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Giovanni Cena Gli ammonitori IntraText CT - Lettura del testo |
Ci sono veramente degli uomini cattivi? Molti opprimono direttamente il loro prossimo per il proprio interesse, ma non senza rimorso. Esistono veramente coloro che fanno il male per il male, torturano un miserabile con una vera voluttà? Io non so. Ma se esistono, non possono essere che un fenomeno artificiale, una corruzione dell'uomo operata dall'uomo stesso. Esistono sopra tutto in una categoria di persone che è autorizzata ad essere o mostrarsi malvagia.
La giustizia della legge è una cosa teorica. ora l'uomo opera non come una forza considerata geometricamente, mi spiego? ma come un essere di sentimento. Io potrei immaginare, con molta buona volontà, in un giudice un'imparzialità di bilancia di precisione, ma negli esecutori no. La giustizia e la vendetta per i cervelli grossi sono la stessa cosa.
Queste considerazioni mi sorgevano nel cervello dopo una visita ormai inaspettata che mi destò l'indomani. Un delegato e un questurino, bussato gentilmente, entrarono e mi chiesero il permesso di fare una perquisizione. In tutta la notte avrei potuto trafugare un carro di documenti, e la mia premura a indossare un pastrano non diede loro alcun sospetto. Sulla faccia del questurino non era che una goffa aria di autorità e di presunzione, su quella del delegato, fina e dalle labbra sottilissime, una ostentazione di gentilezza affatto maligna. Né l'uno né l'altro erano l'effigie nivea della giustizia.
Mi sequestrarono, indovinate che cosa! Il pane altrui di Turghenieff, La nuova Repubblica di Wells, e una gran quantità di bozze, sebbene fosse stampato su ogni pacco Società Ed. Scientifica. Poi se ne andarono, persuasi forse d'avermi nel sacco.
Infatti – proseguiva il mio pensiero, mentre mi palpavo sul petto il manoscritto salvato – degli uomini profondamente malvagi esistono: essi divengono tali perché il sentimento generale a loro riguardo è appunto questo, che debbano mostrarsi terribili castigatori dei birbanti. Ora, supponiamo che in un dato luogo non esistessero più birbanti: il desiderio di costoro li farebbe nascere. Non sento io che il desiderio del bene fa nascere, intorno alle persone che veramente ispirano il bene, una quantità di buone azioni? Esiste una reciproca suggestione. Sognate azioni malvagie e ne vedrete sorgere intorno a voi. Chiamate uno ladro e ruberà, dice il proverbio. E talvolta basta un bruscolo per far cadere un disgraziato in una contravvenzione, che porta una recidiva, che suggerisce un delitto, e via di seguito.
Intanto ecco il caso mio. Comunque, io sarò notato fra gli individui sospetti: supposto che il delegato sia convinto dai superiori sulla mia innocuità, nessuno si curerà di convincerne il questurino. Per lui dunque io sono un individuo pericoloso: lo sarò domani per il suo compagno e posdomani per tutti i questurini del Borgo San Donato. Ogni mio atto sarà spiato, seguito, interpretato sempre in un senso. Un giorno avviene una dimostrazione, uno sciopero: io torno a casa dalla tipografia e m'incontro con gli scioperanti: mi s'agguanta, se non mi si è già messo al sicuro prima. Alcuni giorni di prigione mi esasperano: le mie idee diventano sentimenti, poi discorsi, poi azioni..
Ma quel buon amico mio! Nessun mezzo gli restava per cancellar la macchia che la Questura vedeva in lui, fuorché farsi prete o frate. Invece egli s'era innamorato d'una donna d'altri. Ed era bastata una vaga denunzia per farlo richiudere in prigione. Certo gli acidi del suo mestiere potevano venire scambiati per miscugli tonanti!
Due giorni dopo ricevetti una lettera di lui: la inserisco tra questi fogli:
«Ti affido i miei lavori, che pregoti far tenere, disegni, lastre e fogli tirati, a Mr Carlo Chedda, artiste peintre, 67, rue Lépic, Paris XVIII. Spero uscir presto: é stato qui il deputato del Borgo: affidiamoci alle autorità una volta tanto: egli è socialista... ministeriale. Ricorda quello che t'ho raccontato di lei e tienmi informato di tutto ciò che potrai sapere.
