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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Posan gli eroi, tace la piaggia. Al suono
D'alpestre rio, sotto l'antica pianta
Giace Conallo: una muscosa pietra
Sostiengli il capo. Della notte udia
Stridula acuta cigolar la voce39
Per la piaggia del Lena; ei dai guerrieri
Giace lontan, che non temea nemici
Il figlio della spada. Entro la calma
Del suo riposo, egli spiccar dal monte
Vide di foco un rosseggiante rivo.
Per quell'ardente luminosa riga
A lui scese Crugallo, uno dei duci
Poc'anzi estinti, che cadeo per mano
Del fier Svaran: par di cadente luna
Raggio il suo volto; nugoli del colle
Forman le vesti: sembrano i suoi sguardi
Scintille estreme di languenti faci:
Aperta, oscura, nel mezzo del petto
Sospira una ferita. «O Crugal, disse
Il possente Conal, figlio di Dedga
Chiaro sul colle, o frangitor di scudi,
Perché pallido e mesto? io non ti vidi
Mai nelle pugne impallidir di tema.
E che t'attrista?» Lagrimoso, e fosco
Quegli si stette: sull'eroe distese
La sua pallida man, languidamente
Alzò la voce in suon debole e roco,
Come l'auretta del cannoso Lego.
«Conàl, tu vedi l'ombra mia che gira
Sul natio colle, ma il cadaver freddo
Giace d'Ullina sull'ignude arene.
Più non mi parlerai, né le mie orme
Vedrai sul prato: qual nembo di Cromla
Son vuoto e lieve, e per l'aere galleggio
Come nebbia sottile. Odimi, o duce:
Veggio l'oscuro nugolo di morte
Che sul Lena si sta: cadranno i figli
D'Inisfela, cadran: da questo campo
Ritirati, o Conallo; è campo d'ombre40».
Disse, e sparì come offuscata luna
Nel fischiante suo nembo. Ah no, t'arresta,
T'arresta, o fosco rosseggiante amico,
Disse Conal; vientene a me, ti spoglia
Di quel raggio celeste, o del ventoso
Cromla guerriero. In qual petrosa grotta
Ricovri tu? qual verdeggiante colle
Datti albergo e riposo? e non udremti
Dunque nella tempesta, o nel rimbombo
Dell'alpestre torrente, allor che i fiacchi
Figli del vento a cavalcar sen vanno
Per l'aeree campagne? Ei, così detto,
Rizzasi armato; a Cucullin s'accosta,
Picchia lo scudo: risvegliossi il figlio
Della battaglia. E qual cagion ti guida?
Disse del carro il reggitor sublime;
Perché nel buio della notte armato
Vieni o Conàl? potea la lancia mia
Volgersi incontro a quel rumore, ond'io
Piangessi poi del mio fedel la morte.
Conàl che vuoi? figlio di Colgar41 parla;
Lucido è 'l tuo consiglio a par del sole.
Duce, ei rispose, a me pur ora apparve
L'ombra di Crugal: trasparian le stelle
Fosche per la sua forma42; avea la voce
Di lontano ruscello: egli sen venne
Messaggero di morte; ei favellommi
Dell'oscura magion. Duce d'Erina
Sollecita la pace, o a sgombrar pensa
Dalla piaggia del Lena. Ancor che fosche
Per la sua forma trasparian le stelle,
Soggiunse Cucullin, teco o Conallo
L'ombra parlò? questo fu 'l vento amico,
Che nelle grotte mormorò del Lena.
O se pur fu Crugàl, che nol forzasti
Di comparirmi innanzi? e non gli hai chiesto
Dove sia l'antro suo, dove l'albergo
Dell'ospite dei venti? allor potrebbe
Forse il mio brando rintracciar cotesta
Presaga voce, e trar da quella a forza
Il suo saper: ma 'l suo saper, Conallo,
credimi, è poco. Or come? egli poc'anzi
Fu pur tra noi; più su che i nostri colli
Ei non varcò: chi della nostra morte
Potriagli adunque rivelar l'arcano?
