VIDE sentieri
stendersi e fiorire
a sé davanti
d'ideali fiori:
accennavano lunge i
primi albori:
ei s'avviò di
fronte a l'avvenire.
Quando vide il
sentiero in traditori
avvolgimenti
torcere e sparire,
cinto le membra di
tenaci spire,
il sangue suo fluì
da tutti i pori.
In ogni sasso è di
quel sangue traccia,
ogni roveto ha di
sue carni un brano.
Cadde. Ma non passò
Samaritano
a trarlo su la sua
cavalcatura.
Così giacque
morente, e la natura
non pianse e il
sole non velò sua faccia.
I
NEL crepuscolo
gelido la neve
che assidua sui
culmini s'affolta
tien la soffitta
sotto il manto greve
come in sudario
candido raccolta.
Vaghi baglior da la
finestra breve
imbiancan le pareti
e da la volta
che obliqua preme,
si fende e s'imbeve,
la neve filtra in
lente gocce sciolta.
Starnazza il vento
con un rombo cupo
entro la gola del
camino impura
radendo con rigore
aspro di lame.
Il poeta supino su
lo strame
spasima in
quell'aerea sepoltura
ch'eresse un giorno
l'uomo a l'uomo lupo.
II
O bianco paesel che
riappare
inerpicato su 'l
confin del piano,
dove brilla un
deserto casolare
e un cimitero al
sol meridiano!
Gli offerse ivi la
terra salutare
in premio del sudor
quotidiano
la gioia in vita e
un solco ove posare
le membra un dì,
non solo e non invano.
O, per l'ultima
volta visione
bianca ritorni fuor
dell'ombre gravi?
Povere croci in
quella terra santa!
E una voce
nell'orto lungi canta...
O Maria quest'è pur
la tua canzone!
Ridevan gli occhi
ceruli soavi.
III
IL canto egli sapea
dell'usignuolo
appreso un tempo a
la natal pineta
e la dolce d'amor
pena segreta
amava ricantar
piangendo solo.
Ma quando vide i
suoi fratelli al suolo
ignudi, sorse
libero poeta
con alte voci a
predicar la lieta
novella e stimolar
l'ignavo stuolo.
Stavano i tristi
sotto i cieli bui
come armenti
adunati ad olocausti
curvando i corpi
già sì poderosi.
E fra tanto
squallor vedendo lui
pianger i pianti
ond'erano essi esausti
guardavano in quel
volto dubitosi.
IV
EGLI parlò gemendo
e quando l'eco
tacque della
fortissima rampogna,
si levarono muti di
vergogna,
poi esclamò
ciascuno: «Eccomi teco!»
Ma quelli che
tesserono con bieco
ingegno l'empia
secolar menzogna,
come un ladro lo
misero a la gogna
e rinchiusero in
antro umido e cieco.
E un giorno avesti
da misericordi
mani la libertà
perché morissi
di fame lungi o pur
di mal sottile…
Così mi torna agli
occhi umidi e fissi
la tua vista che fu
quasi infantile…
O ricordi!
Terribili ricordi!
V
E da l'alto mirando
la sommersa
città nell'ombra
che di neve albeggia,
dove i camini
sembrano una greggia
lungo scialbi
declivii dispersa,
vede la strada in
baratro conversa,
che di barlumi qua
e là biancheggia
in cui, rombando
come un flutto, ondeggia
nera la folla
raminga e diversa.
Ahi qual gorgoglia
nell'oscuro fondo
verso i cieli
vaporando sale
effluvïo d'angoscia
e di delitto!
Guata, sbarrando le
pupille, fisso,
e un pensiero
fulmineo l'assale;
«S'io mi lanciassi
dentro a capofitto?»
VI
RISPLENDONO
finestre lungi, quali
aperti su la via
grand'occhi d'oro:
a lui dice uno
spirito canoro
come in un soffio
cose alte e fatali.
«O folleggiante di
felici coro
che svoli intorno a
ceri funerali,
di quanti
suscitasti odî mortali
coglierai il
terribile tesoro.
I tuoi campi avran
frutti di paludi:
cenere il grano, il
vino tuo veleno:
per te li agnelli
vestiranno spine.
Ma i tuoi figli che
nasceranno ignudi
benediranno il sol
giusto e sereno
dopo la notte ch'è
presso a la fine.»
VII
ORA ten va,
sognante anima e sola
caduta nelle tue
superbe sfide:
la luce che
seguivi, ecco, s'invola
e il diuturno sogno
si recide.
Le vie che tu
calcavi erano infide:
l'ideal cui tendevi
era una fola.
Così la vota
illusion t'irride
e la feroce realtà
t'immola.
Pallido asceta! E
tu la notte scruti,
quella che amasti
notte ampia sonora
per cui voci
s'udian, lucevan forme
care a' tuoi sensi
vigili ed acuti.
Or t'involge la
tenebra deforme.
Quest'è la notte
cui non segue aurora.
VIII
GIACE. D'un tratto
guarda. Si commove
l'ombra. Parole
ambigüe, remote
s'appressano
sonando: voci note
al certo: visi già
veduti: dove?
Ma sorge un
turbinìo vivo, di nove
forme, laide,
terribili. Si scuote
la parete. Un
rombar cupo di ruote:
un crollo ed uno
schianto; or tutto move.
Tutto s'avventa
dentro il ciel di fiamma:
sul capo il cielo e
sotto i piedi il cielo:
il ciel di sangue,
infinito, infinito...
E tutto è sangue.
Lo avviluppa un velo
tepido. Balza: un
grido ch'è smarrito
da tant'anni,
prorompe: O mamma, mamma!
IX
E ricade gemendo.
Come un'onda
morta di stagno
giace estenuato
lo spirito. Ma fuor
della profonda
ombra, come una
fiera da l'agguato
sbuca una forma
tacita ed immonda:
tende le braccia a
lui senza trar fiato:
brancica al buio:
poi, ratta, la sponda
del letto ascende e
gli si corca a lato.
Viscida, serpentina
gli si pone
intorno al corpo e
l'avvinghia e lo sugge:
«Spirto di fiamma,
corpo di fanciulla,
di tua sublime vita
che mi sfugge?
Ti prendo e son la
dissoluzione!»
E la più pura vita
entrò nel nulla.
X
VIVE! Vive! Nel
fluido elemento
fuor dai corpi
tangibili ed impuri
fin che l'essenza
incorruttibil duri
è la sua vita senza
mutamento.
Ma quando sieno gli
uomini e l'evento
parati e alla
vittorïa maturi,
su dai recessi
delle tombe oscuri
lo spirito uscirà
simile a vento.
Aleggerà fra gli
aspettanti, quale
aureola di fiamma
su le fronti:
gonfierà petti e sciorrà mute bocche.
E i vigili poeti da
le rocche
«Sorgete»
sclameranno «è vinto il Male!
ecco già grande il
Sole, ecco, sui monti!»
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