«Ti abbraccio con tutta l'anima. QUIBIO».
«Indirizzo: On. Fabio Ansaldi, presso Il Popolo».
Eccomi d'improvviso mescolato a un dramma, pensai non senza paura, e forse ad un processo. Non essendo mai stato preso, neanche come testimonio, negli ingranaggi intimi della macchina sociale, perfino la conoscenza d'un rappresentante del popolo mi dava soggezione, figuriamoci poi d'un magistrato! Unico bene reale della relativa libertà in cui viviamo è, per mio conto, di poter essere solo e ignorato perfino all'agente delle tasse.
La sera una donna mi attendeva all'uscio della soffitta. Ella mi porse un biglietto:
– Son venuta oggi, – mi disse – alle quattro. Ma non l'ho trovata. Faccia subito quello che è detto lì dentro, perché il treno parte alle undici.
Apersi con un tremito nelle mani. Calligrafia di donna: ecco:
«Che dirà del mio ardire? Ma io ho in Lei la stessa fiducia che ha posta il mio amico Quibio, ora così crudelmente colpito. Mi aiuti a fare ogni possibile per lui. La prego, intanto, di raccogliere tutti gli oggetti ai quali egli teneva di più, che la mia domestica porterà subito alla stazione. Io partirò per Parigi stassera alle 11,30. La prego pure di trovarsi a quell'ora presso il treno. Prima che si mova, s'avvicini alla donna vestita di nero che Le porgerà un libro. Occorrerebbe ch'Ella lo consegnasse per Quibio al deputato Ansaldi.
«Mi perdoni: è un gran servigio che imploro da Lei in nome dell'amico suo. E La ringrazio».
Quali erano le cose a cui egli teneva di più? Riempii la sua valigia dei rami già toccati, dei disegni, di tutte le carte che potei scoprire: non bastando, riempii la valigia mia. Scesi con la donna, la feci salire con esse su una vettura.
Erano le otto. Andai a mangiare un boccone, poi uscii. Avevo la febbre. Sentivo, insieme ad un turbamento puerile, una specie d'orgoglio e di contentezza d'esser mescolato ad un romanzo, io che avevo passato una vita così grigia! In due anni quanti drammi intorno a me! E io tiravo innanzi la mia vita uguale e monotona. Ma qualcosa sarebbe accaduto a me pure, qualcosa di non comune: io mi sentivo chiamato verso qualche atto di vita o di morte, solitario forse, ma non infecondo. Quando mi sarebbe venuto incontro il dramma? Stassera stessa, forse? Comunque, io mi sentivo eccitato, esaltato, come se fossi stato un personaggio di questo romanzo d'amore e si trattasse della vita, o d'una persona che mi fosse più cara della vita. Passeggiai alquanto, poi entrai a prendere un caffè.
Irresistibilmente m'incamminai verso la stazione. Entrai al caffè Ligure e presi un'altra tazza. Afferrai alcuni giornali un dopo l'altro: non c'era nulla: suicidii, assassinii, cronaca, appendice... Anch'io finalmente penetravo in un mondo fantastico, in una atmosfera che spira e s'agita dentro l'atmosfera eguale della vita di tutti i giorni: ma in quella vive soltanto la passione, il sacrificio e la morte.
E mi posi a scorrere la Stampa della sera. Vedevo torbido: mi colpivano gli occhi qua e là i titoli delle rubriche: I volontari della morte!... Sì, e perché?... E questo giornalista che ha trovato un sì bel titolo di rubrica da poter collocare là accanto al listino della borsa! La vita è in ribasso... L'importazione degl'italiani al Capo... L'importazione!... bellissimo. Un attentato contro lo Scià di Persia... ecco un altro volontario... Povero folle! Ah, L'attentato è smentito... «Nella calca un individuo poveramente vestito si spinse verso la carrozza, ma fu travolto dai cavalli... Lo Scià fu molto impressionato... L'individuo portava in mano una supplica... ».
Levai gli occhi dal giornale. Una commozione violenta m'aveva invaso: m'asciugai gli occhi senza farmi scorgere e appoggiai la fronte sulle mani.