L'ombre su i venti e sulle nubi in frotta
Vengono e vanno a lor piacer, soggiunse
Il senno di Conal43; nelle spelonche
Fanno alterni colloquj, e degli eventi
Parlano de' mortali. - E de' mortali
Parlino a senno lor, parlin di tutti;
Di me non già, che 'l ragionarne è vano.
Scordinsi Cucullin, perch'io son fermo
Di non fuggir: se fisso è pur ch'io caggia,
Trofeo di gloria alle future etadi
Sorgerà la mia tomba; il cacciatore
Verserà qualche lagrima pietosa
Sopra il mio sasso, e alla fedel Bragela
Sarò memoria ognor dolce, ed acerba.
Non temo di morir, di fuggir temo,
E di smentirmi: che più volte in guerra
Scorsemi vincitor l'alto Fingallo.
O tenebroso fantasma del colle,
Su via mostrati a me, vien' sul tuo nembo,
Vien' sul tuo raggio; in la tua man rinchiusa
Mostrami la mia morte, aerea forma,
Non fuggirò. Va', va', Conàl, colpisci
Lo scudo di Cabàr che giace appeso
Là tra quell'aste; i miei guerrier dal sonno
Sveglinsi tutti, e alla vicina pugna
S'accingan tosto. Ancor che a giunger tardi
L'eroe di Selma44, e la robusta schiatta45
De' tempestosi colli, andiamne, amico,
Pugnisi, e sia con noi vittoria, o morte.
Si diffonde il rumor; sorgono i duci.
Stan su la piaggia armati al par d'antiche
Quercie crollanti i noderosi rami,
Se gelata onda le percuote, e al vento
S'odon forte stormir l'aride fronde.
Già la nebbiosa dirupata fronte
Di Cromla appar, già 'l mattutino raggio
Né fosca più, né ben lucente ancora.
Va roteando lentamente intorno
La grigia nebbia, e d'Inisfela i figli
Nasconde agli occhi di Svaran. Sorgete,
Disse il signor dei tenebrosi scudi,
Sorgete, o voi che di Loclin dall'onde
Meco veniste: già dall'armi nostre
Fuggir d'Erina i duci. Or che si tarda?
S'inseguano, s'incalzino. Tu Morla
Tosto alla reggia di Corman t'avvia:
Comanda a lui, che di Svaran la possa
Prostrato inchini, anzi che 'l popol tutto
Nella morte precipiti, ed Ullina
Altro non resti che deserto e tomba.
S'adunano color, simili a stormo
D'augei marini, quando il flutto irato
Li rispinge dal lido, e fremon come
Nella valle di Cona accolti rivi,
Qualor dopo notturna atra bufera
Volvon riflussi vorticosi oscuri.
Sfilan, quai succedentisi sul monte
Nugoloni d'autunno, orride in vista
Le avverse schiere. Maestoso e grande
A par del cervo de' morvenii boschi
Svaran s'avanza, e fuor dell'ampio scudo
Esce il fulgor della notturna fiamma,
Che per la muta oscurità del mondo
Fassi guida e sentiero all'erranti ombre:
Guatale il peregrin pallido, e teme.
Ma un nembo alfin sorto dal mar la densa
Nebbia squarciò: tutti apparir repente
D'Inisfela i guerrier schierati, e stretti,
Qual catena infrangibile di scogli
Lungo la spiaggia. Oh, disse allor l'altero
Dei boschi regnator, vattene o Morla,
Offri pace a costoro, offri quei patti
Che diamo ai re, quando alla nostra possa
Piegan le vinte nazioni, e spenti
Sono i guerrieri, e le donzelle in lutto.
