Gino, che fai sotto
i felsinei portici?
mediti come il
gentil fior de l'Ellade
d'Omero al canto e
a lo scalpel di Fidia
lieto sorgesse nel
mattin de i popoli?
Da l'Asinella gufi
e nibbi stridono
invidïando e i cari
studi rompono.
Fuggi, deh fuggi da
coteste tenebre
e al tuo poeta, o
dolce amico, vientene.
Vienne qui dove
l'onda ampia del lidio
lago tra i monti
azzurreggiando palpita:
vieni: con voce di
faleuci chiàmati
Sirmio che ancor
del suo signore allegrasi.
Vuole Manerba a te
rasene istorie,
vuole Munìga
attiche fole intessere,
mentre su i merli
barbari fantasimi
armi ed amori con
il vento parlano.
Ascoltiam sotto
anacreòntea pergola
o a la platonia
verde ombra de' platani,
freschi votando
gl'innovati calici
che la Riviera del
suo vino imporpora.
Dolce tra i vini
udir lontane istorie
d'atavi, mentre il
divo sol precipita
e le pie stelle
sopra noi viaggiano
e tra l'onde e le
fronde l'aura mormora.
Essi che queste
amene rive tennero
te, come noi, bel
sole, un dì goderono,
o ti gittasser
belve umane un fremito
da le lacustri
palafitte, o agili
Veneti a l'onda le
cavalle dessero
trepida e fredda
nel mattino roseo,
o co 'l tirreno
lituo segnassero
nel mezzogiorno le
pietrose acropoli.
Gino, ove inteso a
le vittorie retiche
o da le dacie
glorïoso il milite
in vigil ozio
l'aquile romulee
su 'l lago affisse
ricantando Cesare,
ivi in fremente
selva Desiderio
agitò a caccia poi
cignali e daini,
fermo il pensiero a
la corona ferrea
fulgida in Roma per
la via de' Cesari.
Gino, ove il giambo
di Catullo rapido
l'ala aprì sovra la
distesa cerula,
Lesbia chiamando
tra l'odor de' lauri
con un saliente
gemito per l'aere,
ivi il compianto di
lombarde monache
salmodïando ascese
vèr' la candida
luna e la requie
mormorò su i giovani
pallidi stesi sotto
l'asta francica.
E calerem noi pur
giù tra i fantasimi
cui né il sol veste
di fulgor purpureo
né le pie stelle
sovra il capo ridono
né de la vite il
frutto i cuor letifica.
Duci e poeti allor,
fronti sideree,
ne moveranno
incontro, e «Di qual secolo
- dimanderanno - di
qual triste secolo
a noi venite,
pallida progenie?
A voi tra' cigli
torva cura infóscasi
e da l'angusto
petto il cuore fumiga.
Non ne la vita
esercitammo il muscolo,
e discendemmo
grandi ombre tra gl'inferi».
Gino, qui sotto
anacreòntea pergola
o a la platonia
verde ombra de' platani,
qui, tra i
bicchieri che il vin fresco imporpora,
degna risposta
meditiamo. Versasi
cerula notte sovra
il piano argenteo,
move da Sirmio una
canora imagine
giù via per l'onda
che soave mormora
riscintillando a al
curvo lido infrangesi.
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