Ero come stordito: le tempia mi facevano un rumore di un torrente o di un treno in moto, e tutte le mie membra s'appesantivano, con questo spaventevole tumulto nel cervello. Ad un tratto sentii come uno schianto. Un'immagine passò come un lampo in fondo ai miei occhi. Ero io là in quella calca... mi avventavo...
E cominciai a guardare le persone intorno a me, temendo anche mi osservassero: molte sorbivano il loro caffè e leggevano la loro Stampa con beatitudine o noia: ma certe altre, con fisionomie incisive, con occhi oscuri sotto la luce piovente dall'alto, dovevano covare qualcosa in petto! E subito le pareti, la sala del Ligure mi parvero diverse, o forse non le avevo mai esaminate. Con tante lampade gli angoli erano oscuri o si oscuravano quando vi guardavo, e le porte s'aprivano sulle tenebre... Uscii.
Sulla piazza della stazione le tranvie piene di luce s'incrociavano, suscitando scintille lungo i fili e lungo le rotaie nell'aria umida: sotto i portici una folla passava in un via vai interminabile. L'orologio della gran facciata segnava le 9 e mezzo.
Allora mi posi a camminare forte verso il Po. Gli alberi parevano chinarsi sotto l'umidità, che pioveva dal cielo e m'immollava i panni. Sul ponte di ferro un po' di nebbia era sospesa lungo le acque. Due lumi erravano proprio nel mezzo del fiume: dovevano essere due barche invisibili, che or s'approssimavano, or s'allontanavano. Anche nel seno gelido del Po quante disperazioni s'erano rifugiate!
Che cosa cercavano quei due lumi?
Tornai lentamente. M'avvicinai alla stazione. Molte carrozze giungevano. Guardai da lontano sotto la tettoia dei Depositi e non ci vidi nessuno. Presi un biglietto d'entrata e mi ficcai tra la folla. Non osai mostrarmi presso il treno di Modane, finché non sentii i primi gridi: Partenza! Allora m'avvicinai e attesi che chiudessero gli sportelli
Mi tenevo accanto al primo carrozzone e guardavo indietro. Una figurina vestita di nero, con gran feltro in capo, si sporse da un finestrino di seconda, parve guardarmi, poi si ritrasse tosto. Mi sentivo battere il cuore come se stesse per rompersi, ma giravo intorno lo sguardo e la persona, con noncuranza, tenendo d'occhio quel carrozzone. La macchina fischiò, le catene si tesero con forti scosse. Allora la figurina si sporse di nuovo e guardò me direttamente: io mi avvicinai e presi un oggetto che ella mi porse:
– Buona permanenza, signor Stanga!
Io mi volsi, già lontano: ella mi tendeva la mano, ma non osai tornare indietro. Feci una grande scappellata, e uscii prima che il treno fosse fuor della tettoia.
Che cosa aveva pensato la signora della mia goffaggine? Le avevo strappato il libro come un ladro. Avevo intraveduto nel carrozzone la domestica che m'aveva portato il biglietto perché non aveva fatto porgere il libro da lei? Evidentemente aveva voluto darmi un segno di gentilezza e di gratitudine. E io non le avevo neanche detto: «Buon viaggio!».
Senza dubbio la mia parte nel romanzo era mancata.
Giunto a casa, volli aprire il volumetto che era legato da nastro nero. Ma soltanto la copertina si apriva: la massa interna era un cofanetto chiuso. Debbo dire che ebbi un senso di delusione? Mi parve d'essere piombato in pieno romanticismo. Forse là dentro non c'era nulla d'importante, qualche ricordo d'amore, dei fiori... Ma un pensiero opposto m'assalì subito. Del danaro forse. Ebbene, perché no? Ma quel danaro e la cura di tutte le piccole cose erano state causa della rovina di Quibio...
Il giorno dopo mi recai di buon ora alla tipografia, non senza un sospetto che lo sciopero, che serpeggiava negli stabilimenti della città, fosse stato esteso anche a noi e proclamato la sera precedente.
Infatti ero ancora lontano d'un isolato, che mi s'appressa un compagno correttore, con aspetto ostile:
– Oggi non si lavora... Spero che non vorrai tradirci!
