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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Già si rotavan nella viva luce194
L'azzurre onde d'Ullina: i verdi colli
Riveste il Sole; i foschi capi al vento
Scotono i boschi. Una pianura angusta
Giace fra due colline ingombre, e cinte
D'annose querce; ivi serpeggia il rivo
Della montagna. In sull'erbose sponde
Stassi Cairba solitario e muto.
Sulla lancia ei s'appoggia: ha tristo il guardo
Rosseggiante di tema. Entro il suo spirto
Il tradito Corman s'alza con tutte
L'orride sue ferite: in negra nube
Del giovinetto la cerulea forma
Torva s'avanza, e scaturisce il sangue
Dagli aerei suoi fianchi. A cotal vista,
Balza Cairba pien d'orror; tre volte
Getta la lancia a terra, ed altrettante
Picchiasi 'l petto; vacillanti e brevi
Sono i suoi passi; ad or ad or s'arresta
Pallido, e inarca le nodose braccia.
Nume par, ch'a ogni leve aura di vento
Varia la forma sua; triste all'intorno
Son le soggette valli, e alternamente
Temon che scenda la sospesa pioggia.
Ei rincorossi alfine: in man riprese
L'acuta lancia; gli occhi suoi rivolti
Tien verso il Lena195. Ecco apparir repente
L'esplorator dell'oceàno: ei viene,
Ma con passi di tema, e tratto tratto
Volgesi addietro. S'avvisò Cairba
Ch'eran presso i possenti196, ed a sé chiama
Gli oscuri duci. I risonanti passi
Movonsi dei guerrier: tutti ad un tempo
Traggon le spade. Ivi Morlan si stava,
Torbido il volto: il folto crin d'Idalla
Sospira al vento: gira bieco il guardo
Cormir rosso-crinito, e sulla lancia
Torvo s'appoggia; orribilmente lento
Volvesi sotto due vellute ciglia
L'occhio di Malto: il fier Foldan grandeggia
Sparsa di musco le petrose terga.
Per la sua lancia di Slimora il pino
Che incontra il vento; della pugna i colpi
Segnan lo scudo, e l'infocato sguardo
Sembra altero sfidar perigli e morte.
Questi, e mill'altri tenebrosi duci
Cerchio feano a Cairba al carro nato,
Allor che giunse dall'acquoso Lena
L'esplorator dell'oceàn Mornallo.
Gonfi avea gli occhi e tesi in fuor, le labbra
Smorte e tremanti. Oh, diss'ei lor, si stanno
Taciti e cheti qual boschetto a sera
D'Erina i duci, or che sul lido omai
Sceso è Fingal? Fingallo, il re possente,
Il terror delle pugne? E l'hai tu visto?
Disse Cairba sospirando: molti
Sono i suoi duci in sulla spiaggia? inalza
L'asta di guerra, o viene in pace? - In pace
No, Cairba, ei non vien; la punta io vidi197
Dalla sua lancia; ella è vapor di morte,
E sta sul acciar suo di mille il sangue.
In sua robusta canutezza ei scese
Primo sopra la spiaggia; a parte a parte
Si distinguean le nerborute membra,
Mentr'ei passava maestoso e lento
Nella sua possa. Ha quella spada al fianco198,
Che i colpi non raddoppia, e quello scudo
Terribile a veder, qual sanguinosa
Luna in tempesta. Dopo lui sen viene
Ossian, de' canti il re; con esso è Gaulo
Figlio di Morni, tra' mortali il primo.
Balza a terra Conal curvo sull'asta;
Sparge Dermino il fosco crin; Fillano
Piega l'arco; Fergusto altier passeggia
Pien di baldanza giovenil. Chi viene
Con chioma antica? un nero scudo a lato
Pendegli, ad ogni passo in man la lancia
Tremagli, e sta l'età nelle sue membra.
Ei china a terra tenebroso il volto,
Tristo è 'l re delle lance. Il riconosci,
Cairba? Usnorre è questi, Usnor che move
A far vendetta de' suoi figli estinti.
La verde Ullina gli risveglia il pianto,
E le tombe de' figli a lui rammenta.
Ma lunge innanzi agli altri Oscar s'avanza,
Di giovinezza, e bello come i primi
Raggi del Sole: in su le spalle cadegli
La lunga chioma; è mezzo ascoso il ciglio,
Dall'elmetto d'acciar lampeggia il brando,
E percossa dal Sol l'asta sfavilla.