Disse. Con lunghi risonanti passi
Morla avviossi, e baldanzoso in atto
Venne dinanzi al condottier d'Erina,
Che stava armato: gli fean cerchio intorno
Gli eroi minori. O Cucullin, accetta,
Diss'ei, la pace di Svaran, la pace
Ch'egli offre ai re, quando alla sua possanza
Piegan le nazioni; a lui tu cedi
La verdeggiante Ullina, e in un con essa
La tua sposa, e il tuo can; la dal ricolmo
E palpitante sen bella tua sposa,
Ed il tuo can raggiungitor del vento.
Questi a lui cedi in testimonio eterno
Della fiacchezza del tuo braccio, e in esso
Scorgi il tuo re. - «Porta a quel cor d'orgoglio,
Porta a Svaran, che Cucullin non cede.
Egli m'offre la pace: io offro a lui
Le strade dell'oceàno, oppur la tomba.
Non fia giammai ch'uno stranier possegga
Quel raggio di Dunscaglia; e mai cervetta
Non fuggirà per le loclinie selve
Dal piè ratto di Lua46.» Vano e superbo
Del carro guidator, Morla riprese,
Vuoi tu dunque pugnar? pugnar vuoi dunque
Contro quel re, di cui le navi figlie
Di molti boschi trar potrian divelta
Tutta l'isola tua seco per l'onde?
«Sì quest'Ullina è meschinetta, e poca
Contro il signor del mar. Morla, ei soggiunse,
Cedo a molti in parole, a nullo in fatti.
Rispetterà la verdeggiante Erina
Lo scettro di Corman, finché respiri
Conallo, e Cucullin. Conallo, o primo
Tra' duci, or che dirai? pur or di Morla
Le voci udisti; o generoso e prode,
Saran pur anco i tuoi pensier di pace?
O spirto di Crugallo, e tu di morte
M'osasti minacciar? schiudimi il varco
Dell'angusta tua casa: ella fra' raggi
M'accoglierà della mia gloria involto.
Su su, figli d'Erina, alzate l'asta,
Piegate l'arco, disperatamente
Sul nemico avventatevi, ond'ei creda
Che a lui dall'alto si rovescin sopra
Tutti i notturni tempestosi spirti» .
Or sì mugghiante, orribile, profondo
Volvesi il bujo della zuffa: nebbia
Così piomba sul campo allor che i nembi
Invadono il solar tacito raggio.
Precede il duce; irata ombra il diresti,
Che dietro ha negra nube, ed infocate
Meteore intorno, e nella destra i venti.
Carilo era in disparte: ei fa che s'alzi
Il suon del corno bellicoso; e intanto
Scoglie la grata voce47, ed il suo spirto
Sgorga nel cor de' bellicosi eroi.
Dove dove è Crugal? disse la dolce
Bocca del canto48: ei basso giace, è muta
La sala delle conche49; oblio lo copre.
Mesta è la sposa sua, che peregrina
Entro le stanze del suo lutto alberga50.
Ma quel raggio vegg'io, che tra le schiere
Dei nemici si scaglia?51 ella è Degrena,
La sposa di Crugallo: addietro ai venti
Lascia la chioma; ha rosseggiante sguardo,
Strillante voce. Ahi lassa! azzurro e vuoto
È ora il tuo Crugal: sta la sua forma
Nella cava del colle: egli al tuo orecchio
Fessi pian pian nel tuo riposo, alzando
Voce pari al ronzio d'ape montana.
Ve' ve' cade Degrena, e sembra nube
Che striscia in sul mattino: è nel suo fianco
La spada di Loclin52. Cairba, è spenta,
Cadde Degrena tua; Degrena, il dolce
Risorgente pensier de' tuoi verd'anni.
