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Considerato poi da me la
ribalderia e possanza di quel mal pedante, giudicai che il mio meglio fussi di
dare un poco di luogo a quella diavoleria, e la mattina di buon'ora, consegnato
alla mia sorella gioie e cose per vicino a dumila scudi, montai a cavallo e me
ne andai alla volta di Vinezia, e menai meco quel mio Bernardino di Mugello. E
giunto che io fui a Ferrara, io scrissi alla Eccellenzia del Duca che se bene
io me n'ero ito sanza esserne mandato, io ritornerei sanza esser chiamato. Di
poi, giunto a Vinezia, considerato con quanti diversi modi la mia crudel
fortuna mi straziava, niente di manco trovandomi sano e gagliardo mi risolsi di
schermigliar con essa al mio solito. E in mentre andavo così pensando a' fatti
miei, passandomi tempo per quella bella e ricchissima città, avendo salutato
quel maraviglioso Tiziano pittore e Iacopo del Sansovino, valente scultore e
architetto nostro fiorentino molto ben trattenuto dalla Signoria di Venezia, e
per esserci conosciuti nella giovanezza in Roma e in Firenze come nostro
fiorentino, questi duoi virtuosi mi feciono molte carezze. L'altro giorno a
presso io mi scontrai in messer Lorenzo de' Medici, il quale subito mi prese
per mano con la maggior raccoglienzia che si possa veder al mondo, perché ci
eràmo cognosciuti in Firenze quando io facevo le monete al duca Lessandro, e di
poi in Parigi, quando io ero al servizio del Re. Egli si tratteneva in casa di
messer Giuliano Buonacorsi, e per non aver dove andarsi a passar tempo altrove
sanza grandissimo suo pericolo, egli si stava più del tempo in casa mia,
vedendomi lavorare quelle grand'opere. E sì come io dico, per questa passtata
conoscenzia, egli mi prese per mano e menòmi a casa sua, dov'era il signor
Priore delli Strozzi, fratello del signor Pietro, e rallegrandosi, mi
domandorno quanto io volevo soprastare in Venezia, credendosi che io me ne
volessi ritornare in Francia. A' quali Signori io dissi che io mi ero partito
di Fiorenze per una tale occasione sopra detta, e che fra dua o tre giorni io
mi volevo ritornare a Fiorenze a servire il mio gran Duca. Quando io dissi
queste parole, il signor Priore e messer Lorenzo mi si volsono con tanta
rigidità, che io ebbi paura grandissima, e mi dissono: - Tu faresti il meglio a
tornartene in Francia, dove tu sei ricco e conosciuto; che se tu torni a
Firenze, tu perderai tutto quello che avevi guadagnato in Francia, e di Firenze
non trarrai altro che dispiaceri -. Io non risposi alle parole loro, e
partitomi l'altro giorno più secretamente che io possetti, me ne tornai alla
volta di Fiorenze, e intanto era maturato le diavolerie, perché io avevo
scritto al mio gran Duca tutta l'occasione che mi aveva traportato a Venezia. E
con la sua solita prudenzia e severità, io lo visitai senza alcuna cerimonia; stato
alquanto con la detta severità, di poi piacevolmente mi si volse e mi domandò
dove io ero stato. Al quale io risposi che il cuor mio mai non si era scostato
un dito da Sua Eccellenzia illustrissima, se bene per qualche giuste occasioni
e' mi era stato di necessità di menare un poco il mio corpo a zonzo. Allora
faccendosi più piacevole, mi cominciò a domandar di Vinezia e così ragionammo
un pezzo; poi ultimamente mi disse che io attendessi a lavorare e che io gli
finissi il suo Perseo. Così mi tornai a casa lieto e allegro, e rallegrai la
mia famiglia, cioè la mia sorella con le sue sei figliuole, e ripreso l'opere
mie, con quanta sollecitudine io potevo le tiravo innanzi.
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