-50-
Tornando alla ditta lapida, certi maravigliosi
litterati, che conoscevano il mio fratello, mi dettono una epigramma dicendomi
che quella meritava quel mirabil giovane, la qual diceva così: «Francisco
Cellino Fiorentino, qui quod in teneris annis ad Ioannem Medicem ducem plures
victorias retulit et signifer fuit, facile documentum dedit quantae
fortitudinis et consilii vir futurus erat, ni crudelis fati archibuso
transfossus quinto aetatis lustro jaceret, Benvenutus frater posuit. Obiit die XXVII
Maii MDXXIX». Era
dell'età di venticinque anni; e perché domandato in fra i soldati Cecchino del
Piffero, dove il nome suo proprio era Giovanfrancesco Cellini, io volsi fare
quel nome propio, di che gli era conosciuto, sotto la nostra arme. Questo nome
io l'avevo fatto intagliare di bellissime lettere antiche; le quali avevo fatto
fare tutte rotte, salvo che la prima e l'ultima lettera. Le quali lettere
rotte, io fui domandato per quel che così avevo fatto da quelli litterati, che
mi avevano fatto quel bello epigramma. Dissi loro quelle lettere esser rotte,
perché quello strumento mirabile del suo corpo era guasto e morto; e quelle dua
lettere intere, la prima e l'ultima, si erano, la prima, memoria di quel gran
guadagno di quel presente che ci dava Idio, di questa nostra anima accesa dalla
sua divinità: questa non si rompeva mai; quella altra ultima intera si era per
la gloriosa fama delle sue valorose virtù. Questo piacque assai e di poi
qualcuno altro se n'è servito di questo modo. Appresso feci intagliare in detta
lapida l'arme nostra de' Cellini, la quale io l'alterai da quel che l'è propia;
perché si vede in Ravenna, che è città antichissima, i nostri Cellini
onoratissimi gentiluomini, e' quali hanno per arme un leone rampante, di color
d'oro in campo azzurro, con un giglio rosso posto nella zampa diritta, e sopra
il rastrello con tre piccoli gigli d'oro. Questa è la nostra vera arme de'
Cellini. Mio padre me la mostrò, la quale era la zampa sola, con tutto il
restante delle ditte cose; ma a me più piacerebbe che si osservassi quella dei
Cellini di Ravenna sopra detta. Tornando a quella che io feci nel sepulcro del
mio fratello, era la branca del lione, e in cambio del giglio gli feci una
accetta in mano, col campo di detta arme partito in quattro quarti; e
quell'accetta che io feci, fu solo perché non mi si scordassi di fare le sue
vendette.
|