Re dell'alta Temora, io non soffersi
Degli occhi suoi la formidabil luce,
E fuggii frettoloso. E fuggi, o vile.
Disse lo sdegno di Foldan; va', fuggi,
Figlio di picciol cor, non vidi io forse
Quell'Oscar? nol vid'io? forte è, nol niego,
Dentro i perigli: ma son altri ancora
Che impugnan l'asta. Ha molti figli Erina
Quanto lui valorosi; ah sì, Cairba,
Più valorosi ancor: lascia che incontro
A questo formidabile torrente,
Per arrestarlo del suo corso in mezzo,
Vada Foldan: de' valorosi il sangue
La mia lancia ricopre, e rassomiglia
La muraglia di Tura il ferreo scudo.
Come? solo Foldan, con fosco ciglio
Ripigliò Malto, ad affrontare andranne
Tutta l'oste nemica? e non son essi,
Come di mille fiumi affollate onde,
Numerosi sul lido? e non son questi
Quei duci stessi, onde Svaran fu vinto;
Poiché dall'armi sue fuggir dispersi
D'Erina i figli! Ed or contro il più forte
De' loro eroi vorrà pugnar Foldano?
Foldan dal cor d'orgoglio: or via de' tuoi
Prendi teco la possa, e fa' che insieme
Malto ne venga: rosseggiò più volte
Il brando mio; ma chi mie voci intese199?
Figli d'Erina, con soavi accenti
Idalla incominciò; non fate, o duci,
Che giungano a Fingallo i detti vostri,
Onde il nemico non s'allegri, e sia
Forte il suo braccio. Valorosi, invitti,
Siete o guerrieri, e somiglianti a nero
Nembo del ciel, che rovinoso i monti
Sfianca, e le selve nel suo corso atterra.
Ma pur moviamci nella nostra possa200
Lenti, aggruppati, qual compressa nube
Spinta dal vento: allora al nostro aspetto
Tremerà l'oste, e dalla man del prode
Cadrà la lancia; noi vediam, diranno,
Nube di morte, e imbiancheranno in volto.
In sua vecchiezza piagnerà Fingallo
La spenta gloria sua: Morven selvosa
Non rivedrà i suoi duci; e in mezzo a Selma
Crescerà l'erba, e 'l musco201 alto degli anni.
Stava Cairba taciturno, udendo
Le voci lor, qual procellosa nube,
Che minaccia la pioggia, e pende oscura
Là su i gioghi di Cromla, infin che il lampo
Squarciale i fianchi; di vermiglia luce
Folgoreggia la valle, urlan di gioja
Della tempesta i tenebrosi spirti.
Sì stette muto di Temora il sire,
Alfin parlò. Su s'apparecchi in Lena
Largo convito, i miei cantor sien pronti.
Odi tu, Olla202, dalla rossa chioma,
Prendi l'arpa del Re, vanne ad Oscarre
Sir delle spade, e a festeggiar l'invita
Nella mia sala; oggi starem tra' canti,
Doman le lance romperem: va', digli
Che all'estinto Catolla203 alzai la tomba,
E che i cantori miei sciolsero i versi
All'ombra sua: dì che i suoi fatti intesi204,
Là del Carron sulle remote sponde205.
Or non è qui Catmorre, il generoso
Di Cairba fratello206, ei co' suoi mille
Ora è' lontan: noi siam deboli, e pochi.
Catmorre a par del Sol lucida ha l'alma,
E le battaglie ne' conviti aborre;
Ciò Cairba non cura. Eccelsi duci,
Io pugnerò contro d'Oscàr: fur molte
Le sue parole per Catolla207, e 'l petto
M'arde di sdegno; egli cadrà sul Lena,
E la mia fama s'alzerà nel sangue.
Di gioja i duci sfolgoraro in volto:
Si spargono sul prato, e delle conche
S'apparecchia la festa; a gara i vati
Alzano i canti. Su la spiaggia udimmo
Le liete voci, e si credè che giunto
Fosse il prode Catmòr, Catmòr l'amico
Degli stranieri, di Cairba oscuro
L'alto fratel; ma non avean simili
L'alme perciò, che di Catmòr nel petto
Lucea raggio del cielo. All'Ata208 in riva
S'alzavan le sue torri; alle sue sale
Sette sentieri conduceano, e sette
Duci su quei sentier si stavan pronti,
Facendo ai passaggier cortese invito.
