Ricordo. Fulvo il
sole tra i rossi vapori e le nubi
calde al mare
scendeva, come un grande clipeo di rame
che in barbariche
pugne corrusca ondeggiando, poi cade.
Castiglioncello in
alto fra mucchi di querce ridea
da le vetrate un
folle vermiglio sogghigno di fata.
Ma io languido e
triste (da poco avea scosso la febbre
maremmana, ed i
nervi pesavanmi come di piombo)
guardava a la
finestra. Le rondini rapide i voli
sghembi tessevano e
ritessevano intorno le gronde,
e le passere brune
strepïano al vespro maligno.
Brevi d'entro la
macchia svariavano il piano ed i colli,
rasi a metà da la
falce, in parte ancor mobili e biondi.
Via per i solchi
grigi le stoppie fumavano accese:
or sì or no veniva
su per le aure umide il canto
de' mietitori,
lungo, lontano, piangevole, stanco:
grave l'afa
stringeva l'aër, la marina, le piante.
Io levai gli occhi
al sole - O lume superbo del mondo,
tu su la vita guardi
com'ebro ciclope da l'alto! -
Gracchiarono i
pavoni schernendomi tra i melograni,
e un vipistrello
sperso passommi radendo su 'l capo.
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