Le prime
origini della civiltà chinese salgono a un personaggio ideale, detto Pu-han-ku;
il quale si dipinge vestito di foglie; e figura i primi istitutori delle genti
selvagge. Deve appartenere a una remotissima antichità; poiché, tremila anni
prima dell’êra nostra, appare un’altra persona, forse parimenti ideale, la
quale rappresenta già un progresso mentale e morale, che non poteva essersi
compiuto se non nel corso di molte generazioni. Questi vien chiamato Fu-hi; e
vien detto inventore dei numeri e della musica, la quale costituí sempre una parte importante dei riti
chinesi. Vien creduto inoltre autore del Libro delle Forme o metamorfosi
(Y -king). Questo tratta di cosmogonia e di divinazione;
poiché l’ordine terrestre, per conformarsi all’ordine celeste, deve
corrispondere ai segni che ne dànno indizio; ma comprende anche dottrine
di morale e di metafisica molto astratta; e il tutto viene significato con
simboli e combinazioni di lettere e linee di senso oscurissimo. Il Libro
delle Forme chiama virtuosi li uomini che si sottomettono alle leggi del
cielo e della terra, e malvagi i ricalcitranti; promette ai primi i sei beni
della terra e minaccia ai secondi i sette mali; ma non vi si vede alcuna
menzione di premi o di pene d’un’altra vita; né d’un’anima distinta dal corpo,
né d’un Dio distinto dal cielo visibile.
Intorno a ciò arsero lunghe
controversie tra i domenicani inquisitori e i missionarii gesuiti, ch’erano
accusati a Roma d’essersi fatti popolari alla China professando le dottrine e i
riti chinesi; e che per giustificarsi in Europa erano costretti a
provare, che quegli antichi libri insegnavano la vita futura e l’esistenza di
Dio. Il fatto si è che, siccome il re medesimo faceva le incruente offerte al
cielo e alla terra per mano sua o de’ suoi ministri, la China primitiva non ebbe
sacerdoti.
Nel secolo XXVII avanti l’êra nostra, propriamente nell’anno 2698,
primo del re Hoang-ti, cominciano le date certe della cronologia
chinese. D’allora in poi quei dotti tennero diligenti memorie delle eclissi e
del principio dei regni; cioè di quelli ch’erano a mente loro i piú grandi eventi del cielo e della terra.
Dal secolo XXII ha principio il
libro degli Annali (Shu-king) di Ki-tseu, nel quale
leggiamo i nove precetti per ben governare i regni. E sono: 1°
perfezionar sé stesso; 2° riverire i sapienti; 3° amare i parenti; 4°
onorare i supremi dignitarii; 5° vivere in buona concordia con tutti li altri
magistrati; 6° trattare il popolo come un figlio; 7° attrarre presso di sé i
dotti e li artefici; 8° accogliere cortesemente li uomini che vengono da
lontano e li stranieri; 9° trattar con amicizia i principi vassalli.
Per ciò che riguarda li
stranieri, la glosa del Tciung Yung (cap. XX art. 11) aggiunge,
che li stranieri summentovati sono: i mercanti forestieri (shang),
i trafficanti (ku), li ospiti o visitatori (pin), e li stranieri
al paese (liu). E l’articolo 13°
soggiunge, secondo la traduzione del dottissimo sinologo Pauthier: «Reconduire
les étrangers quand ils s’en vont, aller au devant de ceux qui arrivent pour
les bien recevoir, faire l’éloge de ceux qui ont de belles qualités et de beaux
talens, avoir compassion de ceux qui en manquent, voilà les moyens de bien
recevoir les étrangers.»2 Ciò
risponde a coloro che credono l’inospitalità un principio fisso e originario di
quella nazione.
Verso quei tempi, cioè settecento
anni prima di Mosé, regnò Yu, che aveva meritato il regno lavorando
molti anni a liberar le terre dalle aque; tanto antiche sono le opere
idrauliche presso quella venerabile nazione! Pertanto, sacrificatore e ingegnere,
il re Yu spiega il significato primitivo della voce pontifex presso
i nostri antichi padri italiani. Cosí le memorie delle nazioni reciprocamente
s’illustrano.
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