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Giovanni Cena Gli ammonitori IntraText CT - Lettura del testo |
Tornato dall'ospizio in tranvia, il tragitto fu silenzioso. Egli era molto accasciato. Giunti in piazza dello Statuto scendemmo. Io volevo trarlo lontano da casa. Entrammo nello stradale di Francia.
– Facciamo due passi? – proposi. – Io ho vacanza oggi.
– Come vuoi.
Camminammo un buon tratto in silenzio. I prati erano vellutati di bianco. La neve prendeva una leggerissima tinta azzurra nella lontananza: gli alberi neri non parevano scarni, ma aprivano contro il cielo dei ventagli di piume. Quando fummo fuori dell'abitato, le Alpi si presentarono in tutta la loro enormità, dalle punte spiccanti sul cielo morbido, bianche e chiazzate qua e là di azzurro denso, alle basi che poggiavano sulla linea vaporosa della pianura... Crastino, che camminava curvo col mento in seno, alzò a poco a poco la testa, e i suoi occhi parevano rischiararsi. Vicino a un ponticello si volse indietro come a misurar la distanza percorsa dopo le case, poi guardò dinanzi a sé:
Ad un tratto la sua bocca si contrasse, gli occhi si empirono di lacrime Fece uno sforzo grande e riprese con voce naturale:
– Ti darò a leggere i miei versi. Ne ho dei nuovi anche. Ma da un po' di tempo non posso più comporre. La poesia nasce adesso in me: quando sarò meno infelice, me ne ricorderò e scriverò. Adesso, ecco, se fossi solo, piangerei. La notte, il sole, la neve mi fanno sempre piangere. Io sono sempre solo.
Si avviluppò nel pastrano e prese a camminare più rapidamente.
– Ho freddo. Non hai freddo tu? Io patisco molto il freddo: per questo l'estate è la mia stagione: proprio nel meriggio, cammino per la campagna delle ore intere. Credo che morirò di freddo.
– Via! Fai conto di proseguire nella vita irregolare che hai tenuto finora? Lavorerai: avrai un impiego, e nelle ore libere farai dei versi.
– Hai ragione. Lavorerò e non farò più dei versi... Devo pensare a mia sorella adesso.
L'immagine della morente mi si ripresentò, dandomi una commozione violenta.
Una figura umana tutta curva e affastellata sotto un gran cappello logoro dalle tese pendenti veniva verso di noi. Quando fu a pochi passi, scorgemmo un vecchio appoggiato a un bastone nodoso, con tre giacche logore indossate l'una sull'altra e il petto aperto rugoso e rosso: si fermò e ci guardò con due piccoli occhi azzurri: tra la bocca ispida e il cappellaccio non si scorgeva altro della faccia. Gli porsi una moneta.
– Sentite, giovanotti: laggiù c'è il re: adesso passerà sulla macchina.
– Hai sentito? – diss'io. – Laggiù c'è il re. Che sia andato a Rivoli in automobile?
– Il re!... C'era un re, – rispose con la sua aria di trasognato – un re!... Ami le leggende? Io ne sapevo tante. Mia madre... mia zia, via!, quella che ti ho detto che ci teneva con sé, ne sapeva d'ogni colore. Ella parlava sempre di re, di duchi, di conti... Era un'aristocratica!
– Anch'io ne sapevo molte. Andavo nella stalla, d'inverno. Dopo il rosario e i paternoster a tutti i santi che ci liberino dal feu, da la losna e dal troun (I)2, mia nonna ne contava delle interminabili. Era del tempo di Napoleone: piegata in due dalla sciatica, sembrava una povera bestia supplichevole. Poi, sull'aia della fornace, piena di sole, io cantavo coi bambini:
Volevo farlo rallegrare.
Il sole cadeva dietro i monti e il cielo su di essi era divenuto roseo. Laggiù appunto, di là dai monti, era forse il paese delle leggende... Crastino disse:
– Eppure sono esse, le leggende, che ci fanno inabili a vivere. Io, per esempio, penso sempre a Nausica, alle sibille, ai Nibelunghi, a Bruto, magari: e più ancora alla Madonna, a Santa Teresa, a San Francesco d'Assisi... Tutto questo mi ha fatto dimenticare che mia sorella lavorava per me, che un bel giovane può passare per la strada e farle delle proposte, e che l'amore conduce all'ospedale...
Si tirò su il bavero e affondò le mani nelle tasche:
– Io penso alla Biondina del n. 40. Che diverrà? Mi pare perfino che l'amerei. Sciocco! Intanto non mi ha mai neanche guardato... Eppure qualche anno fa le donne mi guardavano con certi occhi! Non hai mai amato tu?
– Io no. Non ci ho mai pensato, o quasi.
– Io non lo so. Ma credo che non ho mai amato. Mi ha sempre disgustato. È vero che non ho mai incontrato una donna sopra la mia condizione. Ma credo che una donna viva non potrei amarla. Io amerei la principessa di Tripoli, per esempio, ossia Elisabetta d'Austria...
Una forma nera in mezzo alla strada, lontanissima, ingrossava rapidamente avvicinandosi. L'automobile del re? In brevissimo tempo fu accanto a noi e passò. Due ciclisti lo seguivano. Mi pareva avere scorto la fisionomia del re, giovane e ardita. Guardammo indietro seguendolo coll'occhio.
Una piccolissima figura nera, il mendicante, era ferma in mezzo alla strada: s'udì la tromba: il mendicante si scostò. Avevamo avuto un momento d'ansia.
– Se l'avesse travolto?– disse Crastino.
– Orribile!
– Per il mendico è lo stesso... ma per lui, dopo; – aggiunse egli dopo un silenzio.
– Infatti... – risposi, e non proseguii.
E c'immergemmo in un pensiero che ci dava i brividi.