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Giovanni Cena In umbra IntraText CT - Lettura del testo |
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5 - L’apparizioneANCOR vedo nell'aria tenebrosa una bocca fiorir senza parola. Oh quella bocca, nelle notti, sola come una gran corolla sanguinosa!
Nel sogno invano gli occhi cerco, invano cerco il tesoro delle forme intero: sola resta nel memore pensiero l'immagine del fior malvagio umano.
Quali parole disser le superbe labbra ora fatte sospirose e fioche? Disser parole quelle labbra, poche e oscure, ma ne' baci erano acerbe.
Trascinava al pericolo giocondo come una maga astuta e insidiosa: nelle tenere sue membra di rosa non avea punto che non fosse immondo.
Su le tenaci membra e nell'acuto obliquo morso della bocca rea ogni vital virtù si disfacea consumata da un morbo sconosciuto...
Le labbra ardenti esalan voci rotte: tremano tinte di dolce veleno, e come una lattante avida un seno, cercano desiose nella notte.
*****
Grandi ombre van di grandi adolescenti per lei sotto il silente albor lunare e fanciulle non sazie d'amare seguendoli coi grandi occhi languenti.
Vergini vanno con l'esangui bocche protese al par di cupide corolle. A lungo abbrividiscono con molle desio le labbra che non fur mai tocche.
E madri bianche agitano le scarne mani. Da l'ombre emergono le braccia trepide alzate in atto di minaccia. Gridano: «O carne della nostra carne!»
*****
Era la forma già dell'Impudica legata, attorta al tronco, in un lascivo atteggiamento. Sorse un chiaror vivo rapidamente. Divampò la bica.
Bianca tra 'l fumo si torcea con guizzi, con brividi e con irrigidimenti: vibravano le lingue acri lambenti e acuti cigolii fuggian da' tizzi.
Vergini intorno e adolescenti, bianchi lucevano a quel lume. Tra le acerbe essenze delle resine e dell'erbe balenarono un tratto i larghi fianchi:
s'aderse il petto fra le rosse lame: e videro gli astanti irti nel caldo aere fumante, per un tratto, saldo quel gran corpo restar, quasi di rame.
Sorse un nitrito come di cavalla. Il tronco crepitò. Su l'abbattuta l'incendïo salì pari ad acuta piramide nel cielo opaco gialla,
che largamente circondando il pingue cumulo vegetal, tra la sonora bufera s'incurvava ad ora ad ora e palpitava scissa in mille lingue.
E un ansare affannoso, un pianto roco n'usciva come da una vasta selva; strida, singhiozzi, bramìti di belva, la voce innumerabile del fuoco.
Ma poi che cesse il fumo impuro e giacque la bufera, e la vampa ebbe consunto il rogo, e nel sereno ciel trapunto di stelle il rombo della vampa tacque,
la fiamma s'allungò silenziosa diritta e pura: tremolii di piume candide scivolavano tra il lume e intorno l'aer tingevasi di rosa.
E mentre nella queta ombra le scialbe luci tremavan sopra le ammiranti vergini e impallidivano gli astanti adolescenti nelle tuniche albe,
da la cenere azzurra, che di larve bianche ondeggiava, una lung'ala, un velo fluttuante, la fiamma ultima in cielo oscillò, esitò aerea. Sparve.
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