Udì Cairba il mesto suono53, e vide
La morte della figlia; in mezzo a mille,
Qual balena che 'l mar frange col pondo,
Slanciasi, e mugghia: la sua lancia incontra
Il cor d'un figlio di Loclin: s'ingrossa
La sanguinosa mischia. In bosco annoso
Ben cento venti, o tra ramosi abeti
Di cento colli violenta fiamma,
Poriano appena pareggiar la strage,
La rovina, il fragor dell'affollate
Schiere cadenti. Cucullin recide
Come cardi gli eroi; Svaran devasta,
Diserta Erina: di sua man Curano
Cadde, e Cairba dal curvato scudo.
Giace Morglano in ferreo sonno, e Calto
Guizza morendo: del suo sangue ha tinto
Il bianco petto; è strascinata e sparsa
La gialla chioma per la molle arena
Del suo terren natio. Spesso ov'ei cadde
Già conviti imbandì, spesso dell'arpa
La voce sollevò; festosi intorno
Saltellavangli i veltri, e i giovinetti
Stavansi ad assettar faretre ed archi.
Già Svaran cresce, e già soverchia, come
Torrente che trabocca, e i minor poggi
Schianta e travolve, e i maggior pesta e sfianca.
Ma s'attraversa Cucullin, qual monte
Di nembi arrestator: cozzano i venti
Sulla fronte di pini, e i massi informi
La ripercossa grandine flagella:
Quello in sua possa radicato e fermo
Stassi, ed adombra la soggetta valle.
Tal Cucullino ombra faceasi, e schermo
Ai figli d'Inisfela: a lui d'intorno
Di palpitanti eroi zampilla il sangue,
Come fonte da rupe: invan, ch'Erina
Cade pur d'ogni parte, e si dilegua
Siccome neve a caldo sol. Compagni,
Gruma gridò, Loclin conquista, e vince:
Che più dunque pugnar, palustri canne
Contro il vento del cielo? al colle, al colle
Fuggiam compagni: ed ei fuggissi il primo
Come cervo inseguito, e la sua lancia,
Simile a raggio tremulo di luce,
Dietro traea. Pochi fuggir con Gruma,
Duce di picciol cor: gli altri pugnando
Caddero, e 'l Lena ricoprir coi corpi.
Vede dall'alto del gemmato carro
La sconfitta de' suoi, vedela, e freme
D'Erina il condottier: trafisse il petto
A un fier nemico, indi a Conàl si volse.
O Conallo, esclamò, tu m'addestrasti
Questo braccio di morte: or che farassi?
Ancor ch'Erina sia fugata o spenta,
Non pugnerem perciò? Sì sì: tu vanne,
Carilo, e i sparsi fuggitivi avanzi
Di nostre schiere là raccogli, e guida
Dietro quell'erto cespuglioso colle.
Noi stiam fermi quai scogli, e sostenendo
L'impeto di Loclin, de' fidi amici
La fuga assicuriam. Balza Conallo
Sopra il carro di luce: i due campioni
Stendono i larghi tenebrosi scudi,
Come la figlia dei stellati cieli
Lenta talor move per l'aere, e intorno
Di fosco cerchio s'incorona e tinge.
Palpitante, anelante e spuma e sangue
Spruzza Sifadda, e Duronallo a cerchio
Volvesi alteramente, e calca e strazia
Nemici corpi: quei serrati e folti
Tempestano gli eroi, quai sconvolte onde
Sconcia balena d'espugnar fan prova.
Di Cromla intanto sul ciglion petroso
Si ritrassero alfine i pochi e mesti
Figli d'Erina, somiglianti a un bosco,
Cui strisciando lambì rapida fiamma,
Spinta dai venti in tempestosa notte.
Dietro una quercia Cucullin si pose
Taciturno, pensoso: il torbid'occhio
Gira agli astanti amici. Ecco venirne
Moran del mare esplorator. «Le navi,
Le navi, egli gridò; Fingal, Fingallo,
Il Sol dei duci, il domator d'eroi,
Ei viene, ei vien: spumano i flutti innanzi
Le nere prue; le sue velate antenne
Sembran boschi tra nubi.» O venti, o voi
Venti, soggiunse Cucullin, che uscite
Dall'isoletta dell'amabil nebbia,
Spirate tutte favorevoli aure,
Secondate il guerrier: vientene amico
Alla morte di mille, amico ah vieni.
