La China antica e
moderna
TestoMentre
l’Italia or si conforta nel pensiero d’un’éra al tutto novella, che la virtú d’eroici figli le promette, or si turba
nel sospetto che ogni tale sua speranza possa ancor solamente risolversi
nell’aggiungere un nuovo volume a una lunga istoria d’inganni e di
dolori: essa non dovrebbe non mirare con intensa cura un’altra nazione, assai
piú grande e piú antica, agitarsi parimenti tra la
speranza di scuotere un giogo barbaro, e la tema di cadere sott’altro giogo non
meno pernicioso perché imposto a nome della civiltà e del fraterno commercio
dei popoli. Quando vediamo i tre piú
grandi governi d’Europa intrudersi nella China e nelle vicine regioni, con
quelle medesime arti, di ambasciatori armati, di mercanti conquistatori, di
soldati rapaci e di turbolenti missionarii, colle quali vennero già spogliati e
avviliti cento e piú millioni
d’uomini nell’India; quando li vediamo apportare sempre nuove insidie e nuove
ferite al diritto delle genti in Oriente, poca fiducia possiamo concepire nei
destini di quelle nazioni dell’Occidente che dovessero mai rassegnarsi alla
giustizia e all’umanità dei potenti.
Data questa qualsiasi
similitudine di condizioni fra l’India e la China, quella gente lontana e
singolare, che a parecchi fra noi nemmen quasi sembra cosa di questo mondo
sublunare, diviene immantinenti oggetto d’utile e doveroso studio. Possiamo
colà contemplare in ampie proporzioni, e in prospettiva meno intorbidata da
domestiche illusioni, le arcane cause per le quali, nulla ostante il numero e
la civiltà e la ricchezza, una nazione può lasciarsi trarre nel vortice
dell’impotenza e della servitú.
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