Lo studio che mi pregio di parteciparvi è
la continuazione d'un lavoro del quale vi diedi già ragguaglio altra volta. Ma
per non riescirvi troppo indiscreto lettore, trapasso molti capitoli
intermedii, sperando poter nondimeno esporvi colla desiderata evidenza il mio
pensiero.
Mi basta
ricordarvi che il generale mio proposito è quello d'investigare fino a qual
ordine d'idee possano pervenire le facultà mentali considerate puramente e
strettamente nell'individuo solitario, al che da Cartesio fino a noi si
circoscrisse per due secoli la psicologia; e prendendo le mosse da questo punto
investigare, come, per ascendere a ulteriori ordini d'idee, sia necessaria la
reciproca azione di più menti associate; il che verrebbe ad essere oggetto d'un
altro ramo di psicologia.
Oggi intendo
additarvi brevemente questo distinto lavoro della mente solitaria e delle menti
associate nella successiva formazione dei sistemi. Il quale studio non vorrete
riputare inutile, quando vogliate considerare che codesta successione di
sistemi costituisce il progresso continuo e indefinito, nella fede al quale il
nostro secolo si distingue da tutti i secoli antecedenti. Perocché i nostri
padri, anche quando di tutto proposito abbracciavano le più remote utopie,
sempre credevano che almeno colà fosse il punto nel quale la natura umana
potesse perpetuamente acquietarsi. Ma pur troppo quella quiete, anche
trasferita a qualsiasi più lontano termine, sarebbe sempre l'assopimento delle
nostre facultà più attive, e la mutilazione della nostra vita intellettuale e
morale.
È superfluo
premettere che per sistema intendo una serie d'idee fra loro intimamente
connesse per mezzo d'un'idea principale o principio, cosicché la mente,
partendo da questa, perviene per forza d'associazione e di deduzione a tutte le
altre; e dalle altre tutte ritorna spontaneamente e abitualmente ad essa,
provando in tale atto un intimo senso di sodisfazione e di riposo.
La tendenza a
coordinare le idee intorno ad un principio è connaturale al nostro intelletto.
In primo luogo,
tutti li objetti delle nostre percezioni fanno già parte d'un medesimo
universo; e perciò queste sono già per origine loro collegate in sistema. L'idea
d'unire in mazzo più fiori vien destata dalla naturale similitudine che vi è
tra fiore e fiore; con ciò la mente solitaria è giunta solamente all'idea del
genere; ma questa a distanza comunque immensa accennava già a quel principio
intorno al quale, nella maturità dei tempi, Linneo doveva ordinare tutto il
sistema delle piante. Tutti li oggetti che destano in noi le idee, facendo
parte d'un ordine naturale, tendono a far sistema in noi, perché fanno già
sistema fuori di noi. Ciò non dipende dalla nostra mente, ma dal mondo
esteriore.
In secondo
luogo, siccome l'uomo, per la limitata natura della sua mente, non può
rappresentarsi in un tratto molte cose distinte, è costretto a compendiare
molte idee in un solo concetto; e perciò tende necessariamente a stringere le
cose in generi, i fatti in leggi, e i generi e le leggi in ordini
e sistemi sempre più comprensivi, aspirando sempre all'unità pur
quando non ha la forza d'afferrarla.
In terzo luogo,
le singole facultà mentali, la sensazione, la memoria, l'attenzione, la
riflessione non sono esseri separati, ma un unico essere pensante ch'esercita
diversi atti. Di tutti questi atti esso ha un'unica coscienza, nella quale
anche le idee più disparate vengono a darsi ricapito, e ad associarsi in varj
modi sia per simiglianza intrinseca sia per diretta opposizione, sia per
circostanze estrinseche di luogo e di tempo, sicché la presenza dell'una
apporta inevitabilmente nello spirito la presenza dell'altra.
In quarto luogo
le idee universali come lo spazio, il tempo, il numero, l'essere, la sostanza,
l'azione, ripetendosi per tutti i generi servono a collegarli sotto un aspetto
commune. Dagli universali si passa per deduzione ad altri universali; e questi
rimangono legati con quelli; e con essi si collegano tutti gli oggetti in cui
li ravvisiamo.
In quinto
luogo, molte operazioni riflessive, come la sintesi, la classificazione, la
deduzione, consistono già nel ravvicinare le idee e nell'ordinarle e nel
connetterle in diversi modi; il che prepara, per così dire, i fili da tessere
poscia in sistemi.