Nubi dall'oriente a questo spirto
Son le tue vele, e l'aspettate navi
Luce del cielo, e tu mi sei tu stesso
Come colonna d'improvviso foco
Rischiaratrice della notte oscura.
O mio Conal, quanto graditi e cari
Ci son gli amici! Ma s'abbuja intanto
La notte: ov'è Fingal? noi le fosch'ore
Stiam qui passando, e sospiriam la luna.
Già sbuffa il vento; dalle fesse rupi
Già sboccano i torrenti: al capo irsuto
Di Cromla intorno s'adunò la pioggia,
E rosse tremolavano le stelle
Per le spezzate nubi. Appresso un rivo,
Di cui la pianta al gorgoglìo risponde,
Mesto s'assise il condottier d'Erina.
Carilo il buon cantor stavagli accanto,
E 'l pro' Conallo. Ah, sospirando disse
Di Semo il figlio, ah che infelice e fiacca
È la mia man, dacché l'amico uccise!
O Ferda, o caro Ferda, io pur t'amava
Quanto me stesso. Cucullin, deh dinne,
L'interruppe Conàl, come cadèo
Quell'illustre guerrier? ben mi sovvengo
Del figlio di Damman. Grande era e bello
Come l'arco del ciel. - Ferda signore
Di cento colli, d'Albion sen venne.
Nella sala di Muri54 ei da' prim'anni
L'arte del brando apprese, e d'amistade
Strinsesi a Cucullin: fidi alla caccia
N'andammo insieme; era comune il letto,
Era a Cairba55 già signor d'Ullina
Deugala sposa: avea costei nel volto
La luce di beltà, ma in mezzo al core
La magion dell'orgoglio. Ella invaghissi
Di quel raggio solar di gioventude,
Del figlio di Damman. Cairba, un giorno
Disse la bella, orsù dividi il gregge;
Dammi la mia metà: restar non voglio
Nelle tue stanze: il gregge tuo dividi,
Fosco Cairba. Cucullin, rispose,
Lo divida per me: trono è 'l suo petto
Di giustizia: tu parti. Andai: la greggia
Divisi. Un toro rimaneva, un toro
Bianco di neve; al buon Cairba il diedi.
Deugala n'avvampò; venne all'amante:
Ferda, diss'ella, Cucullin m'offende;
Fammi udir di sua morte, o sul mio corpo
Scorrerà il Luba; la mia pallid'ombra
Staratti intorno, e del mio orgoglio offeso
Piangerà la ferita: o spargi il sangue
Di Cucullino, o mi trapassa il petto.
Oimè, disse il garzon, Deugala, e come?
Io svenar Cucullino? egli è l'amico
De' miei pensier segreti, e contro ad esso
Solleverò la spada? Ella tre giorni
Pianse; nel quarto dì cesse al suo pianto
L'infelice garzon. Deugala, ei disse,
Tu 'l vuoi, combatterò: ma potess'io
Cader sotto il suo brando! Io dovrei dunque
Errar sul colle, e rimirar la tomba
Di Cucullin? Noi presso a Muri insieme
Pugnammo: s'impacciavano l'un l'altro
Ad arte i brandi nostri, il fatal colpo
Sfuggendo, sdrucciolavano sugli elmi,
Strisciavano su i scudi. Eragli accanto
Deugala sua: con un sorriso amaro
Diedesi a rampognarlo: O giovinetto,
Debole è 'l braccio tuo, non è pel brando
Questa tenera età; garzone imbelle
Cedi al figlio di Semo; egli pareggia
Lo scoglio di Malmor. Corsegli all'occhio
Lagrima di vergogna; a me si volse,
E parlò balbettando: alza il tuo scudo,
Alzalo, Cucullino, e ti difendi
Dal braccio dell'amico: ho grave e negra
L'anima di dolor, che uccider deggio
Il maggior degli amici e degli eroi.
