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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Figlia del ciel,151 sei bella; è di tua faccia
Dolce il silenzio; amabile ti mostri,
E in oriente i tuoi cerulei passi
Seguon le stelle; al tuo cospetto, o Luna,
Si rallegran le nubi, e 'l seno oscuro
Riveston liete di leggiadra luce.
Chi ti pareggia, o della notte figlia,
Lassù nel cielo? in faccia tua le stelle
Hanno di sé vergogna, e ad altra parte
Volgono i glauchi scintillanti sguardi,
Ma dimmi, o bella luce, ove t'ascondi
Lasciando il corso tuo, quando svanisce
La tua candida faccia? Hai tu, com'io,
L'ampie tue sale? o ad abitar ten vai
Nell'ombra del dolor? Cadder dal cielo
Le tue sorelle? o più non son coloro
Che nella notte s'allegravan teco?
Sì sì luce leggiadra, essi son spenti,
E tu spesso per piagnerli t'ascondi.
Ma verrà notte ancor, che tu, tu stessa
Cadrai per sempre, e lascierai nel cielo
Il tuo azzurro sentier; superbi allora
Sorgeran gli astri, e in rimirarti avranno
Gioja così, com'avean pria vergogna.
Ora del tuo splendor tutta la pompa
T'ammanta, o Luna. O tu nel ciel risguarda
Dalle tue porte, e tu la nube, o vento,
Spezza, onde possa la notturna figlia
Mirar d'intorno, e le scoscese rupi
Splendanle incontro, e l'oceàn rivolga
Nella sua luce i nereggianti flutti.
Nato è sul mare, e seco Alto, quel raggio
Di giovinezza; a' suoi fratelli accanto
Siedesi Ardan. Movon d'Usnorre i figli
Per buja notte il corso lor, fuggendo
Di Cairba il furor. Che forma è quella
Che sta lor presso? ricoprì la notte
La sua bellezza: le sospira il crine
Al marin vento, in tenebrose liste
Galleggiano le vesti; ella somiglia
Al grazioso spirito del cielo152
Che move in mezzo di sua nebbia ombrosa.
E chi puote esser mai, fuorché Dartula,153
Dartula tra le vergini d'Erina
La più leggiadra? Ella fuggì con Nato
Dall'amor di Cairba. I venti avversi
T'ingannano, o Dartula, e alle tue vele
Niegan Eta154 selvosa. O Nato, queste
Le tue rupi non son, non e' il muggito
Questo dell'onde tue: stannoti appresso
Del nemico le sale, e a te l'incontro
Le torri di Cairba ergon la fronte.
Sul mare Ullina il verde capo estende,
E la baia di Tura accoglie il legno.
Vento del mezzogiorno, vento infido,
Ov'eri tu? Chi ti trattenne allora,
Quando dell'amor mio furo ingannati
I cari figli?155 a sollazzarti forse
Stavi nel prato? Oh! pur soffiato avessi
Nelle vele di Nato, infin che d'Eta
Gli sorgessero a fronte i dolci colli;
Finché sorgesser tra le nubi i colli
Paterni, e s'allegrassino alla vista
Del suo signor! Lungi gran tempo, o Nato,
Fosti, e passò della tornata il giorno.
Ma ben ti vide dei stranier la terra,156
Nato amabile; amabile tu fosti
Agli occhi di Dartula; era il tuo volto
Bello qual pura mattutina luce;
Piuma di corvo il crin; gentile, e grande
Era 'l tuo spirto, e dolce come l'ora
Del Sol cadente; di tue voci il suono
Parea sussurro di tremanti canne,
O pur di Lora il mormorio: ma quando
Sorgea nera battaglia, era in tempesta
Mar che mugge; terribile il rimbombo
Era dell'armi tue; del corso al suono
Svaniva l'oste: allor fu che ti vide
La prima volta la gentil Dartùla
Là dall'eccelse sue muscose torri,
Dalle torri di Selama, ove albergo
Ebbero i padri suoi.157 Bello, o straniero,
Ella disse, sei tu (che alla tua vista
Tutto si scosse il suo tremante spirto)
Bello sei tu nelle battaglie, amico
Dell'estinto Corman: ma dove corri
Impetuoso? ove il valor ti porta,
O giovinetto dal vivace sguardo?
