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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Al generoso reggitor del carro99
Conàl si volse, e con soavi detti
Preselo a confortar. Figlio di Semo,
Perché ti lasci alla tristezza in preda?
Son nostri amici i forti, e rinomato
Se' tu guerrier: molte le morti e molte
Già fur del braccio tuo; spesso Bragela
Con ceruleo-giranti occhi di gioja
Il suo sposo incontrò, mentr'ei tornava
Cinto dai valorosi, in mezzo ai canti
Dei festosi cantori, e rosseggiante
Avea 'l brando di strage; e i suoi nemici
Giacean sul campo della tomba esangui.
Datti conforto, e 'l re di Morven meco
Statti lieto a mirar. Ve' com'ei passa,
Qual colonna di foco, e tutto incende!
Qual vigor! qual furor! non par di Luba
La correntìa? non par di Cromla il vento
Schiantator di ramose alte foreste?
Fingallo, è 'l tuo: tu gli sei fregio e schermo.
Tu primo in guerra, e tu nei dì di pace
In consiglio il maggior: tu parli, e mille
S'affrettano a ubbidir: ti mostri, e innanzi
Ti cadono gli eroi. Popol felice!
Popolo di Fingal, d'invidia degno!
Chi è, chi è, figlio di Semo osserva,
Chi è costui sì tenebroso in vista
Che tonando ne vien? Questo è l'altero
Figlio di Starno. Oh! con Fingàl s'affronta:
Stiamo a veder. Par d'oceàn tempesta
Mossa da due cozzanti aerei spirti,
Che van dell'onde a disputar l'impero:
Trema dal colle il cacciator, che scorge
Ergersi il fiotto, e torreggiargli a fronte.
Sì Conallo parlò, quando a scontrarsi
In mezzo al lor popolo cadente
Corsero i due campion. Questa è battaglia,
Questo è fragor: qui ciascun urto è turbo,
Ciascun colpo è tempesta: orrore e morte
Spirano i sguardi. Ecco spezzati scudi,
Smagliati usberghi, e sminuzzati elmetti
Balzan fischiando: ambi i guerrieri a terra
Gettano l'armi, e con raccolta possa
Vannosi ad afferrar. Serransi intorno
Le noderose nerborute braccia.
Si stirano, si scrollano, s'intrecciano
Sotto e sopra in più gruppi alternamente
Le muscolose membra: ai forti crolli,
All'alta impronta dei tallon robusti
Scoppian le pietre, e dalle nicchie alpestri
Sferransi i duri massi, e van sossopra
Rovesciati cespugli. Alfin la possa
A Svaran manca, egli è di nodi avvinto.
Così sul Cona già vid'io (ma Cona
Non veggo più), così vid'io due sconci
Petrosi scogli trabalzati e svelti
Dall'orrid'urto di scoppiante piena;
Volvonsi quei da un lato all'altro, e vanno
Ad intralciarsi le lor querce antiche
Colle ramose cime; indi cozzando
Piombano assieme, e si strascinan dietro
Sterpi e cespi ammontati, e pietre e piante:
Svolvonsi i rivi, e da lontan si scorge
Il vuoto abisso della gran rovina.
Figli, gridò Fingàl, tosto accorrete,
Statevi a guardia di Svaran, che in forza
Ben pareggia i suoi flutti; è la sua destra
Mastra di pugna; egli è verace germe
Di schiatta antica. O tra' miei duci il primo
Gaulo, e tu re dei canti Ossian possente,
All'amico e fratel d'Aganadeca
Siate compagni, e gli cangiate in gioja
Il suo dolor: ma voi Fillano, Oscarre,
Rino, figli del corso, i pochi avanzi
Di Loclin disperdete, onde nemica
Nave non sia che saltellare ardisca
Sull'onde d'Inistor. Simili a lampo
Volaron essi. Ei campeggiò sul Lena
Posatamente, come nube estiva
Lento-tonante per lo ciel passeggia;
Tace sott'essa la cocente piaggia.
