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Giovanni Cena
In umbra

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  • LEMBI D'AZZURRO (A Mario Pilo)
    • 3 - Pomeriggi canavesani (al pittore A. M. Mucchi)
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3 - Pomeriggi canavesani (al pittore A. M. Mucchi)

 

SE ti punga desio di più sereni

cieli in codesta bolgia ove tu avvampi,

un dì tra' miei laboriosi campi,

nel gran respiro della terra, vieni;

 

o solitario amico cittadino,

chiuso in tuoi panni come in salde maglie,

che un giorno i bracchi fervidi e le quaglie

pettegole destavano al mattino!

 

Andremo erranti per sentieri insieme,

umiliando l'anima superba.

Meco vedrai fiorire ogni fil d'erba,

udrai nel suolo fendersi ogni seme.

 

*****

 

Nel cielo puro e vasto come un mare

cavo d'azzurro il sol possente regna,

e le nubi di lembi argentei segna

che paiono in quell'onde navigare.

 

O grande mar diafano che incide

il profil delle vette acute in giro,

come esultante la gran conca miro

sotto il tuo riso che universo ride!

 

O grande arco dell'alpi gloriose!

Salgono a te dal piano, su le caste

frigidità le nubi pigre e vaste,

nembi di gigli, cumuli di rose!

 

*****

 

Su la terra tripudia la vita.

Tutte le cose stanno assorte e mute,

ma tra' muschi gorgogliano le argute

fontane. Qualche pura acqua romita

 

tra mezzo a' sassi e l'eriche rampolla.

Un fruscio di locusta passa, un rombo

celere d'ale, il brontolio d'un bombo

od il trillìo d'un grillo su la zolla.

 

Io mi soffermo e chiudo gli occhi, pregni

di luce, e ascolto i palpiti sonori.

Non sono esausti in me tutti i tesori,

Madre? Sono i miei occhi ancora degni?

 

E aspiro lungo i marghi le corolle

protese al vento disiosamente,

mentre amor leva il polline lucente

e scioglie i germi gonfi entro le zolle.

 

*****

 

Nella siepe s'intricano le rame

intorno a un piccol nido che pispiglia,

dove una madre veglia una famiglia

e rimira guardinga tra 'l fogliame,

 

trasalendo, se là dove s'azzuffa

un ammasso di spini irti sul fosso,

frugar oda un ramarro in fuga mosso

o la rana che in acqua si rituffa.

 

Quanta vita selvaggia! Quanti succhi

munti all'arena avara, erbe maligne!

Ruvide foglie, livide, sanguigne,

cardi, ortiche, pruni, atropi, vilucchi,

 

rovi da cui occhieggiano le more

com'occhi di libellule spianti,

viticchi e ricci e spire inerpicanti…

Ed in lor ombre intumidano spore

 

venefiche. Dintorno il buon frumento

fugge da quel rapace stuol che preme.

Così, villico improvvido, il mal seme

ogni nostra fatica sperde al vento!

 

*****

 

Mentre qui, dove il rivo si dirupa,

sedendo guardo, tra le delicate

acace, le colline miniate

su la massa dei monti azzurro cupa,

 

un'erbaiola gorgheggia d'amore

tra le saggine e l'irte erbe recide.

Ella canta: «Una bocca mi sorride,

mi sorride una bocca e m'ama un core…»

 

Poi si leva nel solco alta, vermiglia,

come un gran fior tra le selvagge aiuole,

dove sui fusti rigidi nel sole

il pendulo fagiolo s'attorciglia.

 

Quasi schierata lungo i solchi piega

i ricolmi pennacchi la saggina:

a lei la bionda meliga s'inchina

e le guaine hanno stridii di sega.

 

E col fascio dell'erba s'incammina,

nuda le braccia e 'l seno. Ed io da lunge

guardo… Nessun rimpianto antico punge

lei che si trastullò meco bambina!

 

*****

 

E poi che verso l'Alpi azzurre, ingombre

di vapori, contende il sole e neri

si fanno i boschi e sui bianchi sentieri

le file degli ontani allungan l'ombre,

 

a lenti passi ripigliam la via

del borgo, tra le grige canapaie,

tra' boschi dove gracchian le ghiandaie

e 'l cacciator di tra le fronde spia.

 

Nei seminati vociano bifolchi

dietro gli aratri e 'l vomero s'intrude.

Si fendono le zolle asciutte e crude:

volano corvi ne' recenti solchi.

 

Mi volgono da lunge ampî saluti

i falciator' da' bronzei petti nudi.

È la serenità ne' volti rudi.

Le adunche falci hanno barbagli acuti.

 

Tornano da le stoppie, ove s'affolta

maturata di già la lupinella,

cacciando innanzi lentamente nella

strada bianca la mandria disciolta;

 

vigili, se una voce lamentosa

avvisi lungo il tràino che passa;

dilegua esso ululando ed una bassa

nuvola sovra i pascoli si posa.

 

E se una croce memore sui cigli

d'un borro sorge o su l'orlo d'un ponte,

passando a canto piegano la fronte,

fatti pensosi e muti un tratto. O figli

 

integri della terra, son cadute

le parvenze del mio superbo sogno.

Voi siete forti e buoni: io mi vergogno,

però che volli a voi recar salute!

 

*****

 

O fiume che dipingi nelle chiare

acque il bel cielo e i penduli querceti,

dove le vacche bianche di sui greti

levansi con gli umani occhi a guardare,

 

io tuffo nelle chiare acque la faccia

e nel passato l'anima profonda.

Ah da quel dì che nell'età gioconda

io mi venni a gittar fra le tue braccia,

 

passò dentro 'l mio cuor tanto dolore,

quant'è fra le tue rive onda passata!

Fiacco è 'l mio corpo e l'anima malata:

la giovinezza mia sterile muore.

 

Ed or quasi vorrei in te calare

come bimbo che fugge una minaccia,

padre! Oh per sempre, chiuso da tue braccia

sotto immobili cieli andare andare!

 

Mentre tu da le cime irte di torri

dirute, intorno a cui tripudianti

alzarono i miei padri incendî e canti,

calmo o torvo com'essi, al pian trascorri.

 

*****

 

E tutto vive, tutto canta a' cieli

inni di luce, di suoni, di odori!

Così, santa natura, a me i tesori

dell'eterne bellezze tue non celi.

 

E umilmente nel tuo seno anch'io,

fra l'ardua pugna che imperversa e mugge,

vo rintracciando quel che ognor mi fugge,

degli uomini e di me sereno oblio!

 

 




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