Trassi a quei detti alto sospir, qual vento
Da fessa rupe: sollevai del brando
L'acuto filo: ahi lasso! egli cadeo.
Cadde il Sol della pugna, il caro, il primo
Tra' fidi amici: sciagurata, imbelle
È la mia man, dacché l'amico uccisi.
Figlio del carro, dolorosa istoria,
Carilo ripigliò, narrasti: or questa
Mi rimanda alla mente un fatto antico,
Che può darti conforto. Io spesso intesi
Membrar Comallo56 che l'amata uccise;
Pur sempre accompagnò vittoria e fama
La sua spada, e i suoi passi. Era Comallo
Un figlio d'Albion, di cento colli
Alto signor: da mille rivi e mille
I suoi cervi beveano, e mille scogli
Rispondeano al latrar de' veltri suoi.
Era soavità di giovinezza
L'amabile suo volto; era il suo braccio
Morte d'eroi. De' suoi pensier l'obietto
Uno era e bello, la gentil Galvina,
La figlia di Colonco: ella sembrava
Sol tra le donne, e liscia ala di corvo
La sua chioma vincea; sagaci in caccia
Erano i cani suoi, fischiava al vento
La corda del suo arco. I lor soavi
Sguardi d'amor si riscontrar sovente:
Uno alla caccia era il lor corso, e dolci
Le lor segrete parolette e care.
Ma per la bella si struggea d'amore
Il fier Gormante; il tenebroso duce
D'Arven57 nembosa, di Comal nemico.
Egli tutt'or della donzella i passi
Sollecito esplorava. Un dì che stanchi
Tornavano da caccia, e avea la nebbia
Tolti alla vista lor gli altri compagni,
Si riscontraro i due teneri amanti
Alla grotta di Ronna. Ivi Comallo58
Facea spesso soggiorno; ivi del duce
Pendean disposti i bellicosi arnesi:
Cento scudi di cuoio, e cento elmetti
Di risuonante acciar. Qui dentro, ei disse,
Riposati, amor mio, riposa o luce
Dello speco di Ronna: un cervo appare
Su la vetta di Mora59; io là men volo,
Ma tosto tornerò. Comal, rispose,
Temo Gormante il mio nemico; egli usa
In questa grotta; io poserò fra l'armi:
Ma fa' tosto, amor mio. Volò l'eroe
Verso il cervo di Mora. Allor la bella
Volle far prova sconsigliatamente
Dell'amor del suo caro: il bianco lato
Ella coperse di guerriere spoglie,
E della grotta uscì. Comàl l'adocchia,
Credela il suo nemico; il cor gli balza:
Iscolorossi, intenebrossi; incocca
L'arco; vola lo stral; cade Galvina
Nel sangue suo. Quei furibondo, ansante
Vola all'antro, e la chiama: alcun non s'ode;
Muta è la rupe. O dolce amor rispondi,
Dove se' tu? Torna all'estinto, e vede
Il cor di quella palpitar nel sangue
Dentro il suo dardo. O mia Galvina! oh vista!
Or se' tu quella? e le cadeo sul petto.
Vennero i cacciatori, e ritrovaro
La sventurata coppia. Il duce ancora
Errò sul colle; ma solinghi e muti
Erano i passi suoi presso l'oscura
Magion dell'amor suo. Sceser le navi
Dell'oceàno60; egli pugnò; fuggiro
Dal suo brando i stranier: cercò la morte,
Ma chi dar la poteagli? a terra irato
Scagliò lo scudo; una volante freccia
Riscontrò alfine il maschio petto. Ei dorme
Con l'amata Galvina in riva al mare;
E fendendo il nocchier le nordiche onde,
Scorge le verdi tombe, e ne sospira.