Poche son le tue mani alla battaglia
Contro il fero Cairba: oh potess'io
Dal suo odioso amore esser disciolta,
Per allegrarmi alla gentil presenza
Del mio bel Nato! Oh fortunate, o care
Colline d'Eta! Esse vedranno a caccia
I suoi vestigi; esse vedran sovente
Il suo candido seno, allor che l'aure
Solleverangli la corvina chioma.
Così parlasti tu, gentil Dartùla,
Ti circonda la notte: i venti ingrati
Le tue vele ingannarono, ingannaro,
Bella Dartùla, le tue vele i venti.
Fremon alto sul mar: cessa per poco
Aura del nord, lasciami udir la voce
Dell'amabile;158 amabile, o Dartùla,
La voce tua tra 'l sussurrar de' venti.
Queste le rupi del mio Nato, è questo159
Delle sue rupi il mormorante rivo?
Vien quel raggio di luce dalla sala
D'Usnor160 notturna? Alta è la nebbia e densa,
Debole il raggio, ma che val? la luce
Dell'alma di Dartùla è 'l prence d'Eta.
Figlio del prode Usnorre, onde quel rotto
Sospir sul labbro? già non siamo, o caro,
Nelle terre straniere. O mia Dartùla,
Non le rupi di Nato, e non è questo,
Ei ripigliò, de' suoi ruscelli il suono;
Non vien quel raggio di notturna luce
Dalle sale d'Usnòr. Lungi ma lungi,
Esse ci stan: siamo in nemica terra,
Siam nella terra di Cairba: i venti
Ci tradiro, o Dartùla; Ullina al cielo
Qui solleva i suoi colli. Alto, tu vanne
Là verso il nord, e tu lungo la spiaggia
Movi, Ardano, i tuoi passi; onde il nemico
Non ci colga di furto, e a noi svanisca
D'Eta la speme161. Io me n'andrò soletto
A quella torre, per scoprir chi stia
presso quel raggio. Su la spiaggia intanto
Riposati, mio ben, riposa in pace,
Caro raggio d'amor; te del tuo Nato,
Come lampo del ciel, circonda il braccio.
Partissi, e sulla spiaggia ella s'assisse
Soletta, e mesta; udia 'l fragor dell'onda:
Stanle sugli occhi: ella guardava intorno
Se il suo Nato scopria; tende l'orecchio
Al calpestio de' piedi, e de' suoi piedi
Non ode il calpestio. Dove se' ito,
Figlio dell'amor mio? fragor di vento
Mi cinge, e sferza; è nebulosa e nera
La notte, e tu non vieni? O prence d'Eta,
Che ti trattiene? batti il nemico forse
Scontrato, e s'inalzò notturna zuffa?
Nato tornò, ma tenebroso ha 'l volto,
Che veduto egli avea l'estinto amico.
Di Tura al muto passeggiava intorno
L'ombra di Cucullin: n'era il sospiro
Spesso, affannoso, e spaventosa ancora
Degli occhi suoi la mezzo-spenta fiamma.
Di nebbia una colonna avea per asta;
Intenebrate trasparian le stelle
Per la buja sua forma, e la sua voce
Parea vento in caverna. Ei raccontogli
La storia del dolor: trista era l'alma
Di Nato, come suole in dì di nebbia
Starsi con fosca acquosa faccia il Sole.
O diletto amor mio, perché sì mesto?
Disse di Cola la vezzosa figlia.
Tu sei la luce di Dartùla: è' tutta
La gioja del mio cor negli occhi tuoi.
Lassa! qual altro amico ora m'avanza,
Fuorché 'l mio Nato? è nella tomba il padre;
Stassi il silenzio in Selama; tristezza
Copre i ruscelli del terren natio.
Nella d'Ullina sanguinosa pugna162
Furo uccisi i possenti, i fidi amici
Cadder pugnando con Cormano uccisi.
