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Giosuè Carducci Odi barbare IntraText CT - Lettura del testo |
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Sogno d’estateTra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su 'l Tirreno. Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai. Non più libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata, rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli, cari selvaggi colli che il giovane april rifioria. Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro. Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria, superbo de l'amore materno, percosso nel core da quella festa immensa che l'alma natura intonava. Però che le campane sonavano su dal castello annunzïando Cristo tornante dimane a' suoi cieli; e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque, correa la melodia spirituale di primavera; ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli, e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto, ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati, e molli d'auree ginestre si paravano i colli, e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori veniva giù da 'l mare; nel mar quattro candide vele andavano andavano cullandosi lente nel sole, che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva. La giovine madre guardava beata nel sole. Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello, questi che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito, quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa; pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure o ritornasser pii del dolor mio da una plaga ove tra note forme rivivono gli anni felici. Passâr le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno. Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze, Bice china al telaio seguia cheta l'opra de l'ago.
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