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Giovanni Cena In umbra IntraText CT - Lettura del testo |
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6 - I brutiI
NELLA piccola culla io l'ho veduto. La mamma ricantava un suo lamento roco, il visino languido e paffuto della culla seguìa l'ondulamento.
Ei nell'inconscia pace aperte a stento le gravi ciglia, richiudeale muto: e la madre sentiva un dubbio lento figgersi in cuor come uno spillo acuto.
Ma ristando talor con un sussulto afferrava il suo bimbo da la culla. Oh scorgere in quegli occhi una scintilla!
E sorgean le sue viscere in tumulto: «Parla! guardami! ridi…» Nulla, nulla! Di luce muta era la gran pupilla.
II
MENTR'EGLI cresce ed ella ancor attende, solo e randagio trae per la campagna, piene d'un sangue giallo che ristagna, le membra dove lume non s'accende.
Egli ama il sole, il sol grande che fende le nubi nel mattin su la montagna: e un'adorazion muta il guadagna per il bel dio che nell'azzurro ascende.
Egli ama il bacio della madre, e il viso soffuso d'una sconsolata pace, di lei che al pari d'un pulcin lo impinza.
Poi quand'ogni altra bramosia si tace, sdraiasi al sole ed un beato riso, mentre dorme, la faccia gli raggrinza.
III
IO già li vedo scendere i deformi ingordi quali corvi su carname: flaccidi gialli: le mascelle enormi lungamente digrignano per fame.
Nei cranî angusti gurgitano informi pensieri d'odio e belluine brame: s'adunan su le piazze orridi a stormi e attendono, grugnendo, nello strame…
Così colei che fu matrigna sempre anco per invecchiar non cangia tempre, feconda ognora d'infelici vite.
Ed il giorno è pur lunge che una prole nova uscirà nello splendor del sole da le viscere sue ringiovanite.
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