Scendea la notte: i miei ruscelli azzurri163
S'ascondeano a' miei sguardi; il vento a scosse
Uscia fischiando dalle ombrose cime
Dei boschetti di Selama: io sedea
Sotto una pianta, sulle antiche mura
De' padri miei, quando al mio spirto innanzi
Passò Trutillo164, il mio dolce fratello;
Trutillo, che lontano era in battaglia
Contro il fero Cairba; ed in quel punto
Sen venne Cola dalla bianca chioma
Sulla lancia appoggiato; a terra chino
Avea l'oscuro volto, angoscia alberga
Nell'alma sua, stagli la spada a lato,
In capo ha l'elmo de' suoi padri: avvampa
Nel suo petto battaglia; ei tenta indarno
Di celar le sue lagrime, Dartùla,
Sospirando diss'ei, della mia stirpe
Tu l'ultima già sei, Trutillo è spento,
Non è più il re165 di Selama: Cairba
Vien co' suoi mille inver le nostre mura.
Cola all'orgoglio suo farassi incontro,
E vendetta farà del figlio ucciso.
Ma dove troverò sicuro schermo
Per la salvezza tua? son bassi, o figlia,
Gli amici nostri, e tu rassembri un raggio166.
Oimè', diss'io tutta in sospiri, il figlio
Della pugna cadéo? Cessò nel campo
Di sfavillare il generoso spirto
Del mio Trutillo? Per la mia salvezza
Non paventare, a Cola; essa riposta
Stassi in quell'arco: da gran tempo appresi
A ferir damme. Or di', non è costui
Simile al cervo del deserto, o padre
Del caduto Trutil? Brillò di gioja
Il volto dell'età, sgorgò dagli occhi
Pianto affollato, e tremolar le labbra.
Ben se' tu, figlia di Trutil sorella,
Disse, e nel foco del suo spirto avvampi.
Prendi, Dartùla, quel ferrato scudo,
Prendi quell'asta, e quel lucido elmetto;
Spoglie son queste d'un guerrier di prima
Gioventù figlio167; colla luce insieme
Andremo ad affrontar l'empio Cairba.
Ma statti o figlia mia, statti vicina
Di Cola al braccio, e ti ricovra all'ombra
Dello scudo paterno: il padre tuo
Potea un tempo difenderti, ma ora
L'età nella sua man tremula stassi.
Mancò la forza del suo braccio, e l'alma
Oscuritade di dolor gl'ingombra.
Passò la notte tenebrosa, e sorse
La luce del mattin: mossesi innanzi
L'eroe canuto; s'adunaro intorno
Tutti i duci di Selama; ma pochi
Stavan sul piano; e avean canuto il crine:
Caduti con Trutillo eran pugnando
Di giovinezza i valorosi figli.
O de' verdi anni miei compagni antichi,
Cola parlò, non così voi nell'arme
Già mi vedeste, e tal non era in campo
Quando il possente Confadan cadéo.
Ci soverchia il dolor; vecchiezza oscura
Venne qual nebbia dal deserto: è roso
Il mio scudo dagli anni, ed il mio brando
Sta da gran tempo alle pareti appeso.
A me stesso dicea: fia la sua sera
Placida, e in calma, e 'l tuo partir fia come
Luce che scema a poco a poco, e manca.
Ma tornò la tempesta: io già mi piego
Come una quercia annosa, i rami miei
In Selama cadèro, e tremo in mezzo
Del mio soggiorno. Ove se' tu, Trutillo,
Co' tuoi caduti eroi? tu non rispondi;
Tristo è 'l cor di tuo padre. Ah cessi omai,
Cessi 'l dolor: che fia? Cairba o Cola
Dee bentosto cader; rinascer sento
La gagliardia del braccio, e impaziente
Palpita il cor della battaglia al suono.
Trasse l'Eroe la lampeggiante spada,
E seco i suoi: s'avanzano sul piano;
Nuotan nel vento le canute chiome.
Sedea di Lona168 sulla muta piaggia
Festeggiando Cairba: a sé venirne
Vide gli eroi; chiama i suoi duci. A Nato
Perché narrar degg'io, come s'alzasse
L'aspra battaglia?169 io ti mirai fra mille
Simile al raggio del celeste foco,
(Bella e terribil vista; il popol cade
Nel vermiglio suo corso). Imbelle e vana
Non fu l'asta di Cola, ella ferìo,
Membrando ancor le giovanili imprese.