L'uomo dunque e
perché vive in presenza ad un unico universo: e per la limitata
natura del suo intelletto: e per l'unità della sua coscienza:
e per l'identità degli universali: e pel complessivo effetto
di tutte le operazioni riflessive, tende a far sistema delle sue nozioni
anche se lo imaginiamo onninamente isolato, a guisa della statua pensante di
Condillac e di Bonnet.
Ma consideriamo
l'uomo al sito vero, che gli spetta nella catena dei viventi, consideriamolo
come un genere naturalmente e spontaneamente gregario come l'antilope, sociale
come il castoro, famiglievole come il colombo. Anche nella vita spontanea e primitiva,
l'intelletto, quantunque appena galleggiante sopra gli istinti della natura
animale, già tende al sistema. Il selvaggio conosce appena il clima del suo
cielo, le selve e le sabbie della sua terra; è rinchiuso in un'isola in mezzo
all'interminato oceano; eppure egli sospinto da quelle interne potenze che sono
indivisibili dal suo essere, fa già sistema di quanto gli sta intorno. Egli ha
già qualche cosa da aggiungere a ciò che i suoi sensi gli dicono del sole e
della luna, del vento e della pioggia, delle erbe e degli animali.
E dove rinviene
il selvaggio l'idea-principio intorno alla quale unificare
tutte le altre? Il selvaggio, flagellato assiduamente dalle necessità della
vita, non si cura se non di ciò ch'è necessario alla vita. Tutto ciò che non è
cibo e bevanda, tutto ciò che non è caccia o battaglia, tutto ciò che non può
nuocere al suo nemico, né giovare a quel gruppo di viventi col quale egli è
immedesimato, è nulla per esso; esso non lo vede e non l'ode. Tutti i
viaggiatori hanno notato codesta incuria del selvaggio per tutto ciò che non
entra nel rigido circolo de' suoi pensieri. La fame, la sete, la stanchezza,
come lo spavento, l'amore, la vendetta lo richiamano sempre a sé e a' suoi. V'è
una voce che suona unica e assidua nella sua coscienza, la voce dell'egoismo,
ciò che la scienza chiama l'io; intorno al qual io si avvolge la
famiglia; e insieme ad essa ed alla tribù amica, si avviticchia come fascio di
spine la tribù nemica. La passione predomina all'intelletto; l'idea non germina
se non in quanto la passione la cova. Il primo sistema, nel punto medesimo in
cui scaturisce dall'io, è già un sistema sociale.
Con questo
principio, di sentimento e non di ragione, di mera associazione d'idee e non di
lavoro riflessivo, l'uomo spiega a sé stesso, tutti i fenomeni dei quali si
cura e dei quali si accorge; tutti li altri restano ripulsi dal suo sistema. Io
lo chiamo un sistema chiuso. Un sistema, non turbato da estrania
influenza, potrebbe restar chiuso in eterno. E vaglia il vero; dopo migliaja
d'anni dacché cominciò sul globo l'epoca dell'uomo, vi sono ancora oggidì tribù
dell'Australia e dell'America equinoziale, che non hanno ancora trovato i
numeri per contar le dita d'una mano. Molti popoli sono periti senza uscire
dalla prima barbarie.
Questa
filosofia del selvaggio interpreta la natura per mezzo della volontà; perché la
volontà è un principio affine all'istinto e del quale anche la vita selvaggia è
conscia a sé. Ogni cosa che si move appar cosa viva; l'animale, la pianta
stessa appajono trasformazioni dell'uomo. Nella morale d'Esopo li
animali sentono e pensano come li uomini. E dove la favola d'Esopo può valer di
morale; la metempsicosi può divenire la teologia.
Dico può
divenire; ma quando? E come? Qual è l'occasione che può svolgere
nell'intelletto barbaro questo o qualsiasi altro nuovo corso di pensieri? Qual
è il principio intorno a cui può costituirsi un nuovo sistema?
Il principio è
ancora il sentimento. Presso le più misere tribù, vi è sempre negli individui o
nelle famiglie qualche grado maggiore di forza o di coraggio o di sagacia, o
anche solo d'ambizione e di ferocità. V'è dunque alcuno che guida quando li
altri camminano, che riposa quando li altri vegliano, che giudica quando li
altri contendono, che riceve una più larga parte della caccia e della preda. La
sua vita meno aspra può adagiarsi alquanto, può comprendere anche ciò che non
interessa solo la fame e la sete. Il suo io, conscio di quei barbari onori e di
quei barbari poteri, concepisce già l'idea d'un ordine di cui sente d'esser
principio in seno alla sua tribù; ed attribuisce un simile ordine anche alle
volontà che crede regnanti in seno alla natura.
