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Giovanni Cena In umbra IntraText CT - Lettura del testo |
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2 - Pane nostrum (A G.Faldella)I
QUANDO il primaveril sole s'accende mite e la linfa nel terren ribolle come in un corpo giovine, le zolle brulicano e la scorza aspra si fende.
E mentre nella siepe un nido attende una covata e schiudonsi corolle come infantili occhi stupiti, un molle tappeto lungo i solchi si distende.
Piegano brividendo le sottili cime nella carezza che s'imprime come in capigliature puerili.
e che allegrezza quando tenerine sui culmi lunghi, fuor da le guaine aguzze tremeran le spighe prime!
II
SPLENDETE, o giorni, limpidi e benigni! le spiche inturgidiscono e la veccia tra' verdi gambi e fiordalisi intreccia: cupi frastagli e petali rossigni.
Le mondaiole vanno e di sanguigni papaveri s'infiorano la treccia: cantando la canzone villereccia svelgon dal grano i cespiti maligni.
É il meriggio. La terra ardente e muta nell'abbraccio del sol pare svenuta: e 'l coro canta in voce illanguidita:
«Quella mattina che l'andò nell'orto vide la rosa bianca inaridita, o me! o me! Povero amore è morto!»
III
E mentre giugno a le colline apriche i caldi succhi negli acini prome, a la trebbia verranno alte le biche e daranno a' mulini grevi some.
Ondeggia l'oro eguale e vasto come fluido lago su le zolle antiche: piegano da leggier zefiro dome sui frali gambi le ricolme spiche.
Sur uno spalto un bove bianco e grande guarda col glauco occhio sereno e spande l'augurale mugulo nel piano.
O Madre, nel cui grembo si rinnova la morta vita con la vita nuova, o Terra, dànne il pan quotidiano!
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