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35. Un allegro incontro tra compaesani.
Si avviarono per via Mulberry.
«Come si vede che qui siamo nella "piccola Italia"! Guardate», disse il sarto con una mossa sprezzante, additando tutti quei panni stesi alle finestre e alle terrazze. «Non par di esser più a Nova York».
E, di mano in mano che procedevano, si voltava per dire a Santi o a Coda-pelata, o allo zi' Carta: «Un palermitano!... Un messinese!... Due della provincia di Catania!»
Li riconosceva alla parlata.
«Trattoria Sicilia!» egli lesse nella tabella. «Taverna avrebbe dovuto farvi scrivere il padrone».
«Scusate, don Pietro», rispose Santi. «Vi ho condotto qui perché conosco il padrone. Non ci farà mangiare porcherie».
«Oh, non dicevo per offendervi».
La vasta sala, dalla volta bassa, era affollata di gente che ciarlava davanti ai tavolini ingombri di bicchieri di birra, di vino, e rideva, giocava alla morra.
Il padrone, grasso, panciuto, con in testa un berretto di velluto nero ricamato a fiori, riconosciuto Santi, gli accennò con la mano che la tavola riserbata per loro era laggiù già bella e apparecchiata.
«Il posto di onore al banchiere!» esclamò Coda-pelata, indicando Menu.
«Chi lo sa? Tu lo dici per scherzo», rispose lo zi' Carta. «E potrà benissimo avverarsi».
«Dio lo volesse!... Quando gli amici hanno quattrini, li abbiamo anche noi. Metto al muro la chitarra. Più tardi musica, e paesana», soggiunse con aria misteriosa.
Appena egli vide recare in tavola un gran tondo colmo di maccheroni, stese le mani per prenderlo e collocarlo davanti.
«Faccio le parti io, se permettete. Chi sparte ha la meglio parte, dice il motto degli antichi».
«Zi' Carta, vorreste che uno lavorasse per niente?»
«Ecco una cosa che gli americani non avrebbero mai saputo inventare».
«Ben detto, don Pietro!» approvò Coda-pelata.
«Hanno inventato qualcosa che vale assai più», disse il figlio di mastro Iano serio serio. «La navigazione a vapore!»
«Tu stai zitto, tu che fai l'americano per forza! Ricorda che sei nato a Ràbbato, capo di Regno quando gli americani non esistevano ancora. Prima dei Saraceni, caro mio, me lo diceva sempre il canonico Cannatella, quello che scavava le antichità».
«Bella roba!» fece il giovanotto con un'alzata di spalle.
«Bella roba! sicuro! E mangia questi che ti ristoreranno», soggiunse Coda-pelata, porgendogli il piatto coi maccheroni. Venne portato un altro tondo ricolmo.
Coda-pelata si affrettò a servire Santi, e, scherzando, si mise il piattone davanti.
«Questi pochini per me!»
«Ci vuol la replica, come nei terremoti», soggiunse rivolto allo zi' Carta e mastro Iano.
Fece la sua parte e spinse il piatto in mezzo alla tavola. «Ed ora, ognuno si serva da sé».
Santi non diceva una parola; pensava al fratello che stava nell'infermeria del carcere, e chi sa quando ne sarebbe uscito!
Mangiavano di buon umore, ridendo alle barzellette di Coda-pelata. Non era vero che lo zi' Carta fosse venuto con le mani in mano; e quando il garzone portò in tavola una cesta con arance e frutta secca, da lui mandate avanti all'insaputa di tutti, fu uno scoppio di applausi.
In quel momento, davanti alla porta della trattoria si udì il suono di un organetto.
«Musica paesana», esclamò Coda-pelata. Egli aveva avvisato Nascarella.
«Facciamolo entrare qui. La festa deve essere completa». E si mise in allegria tutta la gente che mangiava e beveva vedendo passare l'organino e le donne.
«Volevo fare un brindisi a Menu, ma ormai!» concluse Coda-pelata.
E la gazzarra durò fino a tardi con le canzonette che il barbiere accompagnava anche con la chitarra, con gli avventori tutti in piedi, che applaudivano, facendo da coro.
Soltanto il figlio di mastro Iano, da americano... per forza, rimaneva da parte, mutrione.