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Benvenuto Cellini Vita IntraText CT - Lettura del testo |
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M'è di necessità tornare un passo indietro, perché innel mio capitolo s'interviene tutte queste cose che io dico. Quando io stetti quei parecchi giorni in camera del Cardinale e di poi innel giardin segreto del Papa, infra gli altri mia cari amici mi venne a trovare un cassiere di messer Bindo Altoviti, il quale per nome era chiamato Bernardo Galluzzi; a il quale io aveva fidato il valore di parecchi centinaia di scudi; e questo giovane innel giardin segreto del Papa mi venne a trovare e mi volse rendere ogni cosa; onde io gli dissi che non sapevo dare la roba mia né a 'mico più caro né in luogo dove io avessi pensato che ella fussi più sicura; il quale amico mio pareva che si scontorcessi di non la volere, e io quasi che per forza gnele feci serbare. Essendo l'ultima volta uscito del Castello, trovai che quel povero giovane di questo Bernardo Galluzzi detto si era rovinato; per la qualcosa io persi la roba mia. Ancora: nel tempo che io ero in carcere, un terribil sogno mi fu fatto, modo che con un calamo iscrittomi innella fronte parole di grandissima importanza; e quello che me le fece mi replicò ben tre volte, che io tacessi e non le riferissi ad altri. Quando io mi svegliai, mi senti' la fronte contaminata. Però innel mio Capitolo della prigione s'interviene moltissime di queste cotal cose. Ancora: mi venne detto, non sapendo quello che io mi dicevo, tutto quello che di poi intervenne al signor Pier Luigi, tanto chiare e tanto appunto, che da me medesimo ho considerato che propio uno Angel del Cielo me le dittassi. Ancora: non voglio lasciare indrieto una cosa, la maggiore che sia intervenuto a un altro uomo; qual è per iustificazione della divinità de Dio e dei segreti sua, quale si degnò farmene degno: che d'allora in qua, che io tal cosa vidi, mi restò uno isplendore, cosa maravigliosa!, sopra il capo mio; il quale si è evidente a ogni sorta di uomo a chi io l'ho voluto mostrare, qual sono stati pochissimi. Questo si vede sopra l'ombra mia la mattina innel levar del sole insino a dua ore di sole, e molto meglio si vede quando l'erbetta ha addosso quella molle rugiada; ancora si vede la sera al tramontar del sole. Io me ne avveddi in Francia in Parigi, perché l'aria in quella parte di là è tanto più netta dalle nebbie, che là si vedeva espressa molto meglio che in Italia, perché le nebbie ci sono molto più frequente; ma non resta che a ogni modo io non la vegga; e la posso mostrare ad altri, ma non sì bene come in quella parte ditta. Voglio descrivere il mio Capitolo fatto in prigione e in lode di detta prigione; di poi seguiterò i beni e' mali accadutimi di tempo in tempo, e quelli ancora che mi accadranno innella vita mia.
Questo capitolo scrivo a Luca Martini chiamandolo in esso come qui si sente.
Chi vuol saper quant'è il valor de Dio, e quant'un uomo a quel Ben si assomiglia, convien che stie 'n prigione, al parer mio; sie carco di pensieri e di famiglia, e qualche doglia per la sua persona, e lunge esser venuto mille miglia. Or se tu vuoi poter far cosa buona, sie preso a torto, e poi istarvi assai, ancor ti rubin quel po' che tu hai: pericol della vita; ebbistrattato, E sforzinti gittare al disperato, rompere il carcer, saltare il Castello: poi sie rimesso in più cattivo lato. Ascolta, Luca, or che ne viene il bello: aver rotto una gamba, esser giuntato, la prigion molle e non aver mantello. Né mai da nissuno ti sie parlato, e ti porti il mangiar con trista nuova un soldato, spezial, villan da Prato. Or senti ben dove la gloria pruova: non v'esser da seder, se non sul cesso; pur sempre desto a far qualcosa nuova. Al servitor comandamento spresso che non ti oda parlar, né dièti nulla; e la porta apra un picciol picciol fesso. Or quest'è dove un bel cervel trastulla: né carta, penna, inchiostro, ferro o fuoco, e pien di bei pensier fin dalla culla. La gran pietà, che se n'è detto poco, ma per ogniuna immàginane cento, ché a tutte ho riservato parte e loco. Or, per tornar al nostro primo entento, e dir lode che merta la prigione: non basteria del Ciel chiunche v'è drento. Qua non si mette mai buone persone, se non vien da ministri, o mal governo, invidie, isdegno o per qualche quistione. Per dir il ver di quel ch'io ne discerno, qua si cognosce e sempre Idio si chiama, sentendo ognor le pene dello Inferno. Sie tristo un, quant'e' può al mondo, in fama, e stie 'n prigione in circa a dua mal'anni, e' n'esce santo e savio, ed ogniun l'ama. Qua s'affinisce l'alma, e 'l corpo, e' panni; ed ogni omaccio grosso si assottiglia, e vedesi del Ciel fino agli scanni. Ti vo' contar una gran maraviglia: venendomi di scrivere un capriccio, che cose in un bisogno un uomo piglia. Vo per la stanza, e' cigli e 'l capo arriccio, poi mi drizzo a un taglio della porta, e co' denti un pezzuol di legno spiccio; e presi un pezzo di matton per sorta, e rotto in polver ne ridussi un poco; poi ne feci un savor coll'acqua morta. Allora allor della poesia il fuoco