Vibra il raggiante suo brando, cui dietro
Striscia spavento. Egli da lungi adocchia
Un guerrier di Loclin: ver lui s'avvia,
E così parla: e chi vegg'io lì presso
Alla pietra del rio? tenta ma indarno,
Di varcarlo d'un salto: agli atti, al volto
Sembra eroe d'alto affar, pendegli a fianco
Il curvo scudo, ed ha lung'asta in mano.
Giovine eroe, di', chi se' tu, rispondi,
Se' tu nemico di Fingallo? - Io sono
Un figlio di Loclin, di forte braccio.
La sposa mia nella magion paterna
Stassi piangendo, e mi richiama: invano;
Orla non tornerà. Combatti, o cedi?
Disse l'alto Fingallo: i miei nemici
Lieti non son; ma ben famosi e chiari
Sono gli amici miei. Figlio dell'onda
Seguimi alla mia festa: i miei cervetti
Vientene ad inseguir. No, no, rispose,
Ai deboli io soccorro; è la mia destra
Schermo de' fiacchi: paragon non ebbe
Mai la mia spada. Il re di Morven ceda.
Garzon, Fingàl non cede. Impugna il brando,
E t'eleggi un nemico: i miei campioni
Son molti e forti. E la tenzon ricusi?
Gridò 'l guerriero: Orla è di Fingal degno;
E degno è Fingal d'Orla, e Fingal solo.
Ma se cader degg'io, che pur un giorno
Cade ogni prode, odimi o Re, la tomba
Alzami in mezzo al campo, e fa' che sia
La maggior di tutt'altre: e giù per l'onda
Manda il mio brando alla diletta sposa,
Onde mesta il ricovri, e lagrimando
Lo mostri al figlio, ed a pugnar l'infiammi.
Giovine sventurato, a che con questi
Funesti detti a lagrimar m'invogli?
Disse Fingallo: è ver pur troppo! il prode
Deve un giorno cader, debbono i figli
Vederne l'armi inutili e sospese.
Pur ti conforta: io t'alzerò la tomba,
Orla, non dubitarne; e la tua sposa
Avrà 'l tuo ferro, e 'l bagnerà di pianto.
Presero essi a pugnar, ma 'l braccio d'Orla100
Fiacco fu contro il Re: scese la spada
Del gran Fingallo, e in due partì lo scudo.
Cadde quegli rovescio; sopra l'onda
L'arme riverberàr, come talvolta
Sopra notturno rio riflessa luna.
Re di Morven, diss'ei, solleva il brando,
Passami il petto: qui ferito e stanco
Dalla battaglia i fuggitivi amici
M'abbandonaro: giungerà ben tosto
Lungo le sponde dell'acquoso Loda
All'amor mio la lagrimosa istoria;
Mentre romita e muta erra nel bosco,
E tra le foglie il venticel susurra.
Orla, ch'io ti ferisca? ah non fia vero,
Disse Fingal: lascia, guerrier, che in riva
Del patrio Loda dalle man di guerra
Sfuggito e salvo, con piacer t'incontri
L'affannoso amor tuo; lascia che 'l padre
Canuto, e forse per l'età già cieco,
Senta da lungi il calpestio gradito
De' piedi tuoi: lascia che lieto ei sorga,
E brancolando con la man ricerchi
Il figlio suo. - Nol rinverrà giammai:
Io vo' morir sul Lena; estranj vati
Canteranno il mio nome: un'ampia fascia
Copremi in petto una mortal ferita;
Ecco io la squarcio, e la disperdo al vento.
Sgorgò dal fianco il nero sangue; ei manca,
Ei more; e sopra lui pietosamente
Fingàl si curva; indi i suoi duci appella.
Oscar, Fillan, miei figli, alzisi tosto
La tomba ad Orla: ei poserà sul Lena,
Lungi dal grato mormorìo del Loda,
Lungi dalla sua sposa: un giorno i fiacchi
vedranno l'arco alle sue sale appeso;
Ma non potran piegarlo: urlano i cani
Sopra i suoi colli, esultano le belve,
Ch'ei soleva inseguir: caduto è 'l braccio
Della battaglia, il fior dei forti è basso.
Squilli il corno, miei figli, alzate il grido:
Torniamcene a Svaran; tra feste e canti
Passi la notte. O voi Fillano, Oscarre,
Rino, volate: ove se' tu mio Rino,
Rino di fama giovinetto figlio?
