ANCOR vedo
nell'aria tenebrosa
una bocca fiorir
senza parola.
Oh quella bocca, nelle notti, sola
come una gran
corolla sanguinosa!
Nel sogno invano
gli occhi cerco, invano
cerco il tesoro
delle forme intero:
sola resta nel
memore pensiero
l'immagine del fior
malvagio umano.
Quali parole disser
le superbe
labbra ora fatte
sospirose e fioche?
Disser parole
quelle labbra, poche
e oscure, ma ne'
baci erano acerbe.
Trascinava al
pericolo giocondo
come una maga
astuta e insidiosa:
nelle tenere sue
membra di rosa
non avea punto che
non fosse immondo.
Su le tenaci membra
e nell'acuto
obliquo morso della
bocca rea
ogni vital virtù si
disfacea
consumata da un
morbo sconosciuto...
Le labbra ardenti
esalan voci rotte:
tremano tinte di
dolce veleno,
e come una lattante
avida un seno,
cercano desiose
nella notte.
*****
Grandi ombre van di
grandi adolescenti
per lei sotto il
silente albor lunare
e fanciulle non
sazie d'amare
seguendoli coi
grandi occhi languenti.
Vergini vanno con
l'esangui bocche
protese al par di
cupide corolle.
A lungo
abbrividiscono con molle
desio le labbra che
non fur mai tocche.
E madri bianche
agitano le scarne
mani. Da l'ombre
emergono le braccia
trepide alzate in
atto di minaccia.
Gridano: «O carne
della nostra carne!»
*****
Era la forma già
dell'Impudica
legata, attorta al
tronco, in un lascivo
atteggiamento.
Sorse un chiaror vivo
rapidamente.
Divampò la bica.
Bianca tra 'l fumo
si torcea con guizzi,
con brividi e con
irrigidimenti:
vibravano le lingue
acri lambenti
e acuti cigolii
fuggian da' tizzi.
Vergini intorno e
adolescenti, bianchi
lucevano a quel
lume. Tra le acerbe
essenze delle
resine e dell'erbe
balenarono un
tratto i larghi fianchi:
s'aderse il petto
fra le rosse lame:
e videro gli
astanti irti nel caldo
aere fumante, per
un tratto, saldo
quel gran corpo
restar, quasi di rame.
Sorse un nitrito
come di cavalla.
Il tronco crepitò.
Su l'abbattuta
l'incendïo salì
pari ad acuta
piramide nel cielo
opaco gialla,
che largamente
circondando il pingue
cumulo vegetal, tra
la sonora
bufera s'incurvava
ad ora ad ora
e palpitava scissa
in mille lingue.
E un ansare
affannoso, un pianto roco
n'usciva come da
una vasta selva;
strida, singhiozzi,
bramìti di belva,
la voce
innumerabile del fuoco.
Ma poi che cesse il
fumo impuro e giacque
la bufera, e la
vampa ebbe consunto
il rogo, e nel
sereno ciel trapunto
di stelle il rombo
della vampa tacque,
la fiamma s'allungò
silenziosa
diritta e pura:
tremolii di piume
candide scivolavano
tra il lume
e intorno l'aer
tingevasi di rosa.
E mentre nella
queta ombra le scialbe
luci tremavan sopra
le ammiranti
vergini e
impallidivano gli astanti
adolescenti nelle
tuniche albe,
da la cenere
azzurra, che di larve
bianche ondeggiava,
una lung'ala, un velo
fluttuante, la
fiamma ultima in cielo
oscillò, esitò
aerea. Sparve.
|