m'entrò nel corpo, e credo per la via ond'esce il pan; ché non v'era altro loco. Per tornare a mia prima fantasia, convien, chi vuol saper che cosa è 'l bene, prima che sappia il mal, che Dio gli dia. D'ogn'arte la prigion sa fare e tiene: se tu volessi ben dello speziale, ti fa sudare il sangue per le vene. Poi l'ha in sé un certo naturale, ti fa loquente, animoso e audace, carco di bei pensieri in bene e in male. Buon per colui che lungo tempo iace 'n una scura prigion, e po' alfin n'esca: sa ragionar di guerra, triegua e pace. Gli è forza che ogni cosa gli riesca; ché quella fa l'uom sì di virtù pieno, che 'l cervel non gli fa poi la moresca. Tu mi potresti dir: - Quelli anni hai meno –: E' non è 'l ver, ché la t'insegna un modo ch'empier te ne puo' poi 'l petto e 'l seno. In quanto a me, per quanto io so, la lodo; ma vorrei ben ch'e' s'usassi una legge: chi più la merta non andassi in frodo. Ogni uom, ch'è dato in cura al pover gregge, addottorar vorries' in la prigione, perché sapria ben poi come si regge. Faria le cose come le persone, e non s'uscirai mai del seminato, né si vedria sì gran confusione. In questo tempo ch'io ci sono stato, io ci ho veduti frati, preti e gente, e starci men chi più l'ha meritato. Se tu sapessi il gran duol che si sente, se 'nanzi a te se ne va un di loro! Quasi che d'esser nato l'uom si pente. Non vo' dir più: son diventato d'oro, qual non si spende così facilmente, né se ne faria troppo buon lavoro. E' m'è venuto un'altra cosa a mente, ch'io non t'ho detto, Luca: ov'io lo scrissi, fu in su'n un libro d'un nostro parente, che in sulle margin per lo lungo missi questo gran duol che m'ha le membra istorte, e che il savor non correva, ti dissi; che a far un O bisognava tre volte 'ntigner lo stecco; che altro duol non stimo sia nello Inferno fra l'anime avolte. Or poi che attorto qui no sono 'l primo, di questo taccio; e torno alla prigione, dove il cervel e 'l cuor pel duol mi limo. Io più la lodo che l'altre persone; e volendo far dotto un che non sa, sanza essa non si può far cose buone. Oh fusse, come io lessi poco fa, un che dicessi come alla Piscina: - Piglia i tua panni, Benvenuto, e va'! – canteria 'l Credo e la Salveregina, il Paternostro, e poi daria la mancia a ciechi, pover, zoppi ogni mattina. Oh quante volte m'han fatto la guancia pallida e smorta questi gigli, a tale ch'io non vo' più né Firenze né Francia! E se m'avien ch'io vada allo spedale, fuggirò, ch'io parrò uno animale. Non dico già per Lei, degna e sagrata, né de' suoi gigli glorïosi e santi, che hanno il cielo e la terra inluminata; ma, perché ognior ne veggo su pe' canti di quei che hanno le lor foglie a uncini, arò paur che non sien di quei tanti. Oh quanti come me vanno tapini, qual nati, qual serviti a questa impresa, spirti chiari, leggiadri, alti e divini! Vidi cader la mortifer'impresa dal ciel veloce, fra la gente vana, poi nella pietra nuova lampa accesa; del Castel prima romper la campana, che io n'uscissi; e me l'aveva detto Colui che in Cielo e in terra il vero spiana; di bruno, appresso a questo, un cataletto di gigli rotti ornato; pianti e croce, e molti afflitti per dolor nel letto. Viddi colei che l'alme affligge e cuoce, che spaventava or questo, or quel; poi disse: - Portar ne vo' nel sen chiunche a te nuoce -. Quel Degno poi nella mia fronte scrisse col calamo di Pietro a me parole, e ch'io tacessi ben tre volte disse. Vidi Colui che caccia e affrena il sole, vestito d'esso in mezzo alla sua Corte, qual occhio mortal mai veder non suole. Cantava un passer solitario forte sopra la ròcca; ond'io - Per certo - dissi, - Quel mi predice vita, e a voi morte -. E le mie gran ragion cantai e scrissi, chiedendo solo a Dio perdon, soccorso, ché sentia spegner gli occhi a morte fissi. Non fu mai lupo, leon, tigre, e orso più setoso di quel, del sangue umano, né vipra mai più venenoso morso; quest'era un crudel ladro capitano, 'l maggior ribaldo, con certi altri tristi; ma perché ogniun nol sappia il dirò piano. Se avete birri affamati mai visti, ch'entrino appegnorar un poveretto, gittar per terra Nostredonne e Cristi, il dì d'agosto vennon per dispetto a tramutarmi una più trista tomba: - Novembre: ciascun sperso e maladetto -. Ave' agli orecchi una tal vera tromba, che 'l tutto mi diceva, ed io a loro, sanza pensar, perché 'l dolor si sgombra. E quando privi di speranza foro, mi detton, per uccidermi, un diamante pesto a mangiare, e non legato in oro. Chiesi credenza a quel villan furfante, che 'l cibo mi portava; e da me dissi: - Non fu quel già 'l nimico mio durante -. Ma prima i mie' pensieri a Dio remissi, pregandol perdonassi 'l mio peccato; Del gran dolore alquanto un po' quietato, rendendo volentieri a Dio quest'alma, contento a miglior regno e d'altro stato, scender dal Ciel con gloriosa palma un Angel vidi; e poi con lieto volto promisse al viver mio più lunga salma, dicendo a me: - Per Dio, prima fie tolto ogni avversario tuo con aspra guerra, restando tu filice, lieto e sciolto, in grazia a Quel ch'è Padre in cielo e 'n terra.
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