Venne un dardo fischiante, e al vecchio eroe
Il petto trapassò; boccone ei cadde
Sul suo scudo echeggiante; orrido tremito
Scossemi l'alma: sopra lui lo scudo
Stesi, e fu visto il mio ricolmo seno.
Venne Cairba con la lancia, e vide
La donzella di Selama: si sparse
Gioja sul truce aspetto, egli depose
La sollevata spada: alzò la tomba
Di Cola ucciso, e me fuor di me stessa
A Selama condusse. A me rivolse
Voci d'amor; ma di tristezza ingombro
Era 'l mio spirto; de' miei padri i scudi
Io riconobbi, e di Trutillo il brando:
Vidi l'arme dei morti, e sulle guance
Stavami 'l pianto. Allor giungesti, o Nato,
Giungesti e fuggì via Cairba oscuro,
Com'ombra fugge al mattutino raggio.
Eran lontane le sue squadre, e fiacco
Fu il braccio suo contro il tuo forte acciaro.
O diletto amor mio, perché si mesto170?
Disse di Cola la vezzosa figlia.
Fin da' primi anni miei, l'Eroe soggiunse,
Incontrai la battaglia: il braccio mio
Potea la lancia sollevare appena,
Quando sorse il periglio; il cor di gioja
Rideami della pugna al fero aspetto,
Come ristretta verdeggiante valle,
Se coi vividi raggi il Sol l'investe,
Anzi che in mezzo a' nembi il capo asconda.
L'alma rideami fra' perigli, pria
Ch'io vedessi di Selama la bella
Pria ch'io vedesse te, dolce Dartùla,
Simile a stella, che di notte splende
Sul colle: incontro a lei lenta s'avanza
Nube, e minaccia la vezzosa luce.
Siam nella terra del nemico; i venti
Ci tradiro, mia cara: or non c'è presso
Forza d'amici, e non le rupi d'Eta.
Figlia del nobil Cola, ove poss'io
La tua pace trovar171? forti di Nato
Sono i fratelli, e lampeggiaro in campo
I brandi lor; ma che mai sono i figli
Del prode Usnòr contro d'un'oste intera?
Portate avesse le tue vele il vento,
Re degli uomini, Oscar172! Tu promettesti
Pur di venirne insieme alla battaglia
Del caduto Corman: forte sarebbe
Allor la destra mia qual fiammeggiante
Braccio di morte: tremeria Cairba
Nelle sue sale, e resteria la pace
Coll'amabil Dartùla. Alma, coraggio;
Perché cadi, alma mia? d'Usnorre i figli
Vincer ben ponno. E vinceranno, o Nato,
Disse la bella sfavillando in volto,
Mel dice il cor: no non vedrà Dartùla
Giammai le sale di Cairba oscuro.
Su, quell'arme recatemi, ch'io veggo
Nella nave colà splender a quella
Passeggera meteora; entrar vogl'io
Nella battaglia. Ombra del nobil Cola,
Sei tu ch'io veggio in quella nube? E teco
Quell'oscuro chi è? Lo riconosco,
Egli e' Trutillo: ed io vedrò le sale
Di colui, che 'l fratel m'uccise e 'l padre?
Spirti dell'amor mio173, no non vedrolle.
Nato di gioja arse nel volto, udendo
Le voci sue: figlia di Cola, ei disse,
Tu mi splendi nell'alma; or via, Cairba
Vien' co' tuoi mille: il mio vigor rinasce.
Canuto Usnor, no non udrai che 'l figlio
Dato siasi alla fuga. Io mi rammento
Le tue parole in Eta, allor che alzarsi
Le vele mie, che già stendeano il corso
In verso Ullina, e la muscosa Tura.
Tu vai, Nato, diss'egli, al sir dei scudi,
Al prode Cucullin, che dai perigli
Mai non fuggì; fa' che non sia il tuo braccio
Fiacco, né sien di fuga i pensier tuoi:
Onde non dica mai di Semo il figlio:
Debile e' nel pugnar la stirpe d'Eta.
