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Giosuè Carducci Rime e ritmi IntraText CT - Lettura del testo |
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-2-O dileguanti via su la marina tra grigie arene e fise acque di stagni, cui scarsa omai la quercia ombreggia e rado il cignal fruga,
terre pensose in torvo aëre greve, su cui perenne aleggia il mito e cova leggende e canta a i secoli querele, ditemi dove
rovescio, il crin spiovendogli, dal sole mal carreggiato (e candide tendea al mareggiante Eridano le braccia) cadde Fetonte
ardendo, come per sereno cielo stella volante che di lume un solco traesi dietro: chiamano, ed in alto miran le genti.
Ov'è che prone su 'l fratel piangendo l'Eliadi suore lacrimâr l'elettro, e crebber pioppe, sibilando a' venti sciolte le chiome?
Ov'è che a lutto del fanciullo amato lai lungi il re de' Liguri levando tra le populee meste fronde e l'ombra de le sorelle
vecchiezza indusse di canute piume, e abbandonata la dogliosa terra seguì le belle sorridenti in cielo stelle co 'l canto?
Perpetuo quindi un gemito vagava su la tristezza di Padusa immota ne le fósche acque. I Liguri selvaggi spingean le cimbe
lungo ululando in negre vesti, o sopra i calvi dossi a l'isole emergenti in solchi per il desolato lago sedean cantando
lugubremente dove Argenta siede oggi. Né ancora Dïomede avea di delfic'oro e argivo onor vestita d'Adria reina
Spina pelasga. Ahi nome vano or suona! Sparì, del vespro visïone, in faccia a la sorgente con in man la croce ferrea Ferrara.
Salve, Ferrara! Dove stan le belle torri d'Ateste e case d'Arïosti eran paludi, e i Lìngoni coloni davan le reti
al mare incerto e combattean la preda, quando campati innanzi la ruina del latrante Unno i Veneti e dal Fòro giulio i Romani,
sì come i Liguri avi da le belve ne le disperse stazïon lacustri, qui confuggiro e ripararon l'alto seme di Roma.
Salve, Ferrara, co 'l tuo fato in pugno ultima nata, creatura nova de l'Apennin, del Po, del faticoso dolore umano!
Poi che di sangue vìnilo rinfusa pugne cercando e libertà, trovasti risse e tiranni, a l'orïente - O bianca aquila, vieni! -
chiamasti. E venne. Ah ponte di Cassano, ah rive d'Adda, quanto grido corse l'aure lombarde, allor che su 'l furore d'Ezzelin domo
ringuainando placido la spada Azzo Novello salutò con mano la sventolante rossa croce per le itale insegne!
D'allora un lume d'epopea corona l'aquila d'Este; e quando ne le sale le marchesane udian Isotta e i fieri giovani Orlando,
un mesto suon di rapsodia veniva giù d'Aquileia dal disfatto piano, venìa co 'l Po, cantatagli da' flutti d'Ocno e di Manto,
l'itala antica melodia di Maro; e le vïole de' trovieri a un tratto tacean; la dama sospirava, in alto guardava il sire.
E a te, Ferrara, come già d'alpestre sostanza i fiumi ti recâr tributo, onde tu stesti nel gran piano e saldo crebbe San Giorgio,
a te da i monti a te da le colline d'Italia verdi profluì l'ingegno e la bollente d'igneo vigore materia umana.
A te gli Strozzi vennero da l'Arno tósco parlando e ti cantâr latina; e gli Arïosti da Bologna, accorta gente di guerra
e di faccenda, che a stupor del mondo diêr la sirena del volubil tono; venne da Reggio la diletta a Febo gente Boiarda;
e da gli Euganei vennero pensosi Savonaroli, e da Verona bella, la diva Grecia rivelando, umìle venne il Guarino.
Onde stagione fu di gloria, e corse con il tuo fiume, o fetontea Ferrara, ampio, seren, perpetuo, sonsnte, l'italo canto.
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