SE ti punga desio
di più sereni
cieli in codesta
bolgia ove tu avvampi,
un dì tra' miei
laboriosi campi,
nel gran respiro
della terra, vieni;
o solitario amico
cittadino,
chiuso in tuoi
panni come in salde maglie,
che un giorno i
bracchi fervidi e le quaglie
pettegole destavano
al mattino!
Andremo erranti per
sentieri insieme,
umiliando l'anima
superba.
Meco vedrai fiorire
ogni fil d'erba,
udrai nel suolo
fendersi ogni seme.
*****
Nel cielo puro e
vasto come un mare
cavo d'azzurro il
sol possente regna,
e le nubi di lembi
argentei segna
che paiono in
quell'onde navigare.
O grande mar
diafano che incide
il profil delle
vette acute in giro,
come esultante la
gran conca miro
sotto il tuo riso
che universo ride!
O grande arco
dell'alpi gloriose!
Salgono a te dal
piano, su le caste
frigidità le nubi
pigre e vaste,
nembi di gigli,
cumuli di rose!
*****
Su la terra
tripudia la vita.
Tutte le cose
stanno assorte e mute,
ma tra' muschi
gorgogliano le argute
fontane. Qualche
pura acqua romita
tra mezzo a' sassi
e l'eriche rampolla.
Un fruscio di
locusta passa, un rombo
celere d'ale, il
brontolio d'un bombo
od il trillìo d'un
grillo su la zolla.
Io mi soffermo e
chiudo gli occhi, pregni
di luce, e ascolto
i palpiti sonori.
Non sono esausti in
me tutti i tesori,
Madre? Sono i miei
occhi ancora degni?
E aspiro lungo i
marghi le corolle
protese al vento
disiosamente,
mentre amor leva il
polline lucente
e scioglie i germi
gonfi entro le zolle.
*****
Nella siepe
s'intricano le rame
intorno a un piccol
nido che pispiglia,
dove una madre
veglia una famiglia
e rimira guardinga
tra 'l fogliame,
trasalendo, se là
dove s'azzuffa
un ammasso di spini
irti sul fosso,
frugar oda un
ramarro in fuga mosso
o la rana che in
acqua si rituffa.
Quanta vita
selvaggia! Quanti succhi
munti all'arena
avara, erbe maligne!
Ruvide foglie,
livide, sanguigne,
cardi, ortiche,
pruni, atropi, vilucchi,
rovi da cui
occhieggiano le more
com'occhi di
libellule spianti,
viticchi e ricci e
spire inerpicanti…
Ed in lor ombre
intumidano spore
venefiche. Dintorno
il buon frumento
fugge da quel
rapace stuol che preme.
Così, villico
improvvido, il mal seme
ogni nostra fatica
sperde al vento!
*****
Mentre qui, dove il
rivo si dirupa,
sedendo guardo, tra
le delicate
acace, le colline
miniate
su la massa dei
monti azzurro cupa,
un'erbaiola
gorgheggia d'amore
tra le saggine e
l'irte erbe recide.
Ella canta: «Una
bocca mi sorride,
mi sorride una
bocca e m'ama un core…»
Poi si leva nel
solco alta, vermiglia,
come un gran fior
tra le selvagge aiuole,
dove sui fusti
rigidi nel sole
il pendulo fagiolo
s'attorciglia.
Quasi schierata
lungo i solchi piega
i ricolmi pennacchi
la saggina:
a lei la bionda
meliga s'inchina
e le guaine hanno
stridii di sega.
E col fascio
dell'erba s'incammina,
nuda le braccia e
'l seno. Ed io da lunge
guardo… Nessun
rimpianto antico punge
lei che si
trastullò meco bambina!
*****
E poi che verso
l'Alpi azzurre, ingombre
di vapori, contende
il sole e neri
si fanno i boschi e
sui bianchi sentieri
le file degli
ontani allungan l'ombre,
a lenti passi
ripigliam la via
del borgo, tra le
grige canapaie,
tra' boschi dove
gracchian le ghiandaie
e 'l cacciator di
tra le fronde spia.
Nei seminati
vociano bifolchi
dietro gli aratri e
'l vomero s'intrude.
Si fendono le zolle
asciutte e crude:
volano corvi ne'
recenti solchi.
Mi volgono da lunge
ampî saluti
i falciator' da'
bronzei petti nudi.
È la serenità ne'
volti rudi.
Le adunche falci
hanno barbagli acuti.
Tornano da le
stoppie, ove s'affolta
maturata di già la
lupinella,
cacciando innanzi
lentamente nella
strada bianca la
mandria disciolta;
vigili, se una voce
lamentosa
avvisi lungo il
tràino che passa;
dilegua esso
ululando ed una bassa
nuvola sovra i
pascoli si posa.
E se una croce
memore sui cigli
d'un borro sorge o
su l'orlo d'un ponte,
passando a canto
piegano la fronte,
fatti pensosi e
muti un tratto. O figli
integri della
terra, son cadute
le parvenze del mio
superbo sogno.
Voi siete forti e
buoni: io mi vergogno,
però che volli a
voi recar salute!
*****
O fiume che dipingi
nelle chiare
acque il bel cielo
e i penduli querceti,
dove le vacche
bianche di sui greti
levansi con gli
umani occhi a guardare,
io tuffo nelle
chiare acque la faccia
e nel passato
l'anima profonda.
Ah da quel dì che
nell'età gioconda
io mi venni a
gittar fra le tue braccia,
passò dentro 'l mio
cuor tanto dolore,
quant'è fra le tue
rive onda passata!
Fiacco è 'l mio
corpo e l'anima malata:
la giovinezza mia
sterile muore.
Ed or quasi vorrei
in te calare
come bimbo che
fugge una minaccia,
padre! Oh per
sempre, chiuso da tue braccia
sotto immobili
cieli andare andare!
Mentre tu da le
cime irte di torri
dirute, intorno a
cui tripudianti
alzarono i miei
padri incendî e canti,
calmo o torvo
com'essi, al pian trascorri.
*****
E tutto vive, tutto
canta a' cieli
inni di luce, di
suoni, di odori!
Così, santa natura,
a me i tesori
dell'eterne
bellezze tue non celi.
E umilmente nel tuo
seno anch'io,
fra l'ardua pugna
che imperversa e mugge,
vo rintracciando
quel che ognor mi fugge,
degli uomini e di
me sereno oblio!
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