Giunger ponno ad Usnòr le sue parole,
E rattristarlo. Lagrimando, ei diemmi
Questa lucida spada. Io venni intanto
Alla baia di Tura: oscure e mute
N'eron le mura; risguardai d'intorno
Né trovai chi novella a me recasse
Del prode Cucullin: venni alla sala
Delle sue conche: esser soleanvi appese
L'arme de' padri suoi; non v'eran l'arme,
E l'antico Lamòr sedea nel pianto.
Donde vien quest'acciar? disse sorgendo
Mesto Lamòr174; di Tura ahi da gran tempo
Luce d'asta non fere i foschi muri.
Onde venite voi? dal mar rotante,
O di Temòra dalle triste sale?
Noi venimmo dal mar, diss'io, dall'alte
Terri d'Usnòr; di Slisama siam figli,
Figlia di Semo generato al carro.
Deh dimmi, o figlio della muta sala,
Ov'è il duce di Tura? ah perché Nato
A te lo chiede! or non vegg'io 'l tuo pianto?
Dimmi figliuol della romita Tura,
Come cadde il possente? Egli non cadde,
Lamòr soggiunse, come suol talora
Tacita stella per l'oscura notte,
Che striscia, e più non è'; simile ei cadde
A focoso vapor, nunzio di guerra
In suol remoto, il cui vermiglio corso
Morte accompagna. Triste son le rive
Del Lego, e tristo il mormorio del Lara:
Figlio d'Usnorre, il nostro Eroe là cadde.
Oh, diss'io sospirando, infra le stragi
Cadde l'eroe? forte egli avea la destra,
E dietro il brando suo stava la morte.
Del Lego andammo sulle triste rive,
La sua tomba scoprimmo; ivi i suoi duci
Con esso estinti, ivi giaceano i suoi
Mille cantori. Sull'Eroe piagnemmo
Tre giorni, il quarto dì battei lo scudo:
Lieti i guerrieri a questo suon d'intorno
S'adunaro, e crollar l'aste raggianti.
Presso di noi coll'oste sua Corlasto175
Stava, Corlasto di Cairba amico.
Noi d'improvviso gli piombammo addosso,
Qual notturno torrente: i suoi cadéro:
E quando gli abitanti della valle
Dal lor sonno s'alzar, col loro sangue
Vider frammista del mattin la luce.
Ma noi strisciammo via rapidamente,
Come liste di nebbia inver la sala
Di Cormano echeggiante: alzammo i brandi
Per difendere il re; ma il re d'Erina
Non era più; già di Temòra vuote
Eran le sale, e in giovinezza spento
Giacea Cormano. Ricoprì tristezza
D'Ullina i figli176: tenebrosi e lenti
Dopo tempesta minacciata in darno
Dietro ad un poggio. In lor dolor pensosi,
Mosser d'Usnorre i figli, ed avviarsi
Ver Tura ondosa: a Selama dinanzi
Passammo: al rimirarci il reo Cairba
Sparì fuggendo pauroso in fretta,
Quasi nebbia del Lano177, a cui dan caccia
I venti del deserto. Allor ti vidi
O verginella, simile alla luce
Del Sole d'Eta: amabile è quel raggio,
Dissi, e sorse il sospir di mezzo al petto.
Tu nella tua beltà venisti, o cara,
Al tuo guerrier178 ma ci tradiro i venti,
Bella Dartùla, ed il nemico è presso179.
Sì, dappresso è il nemico, allor soggiunse
La forza d'Alto180, sulla spiaggia intesi
Di lor arme il fragor, d'Erina io vidi
Ondeggiar lo stendardo in negre liste.
Distinta di Cairba udii la voce
Suonar, quai le cadenti onde del Cromla.
Egli sul mar l'oscura nave ha scorta,
Pria che il bujo scendesse; in riva al Lena
Fan guardia i duci suoi181, ben diecimila
Spade inalzando. E diecimila spade
Inalzin pur, con un sorriso amaro
Nato rispose: non però d'Usnorre
Ne tremerà la prole. O mar d'Ullina
Perché sì furibondo, e spumeggiante
Sferzi la spiaggia co' tuoi flutti? E voi
Romoreggianti tempeste del cielo,
Perché fischiate in su le negre penne?