In questo nuovo
uomo che si sovrapone alla società, i sensi meno assediati dal bisogno lasciano
un più largo respiro alla imaginazione. L'imaginazione riempie tutti li spazii
che la sensazione non preoccupa. La fantasia compie sempre i sistemi; anche nelle
età più tarde essa fornisce le ipotesi che spesso fanno funzione di principio.
Il disco del sole e della luna eccitò nella mente una vaga idea di volto umano;
la pittrice fantasia lo compì; tracciò vagamente due corpi, l'uno virile,
l'altro femineo; ecco il sole e la luna fratello e sorella; tutti i casi della
barbara tribù si tradussero negli astri; l'eclissi parve una lutta mortale con
qualche mostro invisibile; quando la luna non risplendeva, fu creduta
discendere in terra, costretta da voce potente o da furtivo amore. Le società
umane, nelle ubertose valli lungo i grandi fiumi e i laghi si vennero
associando e moltiplicando, si sparsero in altre regioni, trovarono altri
frutti, scopersero i grani, domarono il cavallo e il toro, inventarono il
carro; e la fantasia prosegue mano mano il suo lavoro; donò i cavalli e il
carro anche al sole, alla luna, all'aurora, alla notte.
Così colle
conquiste del senso e della ragione crebbe anche l'eredità dei sogni. La
scoperta non poteva luttare colla tradizione dell'errore nel cui seno veniva
insensibilmente e quasi secretamente nascendo. Sempre la fantasia tenne la più
larga parte del sistema sociale in tutto ciò che non cade rettamente sotto il
criterio del senso; è la verità che apparve alle moltitudini come un sogno. Non
è vero che anche oggidì la chiamiamo spesso utopia? Il padre Caccino poté
deridere Galileo in faccia a' suoi cittadini: Viri Galilei quid statis
adspicientes in cælum? E Democrito, l'uomo di genio che primo vide
nella Via Lattea una miriade d'astri lontani, parve l'uomo che parlasse
solo per deridere chi l'ascoltava. Verità pareva alle moltitudini che la Via
Lattea fosse traccia di latte sparso dalla Dea dell'aere; ovvero che fosse un
solco della campagna celeste riarso dal carro vagabondo del figlio del sole; e
ai sagaci e gravi Romani, Ovidio poté ripetere ancora ch'era la gran via che
conduce i celesti alla reggia di Giove
Hac iter est
superis ad magni tecta Tonantis.
E noi pure,
noi, nel ripetere questi eleganti sogni sentiamo nella mente non so quale
voluttà.
I varj sistemi
primitivi che i popoli si andarono foggiando, consuonano sempre fra loro in
alcune parti. Ciò avviene perché la natura anche nelle più diverse contrade
offre molte leggi identiche e molte circostanze simili; e perché il genere
umano, anche fra le stirpi più inegualmente dotate dalla natura, ha simili
facultà percettive e riflessive. È ciò che Vico chiamò la commune natura
delle nazioni; in virtù della quale si riscontrano le medesime idee fra i
popoli che non hanno potuto farsene communicazione.
