Scurpiddu doveva richiamarla a lungo col fischio e gridare più volte
- Paola! Ehi! Paola! - prima di vederla venire a posàrglisi su la spalla.
- Hai ragione, - egli le diceva. - Il padrone ti trascura. Ma che vuoi? Dobbiamo guadagnare quattrini. Tu non ne hai bisogno di quattrini; io sì, Paola! Domani però ti farò la collana e gli anellini, uno per piede.
Il giorno dopo, appena egli le infilò al collo la collana e gli anellini ai piedi, Paola diventò irrequieta; voleva togliersi a ogni costo quegli strani impacci d'addosso. Se la prendeva particolarmente con gli anellini, due semplici cerchietti di fil di rame. Si stizziva, si accaniva a dar colpi di becco ora a questo, ora a quello; e quando si persuadeva che era inutile tentar di spezzarli, si rivolgeva alla collana mezza affondata tra le piume del collo a forza di scosse e di strappate. Scurpiddu rideva: le rimetteva la collana a posto, e aggiustava gli anellini già un po' deformati.
- Sta' cheta, Paola! Sembri una sposa, Paola!
Paola non gli dava retta. Ripreso a inveire contro gli anellini, per essere più libera volava lontano, sur un mandorlo. E lassù, dopo un quarto d'ora, era riuscita a cavarseli. Scurpiddu la vide tornare tranquilla. Pareva gli dicesse:
Di tanto in tanto allungava il collo, chinava la testa, afferrava con la punta del becco la collana, la scoteva, cercava di tirarla su ma smetteva sùbito.
Il giorno che Scurpiddu regalò la corona alla massaia, e si seppe alla masseria il nuovo mestiere di lui, il Soldato non gli dètte requie.
- Zanni, vieni qua; cavami un dente! Vieni a cavare i denti alle mule! Per questo, marmotta, non badi più a imparare a lèggere! Te la faccio io una bella corona!
Aveva legato in filza, con lo spago, zanne di animali, ossicini d'ogni specie, sassolini, e preso Scurpiddu fra le gambe, gli attaccava quella corona al collo, quantunque il ragazzo si schermisse.
- Così sembri uno zanni davvero!
Gli zanni, infatti, per segno della loro valentia nel cavar denti, ne portavano al collo una filza, legati con maglie di fil di ferro, come i chicchi di una corona.