Pur giammai tu non fosti a correr tardo
Al suon del padre tuo. Rino, rispose
L'antico Ullin, de' padri suoi sta presso
Le venerande forme; egli passeggia
Con Tratal re dei scudi, e con Tremmorre
Dai forti fatti: il giovinetto è basso,
Smorto ei giace sul Lena. E cadde adunque,
Gridò Fingal, cadde il mio Rino; il primo
A piegar l'arco, il più veloce in corso?
Misero! al padre i primi saggi appena
Davi del tuo valor: perché cadesti
Sì giovinetto? Ah dolcemente almeno
Posa sul Lena: in breve spazio, o figlio,
Ti rivedrò: si spegnerà ben tosto
La voce mia; de' passi miei sul campo
Svaniran l'orme: canteranno i vati
Di me soltanto, e parleran le pietre.
Ma tu, Rino gentil, basso per certo
Basso se' tu: tu la tua fama ancora
Non ricevesti101. Ullin ricerca l'arpa,
Parla di Rino, e di' qual duce un giorno
Fora stato il garzone. Addio, tu primo
In ogni campo: il giovenil tuo dardo
Più non godrò di regolare. O Rino,
Oh! già sì bello, ah! tu sparisti: addio.
Sulle ciglia del Re: pensa del figlio
Al crescente valor; figlio di speme!
Pareva un raggio di notturno foco,
Che già spunta sul colle; al fischio, al corso
Piegan le selve, il peregrin ne trema.
In quell'oscura verdeggiante tomba,
Riprese il Re, chi mai sen giace? Io scorgo
Quattro pietre muscose, indizio certo
Della magion di morte: ivi riposi
Anche il mio Rino, e sia compagno al forte.
Forse è colà qualche famoso duce,
Che con mio figlio volerà su i nembi.
Ullin rianda le memorie antiche,102
Sciogli il tuo canto, e ci rammenta i fatti
Degli abitanti della tomba oscuri.
Se nel campo dei forti essi giammai
Non fuggir dai perigli, il figlio mio,
Benché lungi da' suoi, sul Lena erboso
Riposerà tranquillo ai prodi accanto.
In questa tomba, incominciò la dolce
Bocca del canto, il gran Landergo è muto,
E 'l fero Ullin. Chi è costei, che dolce
Sorridendo da un nembo, a me fa mostra
Del suo volto d'amor? Figlia di Tutla,
O prima tra le vergini di Cromla,
Perché pallida sei? dormi tu forse
Fra i due forti rivali in queste pietre?
Bella Gelcossa, tu l'amor di mille
Fosti vivendo; ma Landergo solo
Fu l'amor tuo: ver le muscose ei venne
Torri di Selma103; e 'l suo concavo scudo
Picchiando, favellò. Dov'è Gelcossa,
Dolce mia cura? io la lasciai pocanzi
Nella sala di Selma, allor che andai
A battagliar contro l'oscuro Ulfadda.
Riedi tosto, diss'ella, o mio Landergo,
Ch'io resto nel dolore: ed umidetta
Avea la guancia, e sospiroso il labbro.
Ma or non la riveggio: a che non viene
Ad incontrarmi, e a raddolcirmi il core
Dopo la pugna? tacito è l'albergo
Della mia gioja: in sull'amata soglia
Brano104 non veggo, il fido can, che crolli
Le sue catene, e mi festeggi intorno.
Ov'è Gelcossa! ov'è 'l mio amor? Landergo,
Ferchio rispose, ella sarà sul Cromla105,
Ella con le sue vergini dell'arco106
I cervi inseguirà. Ferchio, riprese
Di Cromla il sire, alcun romor non fiede
L'orecchio mio, taccion del Lena i boschi;
Non è cervo che fugga: ah ch'io non veggo
La mia Gelcossa, ella sparì; Gelcossa
Bella qual luna che pian pian s'asconde
Dietro i gioghi di Cromla. O Ferchio, vanne
A quel canuto figlio della rupe,
Al venerabil Allado107: ei soggiorna
Nel cerchio delle pietre, ei di Gelcossa
Avrà novelle. Andò d'Adone il figlio108,
Ed all'orecchio dell'età109 si fece.
