Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Scurpiddu
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Una notte Scurpiddu era stato destato da un confuso rumore che veniva dal pollaio accanto; strilli, sbatter di ali di polli e tacchini, quasi colà fosse entrata una volpe o una dònnola e menasse strage. Balzò dal pagliericcio, e, mezzo vestito, aperse la porticina.

- Ah, Madonna santa!

Il tetto del frantoio era in fiamme. Vortici di fumo e scintille si spandevano attorno spinte dal vento che soffiava forte. Nugoli di fumo salivano dalla catasta di legno del cortile a cui le scintille portate via dal vento avevano appiccato il fuoco. Il fumo dagli sportelli, aveva invaso il pollaio e soffocava galline e tacchini, che si agitavano furiosamente per trovare uno scampo.

- Soldato!..Massaio!... Fuoco! Fuoco!

Scurpiddu urlava, chiamando aiuto. Scalzo, senza curarsi del freddo che lo gelava, corse a picchiare alla porta della stalla.

E quando il Soldato, ancora insonnolito, comparve su la soglia e visto il bagliore delle vampe, si precipitò fuori, Scurpiddu andò a picchiare alla porta della masseria:

- Fuoco! Fuoco!

In pochi minuti, tutta la gente della masseria era in piedi, gridando, dando ordini, che, nella gran confusione, nessuno eseguiva.

- Acqua! Acqua!...Una scala!...Un'accetta!

Scurpiddu, imboccata la conchiglia marina, con cui ogni domenica chiamava i vicini alla messa, suonava, suonava, intramezzando l'appello con gridi prolungati:

- Aiuto! Aiuto, santi cristiani!

Così strillava pure la massaia, che si strappava i capelli piangendo.

Il Soldato e massaio Turi, saliti sul tetto, rompevano con le scuri le travi, perché il fuoco non si comunicasse a tutta la casa. Gli altri versavano acqua su la catasta della legna.

Scurpiddu riempiva brocche nella vasca vicina, insieme con sei contadini che facevano una specie di catena, porgendosi da una mano all'altra i recipienti ripieni per far più presto.

Spalancato, quasi sfasciandolo, il portone del frantoio, il vento aveva spazzato sùbito il fumo e così si era potuto vedere che il fuoco era venuto dalla cucina, il cui tetto poco dopo crollava. Crollava a metà anche il tetto del frantoio.

Intanto era accorsa gente da tutte le parti. Le fiamme cominciavano ad abbassarsi. Scurpiddu, dalla vasca, guardava atterrito le due ombre nere che si muovevano sul tetto tra il fumo, agitando le braccia, facendo riluccicare le scuri a ogni colpo che davano. Tutt'a un tratto egli si ricordò dei polli e dei tacchini:

- Povere bestie!

E, finito di riempire la brocca che aveva in mano, in quattro salti fu al pollaio.

- La chiave! La chiave!

Non la trovava. Afferrò un tronco dalla catasta che era già mezza spenta, e cominciò a battere l'uscio con esso, finché non l'aperse. Polli e tacchini sbucarono fuori con tale violenza che per poco non lo rovesciarono a terra.

- I tacchini e i polli sono salvi, massaia! - si era affrettato ad annunziare.

- Tegònia! Tegònia! - balbettava la massaia mezzo svenuta.

La vecchia serva infatti non era con loro. Dormiva in uno stanzino, accanto alla stanza dove era morta la mamma di Scurpiddu; e, nel trambusto, nessuno si era rammentato della poveretta, che forse il fumo soffocava lassù.

Scurpiddu corse di fretta dietro il frantoio, e chiamò:

- Z'a Tegònia! Z'a Tegònia!

La stanzetta aveva un finestrone su una piccola terrazza che sporgeva su l'abisso della roccia. Bisognava essere uno scoiàttolo per arrampicarsi, e poi, il vento spingeva il fumo da quel lato, avvolgendo la terrazza, quasi l'incendio avesse ingoiato la stanzetta e chi vi dormiva.

- Z'a Tegònia! Z'a Tegònia!

Oltre il fumo, c'era l'abisso che si spalancava sotto. Per tentar di appoggiare una scala nel punto dove la sporgenza della roccia permetteva di farlo senza pericolo, occorreva spiccare un bel salto e non mettere il piede in fallo.

Scurpiddu diè un'occhiata attorno. Due grossi tronchi di fichi d'India, abbattuti mesi addietro, gli suggerirono l'idea di formare un ponticello, mettendoli per traverso. Sarebbe passato su di essi, e poi li avrebbe tirati dall'altra parte. Appoggiandoli al muro, vi si sarebbe arrampicato. Se giungeva ad afferrare la ringhiera di ferro della terrazza... .

Detto, fatto: due tronchi venivano trascinati con molto sforzo, buttati a traverso il profondo spacco della roccia; e Scurpiddu, curvo, con le braccia aperte per equilibrarsi, trattenendo il respiro, passava sul cedevole ponticello. Il difficile era ritirare i tronchi di senza che il peso li facesse precipitare giù. Prima di avventurarsi, chiamò di nuovo:

- Z'a Tegònia! Z'a Tegònia!

Le vampe, dopo il crollo dei tetti della cucina e del frantoio, erano quasi spente, ma il fumo aumentava, e le scintille volavano portate via dal vento e piovevano addosso a Scurpiddu, scottandogli mani e faccia, Ora però che egli aveva appoggiato al muro i due tronchi, e che essi, con le loro sporgenze, gli davano agio di montare, non badava né a fumo né a scintille; e com'ebbe afferrato una sbarra della ringhiera, si spinse su poggiando i piedi al muro; poi saltò nella terrazza.

Per fortuna i vetri erano chiusi, ma gli sportelli interni no. Con un mattone ch'era , egli ruppe un vetro, passò un braccio nell'apertura fatta, girò il succhiello e spalancò la imposta a due bande, Un'ondata di fumo lo fece indietreggiare. Appena la stanza si fu vuotata per l'aria nuova penetrata, dentro, Scurpiddu si precipitò verso il letto, con uno strillo:

- Z'a Tegònia!

E scoteva il corpo della povera vecchia, che rantolava, buttata a traverso la materassa. Intanto, dalla fessura dell'uscio che dava nel frantoio, il fumo continuava a invadere la stanza!

Come fare? Egli non poteva levar di peso la vecchia e portarla all'aperto.

Udita sul tetto vicino la voce del Soldato e di massaio Turi che già si preparavano a scendere, Scurpiddu uscì su la terrazza e chiamò.

- Che fai costì? - gli domando il Soldato, affacciandosi dall'orlo del tetto.

- La Z'a Tegònia!... Venite!... .Sta per morire... Io non posso toglierla dal letto.

Il Soldato si lasciò scivolare lungo il muro che non era molto alto, e poi saltò su la terrazza. Era stupito di trovare Scurpiddu colà.

- Come hai fatto?

- Ve lo dirò dopo.

E trassero la povera vecchia all'aria aperta.

Quando l'incendio fu domato, tutti erano attorno a Scurpiddu per sentirgli raccontare come si era accorto delle fiamme e come aveva fatto per salvare la Z'a Tegònia.

- Questo ragazzo è la nostra buona sorte, - diceva massaio Turi alla moglie. - Senza di lui, a quest'ora, saremmo quasi all'elemosina, se pur saremmo vivi!

E si asciugava le lagrime.

 

 


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