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Carlo Cattaneo
La China antica e moderna

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Non è che manchi ai Chinesi la coscienza d’esser nazione; poiché già una volta scossero il dominio straniero dei Mogoli; e già da piú generazioni, già fin dal principio del nuovo dominio dei Manciuri, colà millioni d’uomini vivono ascritti a ereditaria e perpetua congiura; e una vasta ribellione, discesa dalle ancora indomite regioni montuose, contende da parecchi anni ai dominatori le piú fertili provincie. Né si può dire che manchi loro fierezza di propositi, coraggio e devozione, quando si vedono popolose città interamente desolate dalle guerre civili e straniere, e i loro difensori, anziché lasciare in potere dei nemici le famiglie, trucidarle di propria mano, e gettarle nelle fiamme.

Il pregiudicio che attribuisce sommariamente la debolezza di quei popoli a inerzia mentale, all’odio d’ogni utile innovazione, al nessuno contatto con altre genti, involge alcune parti di vero; ma nel suo complesso è un grave inganno. La debolezza loro dipende veramente da cause che sono assai meno lontane da quelle per le quali siamo caduti noi medesimi, per lungo tempo, in basso e indegno stato. La civiltà chinese, iniziata splendidamente venti e piú secoli prima della fondazione di Roma, e quando la superba Europa era ancora tutta barbara e in gran parte selvaggia, fu sempre e assiduamente progressiva. E se non neghiamo i fatti piú evidenti e solenni, lo è ancora ai nostri giorni. I Chinesi, senza noi, e prima di noi e a nostro ammaestramento e vantaggio, trovarono la cultura del riso e quella del cotone, dello zucchero, del , del limone, dell’arancio, quella della canfora, del rabarbaro e d’altre piante salutari. Trovarono dal principio al fine tutta l’arte di raccoglier la seta, di filarla, di tesserla, di tingerla in colori che sono ancora un secreto per la nostra chimica. Essi, già nei tempi di Marco Polo, or sono sei secoli, avevano scoperto l’uso del carbon fossile, che a quell’illustre viaggiatore parve una pietra. Essi trovarono pur da principio a fine tutta l’arte di comporre e colorare porcellane di mirabile delicatezza; e di fare carta di seta, di gelso, di bambú, d’aralia; di trarre tele e stuoie da specie a noi ignote di palme, d’ortiche, di canapi, di giunchi; e ricavare pur dal regno vegetale sevo, cera, sapone, vernici, lacche; di preparare finissimi inchiostri e acquerelli. Essi inventarono prima di noi la polvere da foco, e la stampa; trasmisero per mezzo degli Arabi agli Italiani la prima invenzione della bussola. Essi, prima di noi, ridussero ad arte la concimazione, la pescicultura, la selvicultura, la costruzione dei giardini, non solo in terra, ma persino sopra zattere galleggianti; essi furono maestri agli Olandesi, agli Inglesi, ai Francesi nella piú gentile delle arti, la floricultura. Essi condussero le acque a irrigare, non solo i piani, ma il pendio delle colline; essi scavarono fin dai remoti tempi il piú largo e lungo di tutti i canali navigabili del mondo; costrussero sovra un braccio di mare un ponte di trecento pile; e con argini di fiumi e tagli di paludi, acquistarono all’agricultura provincie che noi chiameremmo grandi regni. Né il Chinese rifiutò in questi ultimi anni di accettare utili esempii; adottò largamente le tre culture americane della patata, del maiz e del tabacco; accolse docilmente l’innesto del vaccino, combattuto lungamente in Europa; e pur troppo da soli sessant’anni si sotomise al fatale uso e al piú fatale commercio dell’opio.

Ma la piú manifesta prova d’un immenso progresso, operato in queste ultime generazioni su tutta la superficie della China, è questa. Mentre le memorie dei secoli piú lontani attribuiscono alla China solo tredici millioni d’abitanti; e quelle del principio dell’era nostra sessanta millioni, questo numero nel principio del secolo passato saliva a cento; verso la fine del secolo a trecento. E se prestiamo fede alle ultime notizie officiali fatte raccogliere dal governo francese, sarebbe giunto nel 1812 a 367 millioni; e nel 1860 al prodigioso numero di 530 millioni ; che fa incirca il doppio della popolazione di tutta Europa; quasi la metà del genere umano1. Onde li scrittori officiali francesi, li scrittori d’un governo a cui mancò appunto sempre l’arte di moltiplicare le sussistenze, si fanno maraviglia che su tutta la vasta superficie della China, comprese le piú inospiti montagne, possano vivere 157 abitanti per chilometro quadro, e nelle provincie basse 262 abitanti, mentre la Francia su tutta la sua superficie ne ragguaglia incirca 60. «Aucune grande nation n’est parvenue à faire vivre une quantité d’hommes aussi considérable; — magnifique résultat, obtenu par des progrès continus depuis deux siècles». Noi non crediamo che il sommo della sapienza civile sia: quello di gettar sulla superficie del globo millioni di miserabili, non intendiamo disputare se un rapido incremento di popolazione sia un assoluto bene o un assoluto male. Ma diciamo che una nazione la quale in 150 anni trovò modo di far vivere, sovra una terra già popolata da cento millioni d’uomini, quattrocento millioni di più, senza avere usurpato il valore d’un centesimo alle altre nazioni della terra, non può esservi riescita senza un immenso sviluppo di lavoro, di capitale e d’ingegno; e che, chi la giudica da lontano una gente inerte e decrepita, è un insensato.

 




1 Vedi Travaux de la Commission Française sur l’Industrie des Nation, publiés par ordre de l’Empereur. Paris. Imprimerie impériale, 1860. Tome I, troisième partie; pag. 129.






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