– Tutt'altro, – risposi tosto, mentre m'accorgevo che altri pure, sparsi qua e là, mi osservavano astiosamente. E anch'io sentii subito che le mie mani m'imbarazzavano e le nascosi nelle tasche, com'essi. Una guardia ci passò accanto squadrandoci: sulla porta della tipografia un gruppo di guardie custodiva l'ingresso.
– Oggi c'è un comizio al teatro Nazionale. Non si entra senza biglietto. Eccolo.
Presi il foglio che il compagno mi offriva e gli voltai le spalle. Mi era scortese perché lo aiutavo sovente a correggere le parole latine? Mi accorgevo che il mio timido isolamento mi aveva accumulato addosso del rancore. Eppure io mi sentivo attratto verso la loro miseria troppo inquieta: evidentemente la mia simpatia non era mai riuscita a manifestarsi...
Avevo meco il cofanetto che intendevo portare, nell'ora libera, all'on.Ansaldi. Ci andai subito. È un uomo simpatico, alto, ricciuto, cogli occhi scintillanti. Guardò il cofanetto ed ebbe un sorriso ironico:
– Tutti misteriosi questi anarchici! Anche lei è anarchico?
– Io, no: e neanche Quibio.
– Sul serio? – fece egli incredulo.
– Sul serio.
– Be', questo non monta: alla questura è segnalato come tale, sebbene non pericoloso – aggiunse. – Ad ogni modo lo lasceranno espatriare alla prima occasione senz'alcuna difficoltà. È cosa certa. È questo che lui vuole, non è vero? – aggiunse con un fine sorriso.
– Credo – diss'io serio. – Vorrebbe andar a Parigi da certi suoi amici artisti.
E mi congedai un po' rassicurato sulla sorte del mio amico.
Ma il mio pessimismo riguardo alla polizia è atavistico. Tutti i proverbi del mio villaggio dicono che dalle grinfe della giustizia non si esce vivo. Ho torto, ma è un istinto.
E la sua piccola Diana? Laggiù, nella gran Babilonia, attende, attende... La raggiungerà egli? Lo spero. Entrambi avevano una sì gran fiducia nella loro stella, da veri fatalisti! Forse chi vuol essere felice, ha grandi probabilità di pervenirvi...
Avea veramente un viso bellissimo e fiero la sua Diana lottatrice! Ma c'è lotta possibile contro tutti, contro i malvagi e i deboli e gl'inerti che formano la società, piccola Diana?
Nel pomeriggio volli andare al comizio. Oltre a un migliaio di tipografi, v'assistevano molti lavoratori d'altre industrie, fra i quali i nostri si distinguevano facilmente per una maggior coltura esteriore. I rappresentanti dissero ad alta voce molte cose che avevo udite e riudite dai compagni sulla lotta di classe, su la conquista del pane, sul miglioramento delle nostre condizioni... Tutto ciò non aveva più potere di commovermi. Ciascuno di quelli che s'alzavano a parlare mi pareva che diventasse meschino e nullo quand'usciva dalla folla.
Ma la folla mi riempiva d'un senso nuovo . Io sentivo ripercuotersi in me le sue emozioni come se ne facessi parte: ne facevo parte: era come se io diventassi permeabile, penetrato, attraversato dalle onde di un'ira, di un'aspirazione, d'una passione comune, enorme, in cui l'individuo pareva ad istanti naufragare, e ad istanti si esaltava la sua potenza. Sentivo tendersi il mio torace, stringersi i miei pugni sino ad infiggermi le unghie nelle palme... Si levasse su quel palcoscenico un uomo possente, e tutta quella tensione si sarebbe risolta in una forza da sollevare un mondo!
Il popolo ha bisogno d'uomini grandi e la sua sostanza, sempre sincera e sempre rinnovata, è ricca di germi di grandezza. Ma i falsi grandi non li lasciano sorgere.
Ricevetti qualche settimana dopo da Quibio un biglietto di ringraziamento. Egli si mostrava sereno e pieno di speranza. Il fatto di aver contribuito in qualche modo a dargli quella contentezza, mi commosse fino alle lacrime. Poi non seppi più nulla di lui. Questo mio scritto servirà a qualcosa in suo favore?