I
IO penso a voi,
povere creature
che da' primi anni
trasse l'inimico
infra gli schiavi,
e crebbe sotto dure
leggi, e ricinse
d'un tenace intrico.
Io penso a voi,
allor che da le alture
ov'io contendo
contro un grande antico
traggonmi a valle
miserande cure,
e mi sfiora
l'altrui gaudio impudico.
Allor, se posi un
attimo la tarma
che m'occupa il
cervello e degl'iniqui
la gioia oscura
m'avvilisca e prostri,
io guardo i visi
cavi e gli occhi obliqui
intorno ai cocchi
d'oro alzarsi e i vostri
pugni serrarsi come
su di un'arma.
II
UN giorno (morta
mamma era da poco)
Rosinella, la bimba
si moria
nel lettino,
minuscola, con fioco
alito, di già
muta... Oh figlia mia!
Girava gli occhi
ciechi... A poco a poco
gelava, il
corpicino. Oh l'agonia
dei bimbi! E non la
riscaldava il fuoco
della mia febbre e
della mia follìa!
Quando improvvisi
strepiti lontani
ruppero e voci:
sùbite fanfare
sonarono. La via
sorse in tumulto...
La strozza mi si
chiuse: un gran sussulto
m'irrigidì: le mie
braccia e le mani…
Oh balzare,
afferrare, stritolare!
III
IO penso ad uno che
morì ventenne
sognando ancor. La
vita che gli porse
una madre morente e
gli mantenne
col sangue, si
disciolse, e non s'accorse.
Era un sogno. Parea
gioia perenne
e in un pianto
infinito si ritorse:
e l'acuta agonia
ch'egli sostenne
era destino, era
delitto? Forse.
Era un de' figli
che le genitrici
plebee lanciano a'
giorni dell'inedia
perché sian germi
d'ira e di rivolta.
Morì ventenne ed io
volli, a' felici
lanciando in viso
un dì quella tragedia,
chiamar tutto un
esercito a raccolta.
IV
MA quando la
malizia ch'è diffusa
nella vita universa
ebbe ragione
de' folli slanci di
ribellione
ed ebbe ogn'ira
risorgente ottusa,
forse s'infranse
l'anima non usa
al giogo? Più non
piange. Si compone
in una pertinace
illusione.
Più non piange, non
odia, non accusa.
Ma prega: «O per
incognito cammino
smarriti, solo va
ciascuno e truce
guata: è ciascuno
a' prossimi assassino.
Deh, miti e
perdonanti il negro Duce
seguìte, e mondo
ciascun pellegrino
s'affacci ai
limitari della Luce!»
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