I
NELLA piccola culla
io l'ho veduto.
La mamma ricantava
un suo lamento
roco, il visino languido
e paffuto
della culla seguìa
l'ondulamento.
Ei nell'inconscia
pace aperte a stento
le gravi ciglia,
richiudeale muto:
e la madre sentiva
un dubbio lento
figgersi in cuor
come uno spillo acuto.
Ma ristando talor
con un sussulto
afferrava il suo
bimbo da la culla.
Oh scorgere in
quegli occhi una scintilla!
E sorgean le sue
viscere in tumulto:
«Parla! guardami! ridi…»
Nulla, nulla!
Di luce muta era la
gran pupilla.
II
MENTR'EGLI cresce
ed ella ancor attende,
solo e randagio
trae per la campagna,
piene d'un sangue
giallo che ristagna,
le membra dove lume
non s'accende.
Egli ama il sole,
il sol grande che fende
le nubi nel mattin
su la montagna:
e un'adorazion muta
il guadagna
per il bel dio che
nell'azzurro ascende.
Egli ama il bacio
della madre, e il viso
soffuso d'una
sconsolata pace,
di lei che al pari
d'un pulcin lo impinza.
Poi quand'ogni
altra bramosia si tace,
sdraiasi al sole ed
un beato riso,
mentre dorme, la
faccia gli raggrinza.
III
IO già li vedo
scendere i deformi
ingordi quali corvi
su carname:
flaccidi gialli: le
mascelle enormi
lungamente
digrignano per fame.
Nei cranî angusti
gurgitano informi
pensieri d'odio e
belluine brame:
s'adunan su le
piazze orridi a stormi
e attendono,
grugnendo, nello strame…
Così colei che fu
matrigna sempre
anco per invecchiar
non cangia tempre,
feconda ognora
d'infelici vite.
Ed il giorno è pur
lunge che una prole
nova uscirà nello
splendor del sole
da le viscere sue
ringiovanite.
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