Allàdo, abitator della spelonca,
Tu che tremi così, di', che vedesti
Cogli antichi occhi tuoi? Vidi, rispose,
Ullino il figlio di Cairba; ei venne
Come nube dal Cromla, alto intonando
Disdegnosa canzon, siccome il vento
Entro un bosco sfrondato. Ei nella sala
Entrò di Selma: esci, gridò, Landergo,
Terribile guerriero, escine; o cedi
A me Gelcossa, o con Ullin combatti.
Landergo non è qui, rispose allora
Gelcossa; ei pugna contro Ulfadda: o duce,
Ei non è qui: ma che perciò? Landergo
Non fia che ceda, egli non cessa ancora.
Combatterà. Se' pur vezzosa e bella,
Disse l'atroce Ullin: figlia di Tutla,
Io ti guido a Cairba110, e del più forte
Sarà Gelcossa: io resterò sul Cromla
Tre dì la pugna ad aspettar; se fugge
Landergo, il quarto dì Gelcossa è mia.
Allado or basta, ripigliò Landergo,
Sia pace a' sonni tuoi. Suona il mio corno,
Ferchio, sì ch'oda Ullino: e sì dicendo,
Salì sul colle in torbido sembiante
Dalla parte di Selma: a cantar prese
Bellicosa canzone, in tuon d'un rivo
D'alto cadente: alfin del monte in cima
Egli si stette; volse intorno il guardo;
Qual nube suol, che al variar del vento
Varia d'aspetto: rotolò una pietra,
Segno di guerra. Il fero Ullin l'udìo
Dalla sala paterna, udì giulivo
Il suo nemico, ed impugnò la spada
De' padri suoi: mentr'ei la cinge al fianco
Illuminò quel tenebroso aspetto
Un sorriso di gioja: il pugnal brilla
Nella sua destra; ei s'avanzò fischiando.
Vide Gelcossa il sir torbido e muto,
Che qual lista di nebbia iva poggiando
Ferocemente: si percote il seno
Candido palpitante, e lagrimosa
Trema per l'amor suo. Cairba antico,
Disse la bella, a piegar l'arco io volo,
Veggo i cervetti. Frettolosa il colle
Salì, ma indarno; gl'infiammati duci
Già tra lor combatteano. Al re di Morven
Io narrerò come pugnar sien usi
Crucciati eroi? cadde il feroce Ullino.
Venne Landergo pallido anelante
Alla donzella della liscia chioma,
Alla figlia di Tutla: oimè! che sangue,
Che sangue è quello, ella gridò, che scorre
Sul fianco all'amor mio? Sangue d'Ullino,
Disse Landergo, o più candida e fresca
Della neve di Cromla: o mia Gelcossa,
Lascia ch'io mi riposi: ei siede e spira111.
Così cadi, o mio ben?112 Stette tre giorni
Lagrimandogli appresso: i cacciatori
La trovar morta, e su i tre corpi estinti
Ersero questa tomba.O Re, tuo figlio
Può qui posar, che con eroi riposa.
E qui riposerà: gli orecchi miei
Spesso ferì della lor fama il suono,
Disse l'alto Fingàl. Fillan, Fergusto,
Orla qua mi s'arrechi, il valoroso
Garzon del Loda; ei giacerà con Rino,
Coppia ben degna: sopra entrambi il pianto
Voi donzelle di Selma, e voi di Lona
Sciogliete, o figlie: ambi crescean a prova
Come vivaci rigogliose piante;
E come piante or lì giaccion prostesi,
Che sul ruscel riverse, al sole, al vento,
Tutto il vitale umor lasciano in preda.
Oscarre, onor di gioventù, tu vedi
Come cadder da forti. A par di questi
Fa tu d'esser famoso, e sii com'essi
Subietto dei cantor: menavan vampo
Essi in battaglia, ma nei dì di pace
Faccia avea Rino placida ridente,
Simile al variato arco del cielo
Dopo dirotta pioggia, allor che spunta
Gajo sull'onde, e d'altra parte il sole
Puro tramonta, e la collina è cheta.