Ognuno di
codesti sistemi sociali contiene qualche parte di vero, contiene la cognizione
di qualche fatto naturale utile all'uomo. Un popolo avrà trovato il frumento;
un altro avrà trovato il ferro. Uno avrà osservato li astri per guidarsi sul
mare, l'altro per nutrire le sue superstizioni o farsi animo nelle sventure. Se
due popoli vengono a communicare per effetto di conquiste, di schiavitù, di
commercii, di parentele, di studii, le scoperte fatte dall'uno si aggiungono
alle verità scoperte dall'altro. Le nuove parti di vero scacciano quelle idee
posticcie e imaginarie che tenevano il loro luogo nelle menti. Le altre
fantasie rimangono. Le parti conciliabili dei due sistemi, vere o imaginarie,
vanno a poco a poco raccozzandosi in nuovo sistema. Questo trapassa nella
tradizione; e se altra innovazione tosto non sopraviene, il sistema si compie e
si chiude, e la ragione publica vi si acquieta. Il nuovo sistema è progressivo;
cioè corrisponde più fedelmente all'ordine della natura e della morale, se il
nuovo elemento è una verità. Ma se il nuovo elemento è un nuovo sogno,
s'è la fantastica asserzione d'un Maometto, s'è il despotismo che si pone in
luogo della libertà, s'è l'autorità che si pone in luogo della ragione, il
sistema è regressivo. Vi è nelle nazioni il progresso, ma v'è anche il regresso
e il decadimento; non si può negare che molte terre fiorenti or sono desolate;
e molti popoli sono periti. Ma se i nostri padri non credevano al progresso,
noi non crediamo quasi più al decadimento. Il progresso prevale perché col
corso del tempo cresce naturalmente il numero delle verità. In generale un
sistema posteriore ad un altro abbraccia maggior copia di scoperte. Talora
anche per la via di grandi calamità un popolo viene spinto quasi per forza
sotto i raggi di nuove verità. Concepisce quindi un principio di maggior
potenza, poiché l'uomo tanto può quanto sa.
Roma ne' suoi
primordii trovossi al confine di tre lingue, la latina, la sabina,
l'etrusca, ciascuna delle quali rappresentava un proprio sistema d'idee. Roma
adunque riunendo nel suo recinto famiglie di quei tre popoli, riunì tre sistemi
che divennero un solo; poté valersi delle idee di tre popoli; a queste aggiunse
poi le idee d'altri popoli più lontani, come dei Cartaginesi e dei Greci. A
senno e valore eguale, i suoi consigli dovevano preponderare; questo costante
vantaggio doveva condurla infine a soggiogare e assorbire le forze rivali.
Costituita così
da origine, Roma rimase sempre accessibile alle idee degli altri popoli; essa
le accoglieva, non le rifiutava come fece la China o l'India, che erano
costituite fin da origine con sistemi esclusivi. La China impose le sue tradizioni
anche a' suoi conquistatori.
Poche miglia
lontano da Roma, erano sparse su tutti i lidi d'Italia le città greche; ed ecco
la missione attribuita ai Decemviri, d'aprire le leggi romane all'esperienza
greca. Alle foci del Tevere s'arena una nave punica; e Roma se ne fa
immantinente un modello. Perché i Chinesi oggidì non fanno altretanto, perché
affrontano colle inette loro giunche le navi animate dal vapore?
Più tardi la
filosofia stoica si versò a rivi nella giurisprudenza romana. Un sistema
perpetuamente aperto poté continuare per più secoli ad accumulare presso di sé
tutti quei vantaggi che presso le altre nazioni rimanevano disgiunti e
incompleti. Infine quanto v'era nelle armi, nella politica, nell'agricultura, nel
commercio, nella filosofia, nella città degli Etruschi, nei collegii dei
Druidi, nelli arsenali dei Cartaginesi, nelle sette della Grecia, tutto divenne
eredità d'un popolo che fu più grande di tutti, perché abbracciò in sé quanto
faceva grandi li altri popoli.
Ma qualunque
sia la copia d'idee che una nazione venga a combinare nel suo sistema, quando
essa ha compiuto l'opera e ha potuto conciliare e coordinare tutte le sue idee,
allora tende a fermarsi e riposarsi in quella pace mentale. E può rimanervi
inoperosa per molte generazioni, finché qualche nuovo principio non la provochi
a sconnettere e riformare l'antico sistema.
Intanto, al
luogo di chi muore della generazione esercitata e operosa, sopravengono mano
mano altre generazioni, che raccolgono per eredità e per passiva imitazione le
idee già elaborate. Le facultà mentali e morali dei posteri non hanno occasione
di fermento e di travaglio; sono come piante nella stagione invernale; non
hanno fronde, non fiori, non frutti; né poesia, né sapienza, né valore, né
virtù. Eccovi la grande unità bizantina; ecco ciò che in China divenne la scôla
di Confucio ventiquattro secoli dopo Confucio. Tutte le questioni appaiono già
sciolte dalla sapienza dei maggiori; miseri i figli che temono d'esser migliori
dei loro padri; le dottrine più audaci sono ridutte dal tempo ad aride regole,
a formule viete, a consuetudini stupide e servili. Epperò un medesimo ordine
d'idee che dapprima fu progresso divien poscia decadimento. Hanno
bisogno i popoli di sempre nuovo lavoro per tenere vivaci e sveglie le loro
facultà. I sistemi devono tenersi sempre aperti, un sistema compiuto e
chiuso diviene il sepolcro dell'intelligenza e della virtù che lo ha tessuto.
