III
Prime ostilità
Il
generalissimo Radetzki, attorniato da uno stato maggiore di teutomani, agognava
al momento di far sangue e roba, millantandosi di voler rifare in Italia le
stragi di Galizia. Come dubitarne, quando si vedeva comparire nello stesso
tempo in Brescia con autorità militare il carnefice Benedek, e con autorità
civile il fratello del carnefice Breindl? Al primo di gennaio, i giovani di
tutto il regno si erano invitati fra loro a non fumar più tabacco, per togliere
alla finanza austriaca una delle sue principali entrate. Lo stato-maggiore
distribuì tosto trentamila cigari ai soldati, e dando loro quanto denaro
bastasse a ubriacarli, li mandò ad accattar briga in città. I medici delle
prigioni riconobbero nelle vie bande di condannati, alcuni in atto di fumare
per irritare il popolo, altri in atto d'urlare dietro ai soldati che fumavano.
Alla sera del 3 gennaio, granatieri ungaresi e dragoni tedeschi si avventavano
colle sciabole sulla gente che moveva pacifica per la città; evitando i
giovani, ferivano e uccidevano vecchi e fanciulli. Si seppe che arrestati molti
cittadini si trovarono senz'armi; onde fatta manifesta la vile insidia dei
militari, molti dicevano apertamente: un'altra volta noi pure saremo armati; e
si vedrà!
Frattanto
l'opposizione preparava i materiali della riforma. Poco dopo il 3 giugno, il
matematico Gabrio Piola propose che l'istituto delle scienze facesse rapporto
sull'insegnamento e sulla stampa. Nominati tosto in commissione Pompeo Litta,
Piola, Restelli, Rossi ed io, che fui il relatore, temperandoci dall'acerba
censura del presente, ordinammo il nostro scritto all'ulteriore sviluppo
dell'insegnamento, valendoci di forse quaranta rapporti speciali che furono
alacremente forniti dai colleghi. Dimandammo le riforme suggerite dai tempi,
nell'alte scienze, nell'agricultura, nell'industria, nel servigio sanitario.
Intorno alla milizia, io proposi che il collegio dei sessanta nobili, ististuito
poco dianzi in Vienna, e che ci costava quanto ambo le università di Padova e
Pavia, fosse restituito in paese, e trasformato in numerosa scuola politecnica
militare e civile; proposi inoltre che, essendo il nostro regno quello che
pagava di più, i nostri soldati fossero anco ammaestrati a quei generi di
milizia ch'erano i più costosi, come la cavalleria e l'artiglieria. Ma non mi
si sarebbe nemmen lasciato il tempo di compromettermi; poichè nello stesso dì
che la polizia mi seppe relatore in quell'argomento aveva dimandato licenza a
Vienna di deportarmi, in uno con Rosales, Soncino e Battaglia. Ebbi poi un
dispaccio, trovato presso la polizia, nel quale il vicerè Raineri, approvando
la deportazione per li altri, dichiarava per me non ancora (noch nicht)
venuto il tempo. Del che fui debitore al mio spettabile amico Enrico Mylius, il
quale, trapelata la cosa, ne aveva gettato un motto di lagnanza a un
consigliere del vicerè. In tal modo punivasi in noi il compimento d'un dovere;
poiché l'istituto era, per regolamento imperiale, l'organo del governo
in quelli argomenti.
Ma poco
parendo omai le deportazioni, la polizia impetrò il giudizio statario, cioè
l'autorità di processare e impiccare entro due ore. L'infame legge doveva prender
vigore al martedì grasso, quando appunto cominciava, giusta il rito ambrosiano,
quel prolungamento di carnevale ch'è festevole convegno in Milano a migliaia di
famiglie delle vicine città. Il popolo interdetto dalli usati solazzi, e dai
guadagni, mirava taciturno quel delirio de' suoi governanti; egli si sentiva
nell'animo l'ora del conflitto.
Il truculento
Radetzki armava il castello; faceva partire da Milano il governatore Spaur uomo
mansueto; faceva partire il vicerè e la sua famiglia; voleva averci affatto in
mano de' suoi.
Avezzo a tarda
veglia, io potei contare dalle mie stanze in due ore ben nove pattuglie; in
quelle notti carnevalesche, già sì festose, non altro si udiva che la greve e
tarda pedata del soldato. Ogni giorno, deportazioni improvise rapivano altri
cittadini; le donne tremavano; l'ansietà cresceva; eppure nessuno fuggiva; un
lume di speranza era in fondo ai cuori. Le novelle d'ogni giorno accendevano
sempre più le menti; un giorno, era ribellione a Palermo; un altro, la costituzione
a Napoli; un altro, a Firenze, a Torino; un altro la republica a Parigi. Il
falso, aggiunto al vero, accresceva la febre; si sussurava di sessantamila
fucili, già preparati per noi da Carlo Alberto, lungo la frontiera; - di
quarantamila, già introdutti per noi in Milano; - d'un contingente chiamato
all'armi in Torino; di due contingenti, di tre, di quattro; - entro due mesi,
entro uno, a giorni a giorni, ogni cosa sarebbe presta alla guerra. E li
Austriaci dal canto loro publicamente dicevano, che, per frenare il Piemonte,
erasi dimandata in pegno Alessandria; e vantavano prefisso alla loro entrata
colà il 6 di Marzo.
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