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O dileguanti via
su la marina
tra grigie arene e
fise acque di stagni,
cui scarsa omai la
quercia ombreggia e rado
il cignal fruga,
terre pensose in
torvo aëre greve,
su cui perenne
aleggia il mito e cova
leggende e canta a
i secoli querele,
ditemi dove
rovescio, il crin
spiovendogli, dal sole
mal carreggiato (e
candide tendea
al mareggiante
Eridano le braccia)
cadde Fetonte
ardendo, come per
sereno cielo
stella volante che
di lume un solco
traesi dietro:
chiamano, ed in alto
miran le genti.
Ov'è che prone su
'l fratel piangendo
l'Eliadi suore
lacrimâr l'elettro,
e crebber pioppe,
sibilando a' venti
sciolte le chiome?
Ov'è che a lutto
del fanciullo amato
lai lungi il re de'
Liguri levando
tra le populee
meste fronde e l'ombra
de le sorelle
vecchiezza indusse
di canute piume,
e abbandonata la
dogliosa terra
seguì le belle
sorridenti in cielo
stelle co 'l canto?
Perpetuo quindi un
gemito vagava
su la tristezza di
Padusa immota
ne le fósche acque.
I Liguri selvaggi
spingean le cimbe
lungo ululando in
negre vesti, o sopra
i calvi dossi a
l'isole emergenti
in solchi per il
desolato lago
sedean cantando
lugubremente dove
Argenta siede
oggi. Né ancora
Dïomede avea
di delfic'oro e
argivo onor vestita
d'Adria reina
Spina pelasga. Ahi
nome vano or suona!
Sparì, del vespro
visïone, in faccia
a la sorgente con
in man la croce
ferrea Ferrara.
Salve, Ferrara!
Dove stan le belle
torri d'Ateste e
case d'Arïosti
eran paludi, e i
Lìngoni coloni
davan le reti
al mare incerto e
combattean la preda,
quando campati
innanzi la ruina
del latrante Unno i
Veneti e dal Fòro
giulio i Romani,
sì come i Liguri
avi da le belve
ne le disperse
stazïon lacustri,
qui confuggiro e
ripararon l'alto
seme di Roma.
Salve, Ferrara, co
'l tuo fato in pugno
ultima nata,
creatura nova
de l'Apennin, del
Po, del faticoso
dolore umano!
Poi che di sangue
vìnilo rinfusa
pugne cercando e
libertà, trovasti
risse e tiranni, a
l'orïente - O bianca
aquila, vieni! -
chiamasti. E venne.
Ah ponte di Cassano,
ah rive d'Adda,
quanto grido corse
l'aure lombarde,
allor che su 'l furore
d'Ezzelin domo
ringuainando
placido la spada
Azzo Novello salutò
con mano
la sventolante
rossa croce per le
itale insegne!
D'allora un lume
d'epopea corona
l'aquila d'Este; e
quando ne le sale
le marchesane udian
Isotta e i fieri
giovani Orlando,
un mesto suon di
rapsodia veniva
giù d'Aquileia dal
disfatto piano,
venìa co 'l Po,
cantatagli da' flutti
d'Ocno e di Manto,
l'itala antica
melodia di Maro;
e le vïole de'
trovieri a un tratto
tacean; la dama
sospirava, in alto
guardava il sire.
E a te, Ferrara,
come già d'alpestre
sostanza i fiumi ti
recâr tributo,
onde tu stesti nel
gran piano e saldo
crebbe San Giorgio,
a te da i monti a
te da le colline
d'Italia verdi
profluì l'ingegno
e la bollente
d'igneo vigore
materia umana.
A te gli Strozzi
vennero da l'Arno
tósco parlando e ti
cantâr latina;
e gli Arïosti da
Bologna, accorta
gente di guerra
e di faccenda, che
a stupor del mondo
diêr la sirena del
volubil tono;
venne da Reggio la
diletta a Febo
gente Boiarda;
e da gli Euganei
vennero pensosi
Savonaroli, e da
Verona bella,
la diva Grecia
rivelando, umìle
venne il Guarino.
Onde stagione fu di
gloria, e corse
con il tuo fiume, o
fetontea Ferrara,
ampio, seren,
perpetuo, sonsnte,
l'italo canto.
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