Credi tu, mar, credete voi, tempeste,
Qui Nato a forza trattener sul lido?
Il suo spirto, il suo core è che trattienlo182,
O figlie della notte. Alto, m'arreca
L'arme del padre, arrecami la lancia
Di Semo183, che colà splende alle stelle.
L'arme ei portò, coprì Nato le membra
Del folgorante acciar. Move l'eroe
Amabile nei passi; e nel suo sguardo
Splende terribil gioja: ei di Cairba
Sta la venuta riguardando; accanto
Stagli muta Dartùla; è nel guerriero
Fitto il suo sguardo; di nasconder tenta
Il nascente sospir; represse a forza
Le si gonfian due lagrime negli occhi.
Alto, veggio uno speco in quella rupe,
Disse d'Eta il signor; tu là Dartùla
Scorgi, e sia forte il braccio tuo: tu meco
Vientene, Ardan, contro Cairba oscuro.
Sfidiamlo alla battaglia: oh veniss'egli
Armato ad incontrar d'Usnòr la prole!
Se tu campi, o mio ben, non arrestarti
A risguardar sopra il tuo Nato estinto.
Spiega le vele inver le patrie selve,
Alto, ed al Sir184 di', che cadeo con fama
Il figlio suo, che non sfuggì la pugna
Il brando mio: di' che fra mille io caddi,
Onde il suo lutto alto gioir contempri.
Tu, donzella di Selama, raduna
Le verginelle nella sala d'Eta;
Fa' che cantin per Nato, allor che torna
L'ombroso autunno185. Oh se di Cona udissi
Le mie lodi sonar la voce eletta,
Con che gioja il mio spirto ai venti misto
Volerebbe a' miei colli! - Ah sì, di Cona
Udrassi il nome tuo sonar nei canti,
Prence d'Eta selvosa; a te fia sacra,
Figlio di Usnorre, d'Ossian la voce.
Deh perché là sul Lena anch'io non ero
Quando sorse la pugna? Ossian sarebbe
Teco vittorioso, o teco estinto.
Noi sedevamo quella notte in Selma,
Con ampie conche festeggiando; e fuori
Sulle querce era il vento. Urlò lo spirto
Della montagna186; il vento entro la sala
Susurrando sen venne, e leve leve
Dell'arpa mia toccò le corde; uscinne
Suon tristo e basso, qual canto di tomba.
Primo l'udì Fingàl; sorse affannoso,
E sospirando disse: oimè! per certo
Cadde qualcuno de' miei duci; io sento
Sull'arpa di mio figlio il suon di morte.
Ossian, deh tocca le sonanti corde,
Fa' che s'alzi il dolore187; onde sui venti
Volino i spirti lor gioiosamente
A' miei colli selvosi. Io toccai l'arpa,
E suono uscinne doloroso e basso.
Ombre, ombre pallide de' padri nostri,
Su dalle nubi tosto piegatevi;
Là negli aerei azzurri chiostri.
Lasciate l'orrida vermiglia luce,
Ed accogliete cortesi e placide
Compagno ed ospite l'estinto duce.
Il duce nobile, che cadde in guerra,
Sia che dal mare rotante inalzisi,
Sia ch'egli inalzisi da strania terra.
Nube sceglietegli fra le tempeste,
Che la sua lancia formi, e di nebbia
Sottile orditegli cerulea veste:
Presso ponetegli fosco-vermiglia
Che 'l suo terribile brando somiglia.
Fate che amabile ne sia l'aspetto,
Onde gli amici pensosi e taciti
In rimirandolo n'abbian diletto.
Ombre, ombre pallide de' padri nostri
Là negli aerei azzurri chiostri.
Tal era in Selma il canto mio sull'arpa
Lieve-tremante: ma d'Ullina intanto
Su la spiaggia era Nato, intorno cinto
Da tenebrosa notte; udia la voce
Del suo nemico, in fra 'l mugghiar dell'onde;
Udiala, e riposavasi sull'asta
Pensoso e muto: uscì 'l mattin raggiante,
E schierati apparir d'Erina i figli.