Statti in pace o bel Rino, o di mia stirpe
Rino il minor: ti seguiremo, o figlio;
Che tosto o tardi han da cadere i prodi!
Tal fu la doglia tua, signor dei colli,
Quando giacque il tuo Rino. E qual fia dunque
D'Ossian la doglia, or che tu giaci, o padre?
Ah ch'io non odo la tua voce in Cona,
Ah che più non ti veggo! Oscuro e mesto
Talor m'assido alla tua tomba accanto,
E vi brancolo sopra. Udir talvolta
Parmi la voce tua, lasso, e m'inganna
Il vento del deserto. È lungo tempo
Che dormi, o padre; e ti sospira il campo,
Alto Fingàl, correggitor di guerra.
Lungo l'erboso Luba Ossian, e Gaulo
Sedean presso a Svarano. Io toccai l'arpa
Per allegrare il cor del Re, ma tetro
Era il suo ciglio; ad ogn'istante al Lena
Girava il bieco rosseggiante sguardo;
Piangeva il popol suo. Gli occhi ver Cromla
Anch'io rivolsi, e riconobbi il figlio
Del generoso Semo. Ei tristo, e lento
Si ritrasse dal colle, e volse i passi
Alla di Tura solitaria grotta.
Vide Fingal vittorioso, e in mezzo
Della sua doglia, involontaria gioja
Venne a mischiarsi. Percuoteva il sole
Sull'armi sue; Conàl tranquillo e cheto
Lo venìa seguitando: alfine entrambi
Si celar dietro il colle, appunto come
Doppia colonna di notturno foco,
Via via spinta dal vento. È la sua grotta
Dietro un ruscel di mormorante spuma
Entro una rupe; un albero la copre
Con le tremanti foglie, e per li fianchi
Strepita il vento. ivi riposa il figlio
Del nobil Semo; i suoi pensier son fisi
Pur nella sua sconfitta; aride strisce
Gli segnano la guancia: egli sospira
La fama sua, che già svanita ei crede
Come nebbia del Cona. O sposa amata,
O Bragela gentil, perché sì lungi
Se' tu da lui, che serenar potresti
L'anima dell'eroe? Ma lascia, o bella,
Che sorga luminosa entro il suo spirto
L'amabile tua forma: i suoi pensieri
A te ritorneranno, e la sua doglia
Dileguerassi al tuo sereno aspetto.
Chi vien coi crini dell'etade?113 il veggo,
Egli è 'l figlio dei canti. Io ti saluto,
Carilo antico: la tua voce è un'arpa
Nella sala di Tura, e i canti tuoi
Son grati e dolci, come pioggia estiva
Là nel campo del sol. Carilo antico,
Ond'è che a noi ne vieni? Ossian, diss'egli,
Delle spade signor, signor dei canti,
Tu m'avanzi d'assai. Molt'è che noto
A Carilo sei tu: più volte, il sai,
Nella magion del generoso Brano,
Dinanzi alla vezzosa Evirallina
Ricercai l'arpa: e tu più volte, o duce,
Le mie musiche note accompagnasti:
E talor la vezzosa Evirallina
Tra i canti del suo amor, tra i canti miei
Mescea la soavissima sua voce.
Un giorno ella cantò del giovinetto
Corman, che cadde per amarla: io vidi
Sulle guance di lei, sulle sue ciglia
Le lagrime pietose: ella commosso
Sentiasi il cor dall'infelice amante,
Benché pur non amato. Oh come vaga,
Come dolce e gentile era la figlia
Del generoso Brano! - Ah taci, amico,
Non rinnovar, non rinnovarmi all'alma
La sua memoria: mi si strugge il core,
E gli occhi mi ringorgano di pianto.
Il diletto amor mio, la bella sposa
Dal soave rossor, Carilo, è spenta.
Ma tu siedi, o cantore, e le nostr'alme
Molci col canto tuo, dolce ad udirsi
Quanto di primavera aura gentile,
Che nell'orecchio al cacciator sospira,
Quand'ei si sveglia da giojoso sogno,
Tra 'l bel concento dei notturni spirti.