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Benvenuto Cellini
Vita

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  • LIBRO PRIMO
    • -110-
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-110-

 

 Era stato più di cinquecento passi andanti da il luogo dove io caddi alla porta dove io entrai. Entrato che io fui drento in Roma, certi cani maschini mi si gittorno addosso e malamente mi morsono; ai quali, rimettendosi più volte a fragellarmi, io tirai con quel mio pugnale e ne punsi uno tanto gagliardamente, che quello guaiva forte, di modo che gli altri cani, come è lor natura, corsono a quel cane: e io sollecitai andandomene inverso la chiesa della Trespontina così carpone. Quando io fui arrivato alla bocca della strada che volta in verso Sant'Agnolo, di quivi presi il cammino per andarmene alla volta di San Piero, per modo che faccendomisi dì chiaro addosso, considerai che io portavo pericolo; e scontrato uno acqueruolo che aveva carico il suo asino e pieno le sue coppelle d'acqua, chiamatolo a me, lo pregai che lui mi levassi di peso e mi portassi in su il rialto delle scalee di San Piero, dicendogli: - Io sono un povero giovane, che per casi d'amore sono voluto iscendere da una finestra; così son caduto, e rottomi una gamba. E perché il luogo dove io sono uscito è di grande importanza, e porterei pericolo di non essere tagliato a pezzi, però ti priego che tu mi lievi presto, e io ti donerò uno scudo d'oro - e messi mano alla mia borsa, dove io ve ne avevo una buona quantità. Subito costui mi prese, e volentieri me si misse a dosso, e portommi in sul ditto rialto delle scalee di San Piero; e quivi mi feci lasciare, e dissi che correndo ritornassi al suo asino. Subito presi il cammino così carpone, e me andavo in casa la Duchessa, moglie del duca Ottavio e figliuola dello Imperadore, naturale, non legittima, istata moglie del duca Lessandro, duca di Firenze; e perché io sapevo certissimo che appresso a questa gran principessa c'era di molti mia amici, che con essa eran venuti di Firenze; ancora perché lei ne aveva fatto favore mediante il Castellano; che volendomi aiutare disse al Papa, quando la Duchessa fece l'entrata in Roma, che io fu' causa di salvare per più di mille scudi di danno, che faceva loro una grossa pioggia: per la qual cosa lui disse ch'era disperato, e che io gli messi cuore, e disse come io avevo acconcio parecchi pezzi grossi di artiglieria inverso quella parte dove i nugoli erano più istretti, e di già cominciati a piovere un'acqua grossissima; per la qual cosa cominciato a sparare queste artiglierie si fermò la pioggia, e alle quattro volte si mostrò il sole; e che io ero stato intera causa che quella festa era passata benissimo; per la qual cosa, quando la Duchessa lo intese, aveva ditto: - Quel Benvenuto è un di quei virtuosi che stavano con la buona memoria del duca Lessandro mio marito, e sempre io ne terrò conto di quei tali, venendo la occasione di far loro piacere - e ancora aveva parlato di me al duca Ottavio suo marito. Per queste cause io me ne andavo diritto a casa di Sua Eccellenzia, la quale istava in Borgo Vecchio in un bellissimo palazzo che v'è; quivi io sarei stato sicurissimo che il Papa non m'arebbe tocco; ma perché la cosa che io avevo fatta insin quivi era istata troppo maravigliosa a un corpo umano, non volendo Idio che io entrassi in tanta vanagloria, per il mio meglio mi volse dare ancora una maggior disciplina, che non era istata la passata; e la causa si fu, che in mentre che io me ne andavo così carpone su per quelle scalee, mi ricognobbe subito un servitore che stava con il cardinal Cornaro; il qual cardinale era alloggiato in Palazzo. Questo servitore corse alla camera del Cardinale, e isvegliatolo, disse: - Monsignor reverendissimo, gli è giù il vostro Benvenuto, il quale s'è fuggito di Castello, e vassene carponi tutto sanguinoso: per quanto e' mostra, gli ha rotto una gamba, e non sappiamo dove lui si vada -. Il Cardinale disse subito: - Correte, e portatemelo di peso qui in camera mia -. Giunto a lui, mi disse che io non dubitassi di nulla; e subito mandò per i primi medici di Roma; e da quelli io fui medicato: e questo fu un maestro Iacomo da Perugia, molto eccellentissimo cerusico. Questo mirabilmente mi ricongiunse l'osso, poi fasciommi, e di sua mano mi cavò sangue; che essendomi gonfiato le vene molto più che l'ordinario, ancora perché lui volse fare la ferita alquanto aperta, uscì sì grande il furor di sangue, che gli dette nel viso, e di tanta abbundanzia lo coperse, che lui non si poteva prevalere a medicarmi: e avendo preso questa cosa per molto male aùrio, con gran difficoltà mi medicava; e più volte mi volse lasciare, ricordandosi che ancora a lui ne andava non poca pena a avermi medicato o pure finito di medicarmi. Il Cardinale mi fece mettere in una camera segreta, e subito andatosene a Palazzo con intenzione di chiedermi al Papa.

 




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