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Giosuè Carducci
Rime e ritmi

IntraText CT - Lettura del testo

  • Alla città di Ferrara nel XXV aprile del MDCCCXCV
    • -2-
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-2-

 

O dileguanti via su la marina

tra grigie arene e fise acque di stagni,

cui scarsa omai la quercia ombreggia e rado

il cignal fruga,

 

terre pensose in torvo aëre greve,

su cui perenne aleggia il mito e cova

leggende e canta a i secoli querele,

ditemi dove

 

rovescio, il crin spiovendogli, dal sole

mal carreggiato (e candide tendea

al mareggiante Eridano le braccia)

cadde Fetonte

 

ardendo, come per sereno cielo

stella volante che di lume un solco

traesi dietro: chiamano, ed in alto

miran le genti.

 

Ov'è che prone su 'l fratel piangendo

l'Eliadi suore lacrimâr l'elettro,

e crebber pioppe, sibilando a' venti

sciolte le chiome?

 

Ov'è che a lutto del fanciullo amato

lai lungi il re de' Liguri levando

tra le populee meste fronde e l'ombra

de le sorelle

 

vecchiezza indusse di canute piume,

e abbandonata la dogliosa terra

seguì le belle sorridenti in cielo

stelle co 'l canto?

 

Perpetuo quindi un gemito vagava

su la tristezza di Padusa immota

ne le fósche acque. I Liguri selvaggi

spingean le cimbe

 

lungo ululando in negre vesti, o sopra

i calvi dossi a l'isole emergenti

in solchi per il desolato lago

sedean cantando

 

lugubremente dove Argenta siede

oggi. Né ancora Dïomede avea

di delfic'oro e argivo onor vestita

d'Adria reina

 

Spina pelasga. Ahi nome vano or suona!

Sparì, del vespro visïone, in faccia

a la sorgente con in man la croce

ferrea Ferrara.

 

Salve, Ferrara! Dove stan le belle

torri d'Ateste e case d'Arïosti

eran paludi, e i Lìngoni coloni

davan le reti

 

al mare incerto e combattean la preda,

quando campati innanzi la ruina

del latrante Unno i Veneti e dal Fòro

giulio i Romani,

 

sì come i Liguri avi da le belve

ne le disperse stazïon lacustri,

qui confuggiro e ripararon l'alto

seme di Roma.

 

Salve, Ferrara, co 'l tuo fato in pugno

ultima nata, creatura nova

de l'Apennin, del Po, del faticoso

dolore umano!

 

Poi che di sangue vìnilo rinfusa

pugne cercando e libertà, trovasti

risse e tiranni, a l'orïente - O bianca

aquila, vieni! -

 

chiamasti. E venne. Ah ponte di Cassano,

ah rive d'Adda, quanto grido corse

l'aure lombarde, allor che su 'l furore

d'Ezzelin domo

 

ringuainando placido la spada

Azzo Novello salutò con mano

la sventolante rossa croce per le

itale insegne!

 

D'allora un lume d'epopea corona

l'aquila d'Este; e quando ne le sale

le marchesane udian Isotta e i fieri

giovani Orlando,

 

un mesto suon di rapsodia veniva

giù d'Aquileia dal disfatto piano,

venìa co 'l Po, cantatagli da' flutti

d'Ocno e di Manto,

 

l'itala antica melodia di Maro;

e le vïole de' trovieri a un tratto

tacean; la dama sospirava, in alto

guardava il sire.

 

E a te, Ferrara, come già d'alpestre

sostanza i fiumi ti recâr tributo,

onde tu stesti nel gran piano e saldo

crebbe San Giorgio,

 

a te da i monti a te da le colline

d'Italia verdi profluì l'ingegno

e la bollente d'igneo vigore

materia umana.

 

A te gli Strozzi vennero da l'Arno

tósco parlando e ti cantâr latina;

e gli Arïosti da Bologna, accorta

gente di guerra

 

e di faccenda, che a stupor del mondo

diêr la sirena del volubil tono;

venne da Reggio la diletta a Febo

gente Boiarda;

 

e da gli Euganei vennero pensosi

Savonaroli, e da Verona bella,

la diva Grecia rivelando, umìle

venne il Guarino.

 

Onde stagione fu di gloria, e corse

con il tuo fiume, o fetontea Ferrara,

ampio, seren, perpetuo, sonsnte,

l'italo canto.

 

 




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