Elegia
del monte Spluga
No, forme non
eran d'aer colorato né piante
garrule e mosse al
vento: ninfe eran tutte e dee.
E quale iva salendo
volubile e cerula come
velata emerse Teti
da l'Egeo grande a Giove:
e qual balzava da
la palpitante scorza de' pini
rosea, l'agil
donando florida chioma a l'aure:
e qual da la
cintura d'in cima a' ghiacci dïasprati
sciogliea, nastri
d'argento, le cascatelle allegre.
Sola in vett'a un
gran masso di quarzo brillante al meriggio
in disparte sedevi,
Loreley pellegrina:
solcavi l'aurea
chioma con l'aureo pettine, lunga
la chioma iva per
l'alpe, vi ridea dentro il sole.
In un tempio a
larghe ombre di larici acuti le Fate
stavan, occhi
fiammanti ne la gemma de' visi:
serti di quercia al
crine su le nere clamidi nero,
scettri avean d'oro
in mano: riguardavano me.
- Orco umano, che
sali da' piani fumanti di tedio,
noi la ti demmo:
aveva gli occhi color del mare.
Or tu ne vieni
solo. Che festi di nostra sorella?
l'hai divorata? - E
fise riguardavan pur me.
- No, temibili
Fate, no, soavi ninfe, lo giuro:
ella è volata fuori
de la veduta mia.
Ma la sua forma
vive, ma palpita l'alma sua vita
ne le mie vene, in
cima de la mia mente siede.
Con la imagine sua
dinanzi da gli occhi tuttora
che mi arde, con la
voce che dentro il cor mi ammalia,
suono di primavera
su 'l tepido aprile dormente,
erro soletto il
mondo, tutto di lei l'impronto.
Ecco, voi Fate e
ninfe, paretemi, e siete, lei sola:
anzi in mia visïone
v'ho creato io di lei.
Ma ella dove
esiste? - Lamenti scoppiarono, e via
sparver le ninfe in
aria, via sotterra le Fate.
E vidi su gli abeti
danzar li scoiattoli, e udii
sprigionate co'
musi le marmotte fischiare.
E mi trovai soletta
là dove perdevasi un piano
brullo tra calve
rupi: quasi un anfiteatro
ove elementi un
giorno lottarono e secoli. Or tace
tutto: da' pigri
stagni pigro si svolve un fiume:
erran cavalli magri
su le magre acque: aconito,
perfido azzurro
fiore, veste la grigia riva.
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