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Giosuè Carducci
Rime e ritmi

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  • Bicocca di san Giacomo
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Bicocca di san Giacomo

 

Ecco il ridotto. Ancor non ha l'aratro

raso dal suolo l'opera di guerra.

Ecco le linee del tonante vallo

e le trincee.

 

Contra il nemico brulicante al piano

e lampeggiante da le valli in faccia

qui puntò Colli rapido mirando

le batterie.

 

Ecco le offese del nemico bronzo

ne la chiesetta, già sonante in coro

d'umili donne al vespero d'aprile

le litanie.

 

Dimani, Italia, passeran da l'Alpi

prodi seimili in faccia al re levando

l'armi e i ridenti in giovine baldanza

vólti riarsi.

 

Voi non vedrete, voi non sentirete,

prodi sepolti in queste verdi zolle,

quando tra questi clivi ruinava

la monarchia,

 

che Filiberto dirizzò, che sciolse

come polledra a l'aure annitrïente

via per l'Europa al corso il cuor di Carlo

Emmanuele.

 

Nobil teatro a l'inclita ruina

questo d'intorno. Sopra monti e valli

e su' vaganti in lucidi meandri

fiumi e torrenti

 

passa l'istoria, operatrice eterna,

tela tessendo di sventure e glorie;

uman pensiero a' novi casi audace

romperla creda.

 

E tuttavia silenzïosa fati

novi aggroppando ne la trama antica

tesse e ritesse l'ardua tessitrice

fra l'alpi e il mare.

 

Rapida va de' secoli la spola.

Addio, tra i sparsi Liguri romano

termine Ceva e nuova d'Aleramo

forza feudale!

 

Oh, pria ch'Alasia al giovine lombardo

gli occhi volgesse innamoratamente

ceruli e a lui sciogliesse de la chioma

l'oro fluente,

 

povera vita e ricco amor chiedendo

a la spelonca d'Àrdena, lasciate

lungi le selve di Germania e il padre

imperatore,

 

da quel varco, onde sfidando vibra

l'esile torre il Castellino, urlando

arabe torme dilagâr fin dove

Genova splende.

 

Sotto il falcato vol de le fischianti

al sol di maggio scimitarre azzurre

croci di Cristo ed aquile di Roma

cadean: le donne

 

tendono in vano a l'are di Maria

Vergin le mani, pallide, discinte,

via trascinate pe' capelli a' molti

letti de l'Islam.

 

Ma s'apre a i venti su per le castella

vigili lungo le selvose Langhe

la fida a Cristo e Cesare balzana

di Monferrato.

 

Nata d'amore e di valor cresciuta,

gente di pugne e di canzoni amica,

di lance e scudi infranti alta sonando

la sirventese,

 

deh come sparve luminosa, il cielo

consparso intorno di vermiglie stelle,

imperïal meteora d'Italia

in Orïente!

 

Dietro le vien co 'l Po, con la sua bianca

croce, con gli anni, pur di villa in villa,

dritta, secura, riguardando innanzi,

un'altra gente.

 

Tra ciglia e ciglia sotto le visiere

balena il raggio del latin consiglio.

Quaranta duci; e l'aquila de l'Alpe

vola d'avanti.

 

Oh più che 'l Po gli aspetta, oh più che il serto

di Berengario! A lor servon gli eventi

e le disfatte: gli emuli d'un giorno

pugnan per loro.

 

Chi è che cade e pare ascendere ombra

da le Langhe nuvolose? O grigia

in mezzo a le due Bormide Cosseria,

croce di ferro!

 

Su le ruine del castello avito,

ultimo arnese or di riparo a i vinti

del re, tre giorni, senza vitto, senza

artiglieria,

 

contro al valor repubblicano in cerchio

battente a fiotti di rovente bronzo,

supremo fior de l'alber d'Aleramo,

stiè Del Carretto.

 

Su le ruine del castello avito,

giovine, bello, pallido, senz'ira,

ei maneggiava sopra i salïenti

la baionetta.

 

Scesero al morto cavaliere intorno

da l'erme torri nel ceruleo vespro

l'ombre de gli avi; ma non il compianto

de' travadori

 

ruppe i silenzi de la valle, un giorno

tutta sonante di liuti e gighe

dietro i canori peregrin dal colle

di Tenda al mare.

 

Altri messaggi ed altri messaggeri

manda or la Francia. Ride su l'eterne

nevi de l'Alpi l'iride levata

de i tre colori.

 

Di balza in balza, angel di guerra, vola

la marsigliese. Svegliansi al galoppo

de' cavalieri d'Augereau gli ossami

liguri e celti.

 

E Bonaparte dice a' suoi, da Monte

Zemolo uscendo al Tanaro sonante

- Soldati, Annibal superò quest'Alpi,

noi le girammo -.

 

Di greppo in greppo su 'l cavallo bianco

saetta il còrso. Spiovongli le chiome

in doppia lista nere per l'adusto

pallido viso,

 

e neri gli occhi scintillando immoti

fóran dal fondo del pensier le cose.

Accenna. E come fulmine Massena

urta ed inonda,

 

ove Corsaglia al Tanaro si sposa

dal mezzo fiede Serurier, sinistro

batte Augereau. Gloria a' tuoi forti, o ponte

di San Michele!

 

Avanza sotto il tricolor vessillo

l'egualitade, avanzano i plebei

duci che il sacro feudale impero

abbatteranno.

 

Ma qui si pugna per l'onor, si muore

qui per la patria. E ben risorge e vince

chi per la patria cade ne la santa

luce de l'armi.

 

Reca, Albertina, pur di guardia in guardia

il parvoletto Carignano. In lui

tòcca la madre Rivoluzïone

per l'avvenire

 

l'ultimo capo dal vittorïoso

ramo di Carlo Emmanuele. Il serto

gitta oltre Po Vittorio, e dittatore

leva la spada.

 

E a te dimani, Umberto re, in conspetto

l'Alpi d'Italia schierano gli armati

figli a la guerra. Il popolo fidente

te guarda e loro.

 

Noi non vogliamo, o Re, predar le belle

rive straniere e spingere vagante

l'aquila nostra a gli ampi voli avvezza:

ma, se la guerra

 

l'Alpe minacci e su' due mari tuoni,

alto, o fratelli, i cuori! alto le insegne

e le memorie! avanti, avanti, o Italia

nuova ed antica.

 

 

 




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