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Giosuè Carducci Odi barbare IntraText CT - Lettura del testo |
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Da Desenzano A G. R.Gino, che fai sotto i felsinei portici? mediti come il gentil fior de l'Ellade d'Omero al canto e a lo scalpel di Fidia lieto sorgesse nel mattin de i popoli?
Da l'Asinella gufi e nibbi stridono invidïando e i cari studi rompono. Fuggi, deh fuggi da coteste tenebre e al tuo poeta, o dolce amico, vientene.
Vienne qui dove l'onda ampia del lidio lago tra i monti azzurreggiando palpita: vieni: con voce di faleuci chiàmati Sirmio che ancor del suo signore allegrasi.
Vuole Manerba a te rasene istorie, vuole Munìga attiche fole intessere, mentre su i merli barbari fantasimi armi ed amori con il vento parlano.
Ascoltiam sotto anacreòntea pergola o a la platonia verde ombra de' platani, freschi votando gl'innovati calici che la Riviera del suo vino imporpora.
Dolce tra i vini udir lontane istorie d'atavi, mentre il divo sol precipita e le pie stelle sopra noi viaggiano e tra l'onde e le fronde l'aura mormora.
Essi che queste amene rive tennero te, come noi, bel sole, un dì goderono, o ti gittasser belve umane un fremito da le lacustri palafitte, o agili
Veneti a l'onda le cavalle dessero trepida e fredda nel mattino roseo, o co 'l tirreno lituo segnassero nel mezzogiorno le pietrose acropoli.
Gino, ove inteso a le vittorie retiche o da le dacie glorïoso il milite in vigil ozio l'aquile romulee su 'l lago affisse ricantando Cesare,
ivi in fremente selva Desiderio agitò a caccia poi cignali e daini, fermo il pensiero a la corona ferrea fulgida in Roma per la via de' Cesari.
Gino, ove il giambo di Catullo rapido l'ala aprì sovra la distesa cerula, Lesbia chiamando tra l'odor de' lauri con un saliente gemito per l'aere,
ivi il compianto di lombarde monache salmodïando ascese vèr' la candida luna e la requie mormorò su i giovani pallidi stesi sotto l'asta francica.
E calerem noi pur giù tra i fantasimi cui né il sol veste di fulgor purpureo né le pie stelle sovra il capo ridono né de la vite il frutto i cuor letifica.
Duci e poeti allor, fronti sideree, ne moveranno incontro, e «Di qual secolo - dimanderanno - di qual triste secolo a noi venite, pallida progenie?
A voi tra' cigli torva cura infóscasi e da l'angusto petto il cuore fumiga. Non ne la vita esercitammo il muscolo, e discendemmo grandi ombre tra gl'inferi».
Gino, qui sotto anacreòntea pergola o a la platonia verde ombra de' platani, qui, tra i bicchieri che il vin fresco imporpora, degna risposta meditiamo. Versasi
cerula notte sovra il piano argenteo, move da Sirmio una canora imagine giù via per l'onda che soave mormora riscintillando a al curvo lido infrangesi.
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