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Carlo Cattaneo
Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra

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  • III Prime ostilità
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III

Prime ostilità

 

Il generalissimo Radetzki, attorniato da uno stato maggiore di teutomani, agognava al momento di far sangue e roba, millantandosi di voler rifare in Italia le stragi di Galizia. Come dubitarne, quando si vedeva comparire nello stesso tempo in Brescia con autorità militare il carnefice Benedek, e con autorità civile il fratello del carnefice Breindl? Al primo di gennaio, i giovani di tutto il regno si erano invitati fra loro a non fumar più tabacco, per togliere alla finanza austriaca una delle sue principali entrate. Lo stato-maggiore distribuì tosto trentamila cigari ai soldati, e dando loro quanto denaro bastasse a ubriacarli, li mandò ad accattar briga in città. I medici delle prigioni riconobbero nelle vie bande di condannati, alcuni in atto di fumare per irritare il popolo, altri in atto d'urlare dietro ai soldati che fumavano. Alla sera del 3 gennaio, granatieri ungaresi e dragoni tedeschi si avventavano colle sciabole sulla gente che moveva pacifica per la città; evitando i giovani, ferivano e uccidevano vecchi e fanciulli. Si seppe che arrestati molti cittadini si trovarono senz'armi; onde fatta manifesta la vile insidia dei militari, molti dicevano apertamente: un'altra volta noi pure saremo armati; e si vedrà!

 

Frattanto l'opposizione preparava i materiali della riforma. Poco dopo il 3 giugno, il matematico Gabrio Piola propose che l'istituto delle scienze facesse rapporto sull'insegnamento e sulla stampa. Nominati tosto in commissione Pompeo Litta, Piola, Restelli, Rossi ed io, che fui il relatore, temperandoci dall'acerba censura del presente, ordinammo il nostro scritto all'ulteriore sviluppo dell'insegnamento, valendoci di forse quaranta rapporti speciali che furono alacremente forniti dai colleghi. Dimandammo le riforme suggerite dai tempi, nell'alte scienze, nell'agricultura, nell'industria, nel servigio sanitario. Intorno alla milizia, io proposi che il collegio dei sessanta nobili, ististuito poco dianzi in Vienna, e che ci costava quanto ambo le università di Padova e Pavia, fosse restituito in paese, e trasformato in numerosa scuola politecnica militare e civile; proposi inoltre che, essendo il nostro regno quello che pagava di più, i nostri soldati fossero anco ammaestrati a quei generi di milizia ch'erano i più costosi, come la cavalleria e l'artiglieria. Ma non mi si sarebbe nemmen lasciato il tempo di compromettermi; poichè nello stesso che la polizia mi seppe relatore in quell'argomento aveva dimandato licenza a Vienna di deportarmi, in uno con Rosales, Soncino e Battaglia. Ebbi poi un dispaccio, trovato presso la polizia, nel quale il vicerè Raineri, approvando la deportazione per li altri, dichiarava per me non ancora (noch nicht) venuto il tempo. Del che fui debitore al mio spettabile amico Enrico Mylius, il quale, trapelata la cosa, ne aveva gettato un motto di lagnanza a un consigliere del vicerè. In tal modo punivasi in noi il compimento d'un dovere; poiché l'istituto era, per regolamento imperiale, l'organo del governo in quelli argomenti.

 

Ma poco parendo omai le deportazioni, la polizia impetrò il giudizio statario, cioè l'autorità di processare e impiccare entro due ore. L'infame legge doveva prender vigore al martedì grasso, quando appunto cominciava, giusta il rito ambrosiano, quel prolungamento di carnevale ch'è festevole convegno in Milano a migliaia di famiglie delle vicine città. Il popolo interdetto dalli usati solazzi, e dai guadagni, mirava taciturno quel delirio de' suoi governanti; egli si sentiva nell'animo l'ora del conflitto.

Il truculento Radetzki armava il castello; faceva partire da Milano il governatore Spaur uomo mansueto; faceva partire il vicerè e la sua famiglia; voleva averci affatto in mano de' suoi.

Avezzo a tarda veglia, io potei contare dalle mie stanze in due ore ben nove pattuglie; in quelle notti carnevalesche, già sì festose, non altro si udiva che la greve e tarda pedata del soldato. Ogni giorno, deportazioni improvise rapivano altri cittadini; le donne tremavano; l'ansietà cresceva; eppure nessuno fuggiva; un lume di speranza era in fondo ai cuori. Le novelle d'ogni giorno accendevano sempre più le menti; un giorno, era ribellione a Palermo; un altro, la costituzione a Napoli; un altro, a Firenze, a Torino; un altro la republica a Parigi. Il falso, aggiunto al vero, accresceva la febre; si sussurava di sessantamila fucili, già preparati per noi da Carlo Alberto, lungo la frontiera; - di quarantamila, già introdutti per noi in Milano; - d'un contingente chiamato all'armi in Torino; di due contingenti, di tre, di quattro; - entro due mesi, entro uno, a giorni a giorni, ogni cosa sarebbe presta alla guerra. E li Austriaci dal canto loro publicamente dicevano, che, per frenare il Piemonte, erasi dimandata in pegno Alessandria; e vantavano prefisso alla loro entrata colà il 6 di Marzo.





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