Simili a grigie ed arborose rupi
Sulla costa si spargono: nel mezzo
Stava Cairba, e dal nemico a vista
Sorrise orribilmente. Incontro ad esso
Nato s'avanza furibondo, e pieno
Del suo vigor: né già poteo Dartùla
Restarsi addietro; col guerrier sen venne,
E l'asta sollevò. Chi vien nell'armi,
Bella spirando giovenil baldanza?
Chi vien, chi vien, se non d'Usnorre i figli,
Alto, ed Ardano dall'oscura chioma?
Sir di Temora, disse Nato, or vieni,
Vien' sulla spiaggia a battagliar con meco
Per la donzella: non ha Nato adesso
Seco i suoi duci, che colà dispersi
Stanno sul mare: a che guidi i tuoi mille
Contro di lui? tu gli fuggisti innanzi188,
Quando gli amici suoi stavangli intorno.
Garzon dal cor d'orgoglio, e che pretendi?
Scenderà a pugnar teco il re d'Erina?
Non sono infra i famosi i padri tuoi189,
Né fra i re de' mortali: ove son l'arme
Dei duci estinti alle tue sale appese190?
Ove gli scudi de' passati tempi?
Chiaro in Temòra è di Cairba il nome;
Né cogli oscuri ei combatte giammai.
A cotai voci escon dagli occhi a Nato
Lagrime d'ira: inferocito il guardo
Volge ai fratelli suoi; tre lancie a un punto
Volano, e stesi al suol cadon tre duci.
Orribilmente fiammeggiò la luce
Dei loro brandi; diradate e sciolte
Cedon d'Erina le ristrette file,
Come striscia talor di negre nubi
Incontro al soffio di nemboso vento.
Ma Cairba dispon l'armate schiere,
E mille archi fur tesi, e mille frecce
Ratto volar; cadon d'Usnorre i figli,
Come tre giovinette e rigogliose
Querce, che stavan sole in erma rupe.
Le amabil piante a contemplar s'arresta
Il peregrino, e in lor mirar sì sole,
N'ha meraviglia; ma la notte il nembo
Vien dal deserto, e furibondo abbassa
Le verdi cime: il dì vegnente ei torna,
Vede le querce al suol, la vetta è rasa.
Stava Dartùla nel dolor suo muta,
E gli vide a cader: lagrima alcuna
Sugli occhi non appar; ma pieno ha 'l guardo
D'alta e nuova tristezza: al vento sparsi
Volano i crini: le tingea la guancia
Pallor di morte; esce una voce a mezzo,
Ma l'interrompon le tremanti labbra.
Venne Cairba oscuro, e dov'è, disse,
L'amante tuo? dov'è il tuo prence d'Eta
Al carro nato191? hai tu vedute ancora
D'Usnòr le sale, e di Fingallo i colli?
Mugghiato avria la mia battaglia in Morven,
Se non scontravan le tue vele i venti;
Fora abbattuto dal mio brando irato
Fingallo istesso, e saria lutto in Selma.
Dal braccio di Dartùla abbandonato
Cadde lo scudo; il suo bel petto apparve
Candido, ma di sangue apparve tinto,
Perché fitto nel sen le s'era un dardo.
Come lista di neve in sul suo Nato
Ella cadéo: sopra l'amato volto
Sparsa è la negra chioma, e l'uno all'altro
Sgorga frammisto l'amoroso sangue.
Dissero di Cairba i cento vati,
Sei tu di Cola graziosa figlia.
L'onde cerulee,
Perché la stirpe di Trutillo192 è spenta.
Quando sorgerai tu nella tua grazia,
O tra le vergini
Lungo è 'l tuo sonno nella tomba, lungo,
Non verrà il sol presso il tuo letto a dirti
Nell'aria è'l venticel di primavera;
Colla verde foglietta tenerella;
E più non uscirà co' suoi bei rai.
Della bellezza sua non la vedrai.
Così i vati cantar, quando a Dartùla
Inalzaron la tomba; io cantai poscia
Sopra di lei, quando Fingàl sen venne
Contro il fero Cairba, a far vendetta
Dell'estinto Cormano al carro nato.