Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Gli americani di Ràbbato
Lettura del testo

Menu fantastica!

16. Menu ormai non pensa ad altro che all'America.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Menu fantastica!

 

16. Menu ormai non pensa ad altro che all'America.

 

Mamma e nonno non sapevano che Menu, quando andava fuori casa per qualche commissioncella o per fare quattro passi, non aveva altro pensiero che correre a trovare ora questo, ora quello degli «americani» per chiedere notizie, per avere informazioni. Parecchi, rimasti rozzi contadini, non ostante il viaggio e la dimora in America, non sapevano dirgli niente di particolare.

Egli spesso notava che l'uno contradiceva quel che gli aveva detto l'altro. Si vantavano di aver guadagnato molti quattrini ma li avevano lasciati , nelle banche, perché dovevano ritornare a riprendere i loro negozi.

Qualcuno, e sembrava più sincero, gli rispondeva:

«Caro mio, tutto il mondo è paese. Qui ci lamentiamo dei proprietari. Ci pagano male, è vero, ma ci trattano da cristiani. , quando si capita in certe mani... Non si sa a chi ricorrere per difenderci; ci fanno lavorare come schiavi, con la frusta, quasi fossimo animali; e se qualcuno si lagna, frustate su frustate... Ci trasportano con la ferrovia, lontano, in campagne deserte. Chi volesse scappare si sperderebbe e se lo divorerebbero le bestie feroci».

«Ma dunque, tutti gli altri?»

«Ci sono i fortunati

Allora Menu a qualcuno arrivato di fresco, domandava: «È vero questo? È vero quest'altro?»

«Se non fosse vero, io non condurrei mia madre e le mie sorelle; sono venuto a posta per prenderle».

Costui aveva la stessa aria di Coda-pelata; e le sballava anche più grosse di lui.

« cinque lire valgono meno di cinque centesimi. Se uno le vede per terra, non le raccatta; come qui nessuno raccatta un soldo, a meno d'essere un mendicante».

Aveva anche lui le dita piene di anelli, e, siccome apriva spesso le labbra quasi per mostrare i denti, gli si vedeva luccicare in bocca un dente d'oro.

« tutti», egli affermava, «hanno uno, due denti d'oro, per sfarzo. Si fanno cavare a posta i denti buoni... È di gran moda sostituirli così. Oh! Li cavano senza dolore... Io me n'accorsi soltanto quando vidi il mio dente in mano al dentista».

E il giovane sarto don Pietro Ruffino mostrava a tutti quel dente d'oro, ben incastrato, luccicante, che formava il suo orgoglio.

Menu, pensava che lui non si sarebbe mai fatto cavare un dente sano pel gusto di sostituirlo con uno d'oro. Gli produceva un'impressione buffa don Pietro che, per la smania di mostrare quella novità, era costretto a fare, parlando, una smorfia con le labbra come se glieli spingessero in fuori.

Dava a intendere pure:

«Aghi? non se ne trova neppur uno nelle sartorie. Io ho una botteguccia, a confronto dei grandi negozi con palazzi a dieci piani, ma che passerebbe per sartoria straordinaria non qui, a Ràbbato... eh, via! ma a Palermo, a Catania. Dieci macchine da cucire, americane, di quelle che qui non se ne vedono... Lavorano quasi da sé. In novanta minuti con l'orologio alla mano, posso consegnare, allestito, bello e stirato, un vestito da uomo».

«In un'ora e mezzo

«In un'ora e mezzo

«Bummh

«Chi ha fatto: bummh

«Io», rispose un vecchio sarto. «Le ore dell'America sono come le nostre? O sono lunghe quanto una giornata? E neanche...»

E Menu si era maravigliato che tutti i presenti dessero ragione a don Pietro Ruffino.

«Che ne sappiamo noi?» diceva uno.

«Quella è terra di miracoli», approvava un altro.

Un vestito da uomo, tagliato, cucito e stirato in un'ora e mezza! Sembrava un po' enorme anche a Menu. Ma avrebbe creduto al dente d'oro, se qualcuno gliel'avesse riferito?

E così, a poco a poco la sua giovanile immaginazione si accendeva a vedere le dieci macchine da cucire in gran moto, e il vestito venir fuori cucito e stirato come se avesse dovuto indossarlo lui.

Arrivò in quei giorni un'altra lettera degli «americani» - in famiglia non chiamavano altrimenti Stefano e Santi - con un vaglia di quattrocento lire.

«Poche righe, quasi lo scrivere costasse fatica!» si lamentava la gnà Maricchia. Il solito: grazie a Dio, stiamo bene e così speriamo sentire di voi; l'immancabile: salutate i vicini e tutti gli amici che domandano di noi, e niente di quel che facevano colà, di come vivevano!

Lo zi' Santi si sentì slargare il cuore, quando si vide in mano tante belle monete d'oro pagategli alla posta. Prese le altre dugento lire, tenute in serbo in fondo al cassettone, e corse lo stesso giorno dal notaio.

«Che premura avete? Se vi fanno comodo», diceva il padre di Coda-pelata, che si era lusingato di beccarsi il fondo e la casa, e non si aspettava così presto i quattrini anticipati da suo figlio ai nipoti del Lamanna.

«Teneteli in serbo voi, don Natale. Nelle vostre mani possono figliare, nelle mie, no».

Alludeva, sorridendo, alla reputazione di strozzino, che don Natale godeva in paese. Solevano dire: «Lui è Coda-pelata, ma pela peggio anche gli altri».

«Ognuno fa quel che può», rispose secco secco don Natale.

E intascò a una a una le monete.

«Penserò io a fare scancellare l'iscrizione», concluse il notaio.

Dalla contentezza, al vecchio Lamanna brillavano gli occhi. E corse a casa per portare alla vedova la bella notizia.

«Tutto è fatto, sia lodato Iddio

La poveretta, non sapendo come esprimere la sua commozione, si chinò e baciò più volte il davanzale della finestra presso cui si trovava; avrebbe baciato tutte le mura della casa, quasi fosse stata una persona cara che le appariva innanzi inattesamente.

Menu intanto pensava:

«Se avessi avuto in mano io quelle seicento lire! A quest'ora...»

Per poco non si vedeva già sul piroscafo in rotta per l'America.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License