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Ahi ahi l'ora
nefanda! Dal Tebro fiutando la preda
la lupa vaticana
s'abbatte su l'Eridano.
De la bocca
agognante con l'atra mefite ella fuga
turbato l'usignolo
tra gli allori cantando.
D'Armida e di
Rinaldo cantava: cantava Clorinda
con l'elmo e
l'auree trecce, ed Erminia soave.
Salgono su per
l'aere dal canto le imagini: bionde
malïarde sorprese
dal lusingato amore:
vergini sospirose,
che timide i ceruli sguardi
giran, chinando il
viso pallido di desio.
Tutte fuggîr le belle
davanti a la lupa, che tetra
digrigna i bianchi
denti, mette ululati e avanza.
Tutti su' grandi
scudi velaro i guerrieri le croci,
e dileguâr fantasmi
per le insorte tenèbre.
La lupa, con un guizzo
del rabido artiglio la bianca
aquila ghermì al
petto, la strazïò ne l'ale.
Maledetta sie tu,
maledetta sempre, dovunque
gentilezza
fiorisce, nobiltade apre il volo,
sii maledetta, o
vecchia vaticana lupa cruenta,
maledetta da Dante,
maledetta pe 'l Tasso.
Tu lo spegnesti,
tu; malata l'Italia traesti
co 'l suo poeta a
l'ombra perfida de' cenobii.
Pallido, grigio,
curvo, barcollante, al braccio il sostiene
un alto prete rosso
di porpora e salute.
O Garibaldi, vieni!
L'espïazïone d'Italia
con la virtù
d'Italia su questo colle adduci.
Corra nobile sangue
d'Arganti e Tancredi novelli
risorti da Camillo
per la Solima nostra.
Che Sant'Onofrio? È
questa la vetta superba di Giano,
fortezza de'
Quiriti, cuna santa d'Italia:
onde io, Ferrara,
madre de l'itale muse seconda,
questo vindice
canto su 'l nostro Po t'invio.
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