In tale torpore sono caduti li Asiatici per effetto di quella stessa precoce
sapienza che si ammira nei loro antichi sistemi. In tale stato giacque per
mille anni la Grecia, dopoché all'instancabile agitazione delle rivali
republiche si sovrapose la conquista macedonica e l'unità imperiale. Il sommo
pregio della scienza esperimentale non è solamente nei prodigii della fisica,
della chimica, in quanto sono benéfici veri alla parte materiale del nostro
vivere, ma è in quanto agitando e rinnovando i sistemi tengono in assidua
tensione le nostre facultà e pongono le nazioni barbare o stazionarie nella
dura alternativa o d'associarsi al progresso o di soccumbere; e ancora in
codesta loro apparente ruina d'associarsi a noi e al nostro avvenire.
Laonde un
popolo ch'esca appena dalla barbarie ed abbia scarso apparato d'idee; ma si
volga con generosa fede alle idee nuove e adoperi ed esalti intorno ad esse
tutte le sue facultà, può in breve prevalere ad altro popolo più antico e più
addottrinato, le facultà del quale siano compresse dall'autorità del passato.
Un sistema aperto può assimigliarsi a una gioventù perpetua, come appunto è
ogni scienza esperimentale. Pertanto i popoli antichi nelle colonie
ringiovaniscono, in ragione appunto dei sistemi in parte nuovi che sono
costretti ad effettuare. Nell'istoria greca i Dori, ch'erano quasi barbari
nell'alpestre loro patria, svolsero un alto genio politico nella colonia di
Sparta; e non giunsero a piena vita mentale se non nelle colonie transmarine
d'Alicarnasso, di Rodi, di Taranto, di Siracusa.
In certe
combinazioni d'idee, portate dalle mescolanze politiche e commerciali delle
nazioni, vengono sovente a involgersi principj fra loro contrarii. Allora
divien perpetuamente vano lo sforzo di conciliarli in sistemi stabili e tranquilli.
Nel patrimonio
ideale che l'Europa moderna ereditò da tutti i popoli dell'antichità e del
medio evo e vie più accrebbe colle sue scoperte, vi sono molti di tali
principii più o meno fra loro discordi. Tali sono la giurisprudenza romana e la
feudale; le filosofie dei Greci e la teocrazia degli Ebrei; la matematica e la
poesia; la fisica e la metafisica; le necessità dello stato e l'infallibilità
della chiesa; il disprezzo delle cose mondane e il culto della ricchezza.
Inoltre, il processo esperimentale, fecondo di scoperte, e la rivalità
politica, avida di profittarne, spronano continuamente anche le nazioni più
torpide e i governi più ritrosi ad abbracciar una serie d'innovazioni sempre
rinascente e inesauribile; la quale penetra ed apre i sistemi più compatti.
Fin dal
risurgimento delle scienze, le menti costrette a combinare tanti discordanti
pensieri, si resero in questo continuo sforzo sottili, audaci, libere. Acquistarono
potenza d'emanciparsi da ogni sistema chiuso e di scuotere ogni giogo
d'autorità, seguendo risolutamente e impavidamente l'unico lume dell'esperienza
e della ragione. Dall'esperienza e dalla ragione sempre nuove scoperte;
continua mobilità e incertezza di sistemi, se non in quanto per la loro verace
utilità possano giustificarsi; quindi continua necessità di nuove elaborazioni
e scoperte.
E perciò
nell'Europa una forza espansiva preme e incalza i sistemi tradizionali, tanto
delle nazioni barbare le cui facultà non furono peranco esercitate, quanto
delle nazioni vetuste le cui facultà erano già ricadute nel sonno.
L'opposizione inconciliabile dei principii confusamente in Europa abbracciati,
l'inesauribilità del processo esperimentale, e la ragione dei popoli, sciolta
omai da ogni vincolo di tradizione, preparano al genere umano un'indefinita
carriera e gli promettono una perpetua gioventù.
Il progresso
nella proporzione medesima con cui fornisce nuove idee, fornisce anche nuova
occupazione all'intelletto, tiene in esercizio forzoso le nostre facultà morali
e le spinge a continuo perfezionamento.
In questa
fausta prospettiva sospendo la omai troppo prolissa deduzione de' miei
pensieri.
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