Ma Catmòr s'appiattava entro le selve,
Che la voce fuggia della sua lode.
Olla sen venne col suo canto. Oscarre
Alla festa n'andò209: guerrier trecento
Seguono il duce, e risuonavan l'armi
Terribilmente: i grigi can sul prato
Gìan saltellando, e lo seguian cogli urli.
Vide Fingal la sua partenza; mesta
Era l'alma del Re, del fier Cairba
Nudria sospetto: ma chi mai dell'alta
Progenie di Tremmor temeo nemici?
Alto il mio figlio sollevò la lancia
Del buon Cormano210 incontro lui coi canti
Fersi cento cantor211; cela Cairba
Sotto un sorriso l'apprestata morte,
Che negra cova entro il suo spirto: è sparsa
La festa sua, suonan le conche; all'oste
Gioja ride sul volto; ella somiglia
A pallido del Sole ultimo raggio,
Che già tra' nembi si frammischia, e perde.
Cairba alzossi: oscurità s'accoglie
Sopra il suo ciglio; il suon delle cento arpe
Cessa ad un tratto; dei percossi scudi
S'ode il cupo fragore212. Olla da lungi
Alza il canto del duolo: Oscar conobbe
Il segnal della morte: ei sorge, afferra
La lancia. Oscar, disse Cairba, io scorgo
La lancia di Temòra; in la tua destra,
Figlio di Morven, dei gran re d'Erina
Brilla l'antica lancia; essa l'orgoglio
Fu di ben cento regi, essa la morte
Di cento eroi; cedi, garzone altero,
Cedila al nato al carro alto Cairba.
Che? del tradito regnator d'Erina
Ch'io ceda il dono? Oscar soggiunse, il dono
Del bel Cormano dalla bionda chioma,
Ch'egli fece ad Oscar, quand'ei disperse
L'oste nemica? Alle sue sale io venni
Allor che di Fingallo innanzi al brando
Fuggì Svarano: isfavillò di gioja
Nel volto il giovinetto, e di Temòra
Diemmi la lancia; e non la diede a un fiacco,
Truce Cairba, ad alma vil non diella.
Non è l'oscurità della tua faccia
Per me tempesta, e gli occhi tuoi non sono
Fiamme di morte: il tuo sonante scudo
Pavento io forse? o d'Olla al feral canto
Tremami in petto il cor? no, no, Cairba
Spaventa i fiacchi; Oscarre alma ha di rupe.
Né vuoi ceder la lancia? allor riprese
Del fier Cairba il ribollente orgoglio.
Sono i tuoi detti baldanzosi e forti,
Perché presso è Fingallo, il tuo di Morven
Guerrier canuto: ei combatte' coi vili;
Svanire ei deve di Cairba a fronte,
Come di nebbia una sottil colonna
Contro i venti dell'Ata. Al duce d'Ata213
Se quel guerrier che combatteo coi vili
Fosse dappresso, il duce d'Ata in fretta
Gli cederia la verdeggiante Erina,
Per fuggire il suo sdegno: olà, Cairba,
Non parlar dei possenti; a me rivolgi
Il brando tuo; la nostra forza è pari:
Ma Fingallo, ah Fingàl di tutti è sopra.
I lor seguaci intenebrarsi in volto
Videro i duci, e s'affollaro in fretta
Intorno a lor: vibran focosi sguardi,
Snudansi mille spade. Olla solleva
Della battaglia il canto. In ascoltarlo
Scorse per l'alma tremolio di gioja
Al figlio mio; quella sua gioja usata,
Allor che udiasi di Fingallo il corno214.
Nera come la gonfia onda, che al soffio
D'aura sommovitrice alzasi, e piomba
Curva sul lido, di Cairba l'oste
S'avanza incontro a lui. Figlia di Toscar215
Quella lagrima ond'è non cadde ancora
Il nostro Eroe; dal braccio suo le morti
Molte saran, pria che sia spento. Osserva
Come cadongli innanzi, e sembran boschi
Là nel deserto, allor che un'irata ombra,
Torbida furibonda esce, ed afferra
Le verdi cime coll'orribil destra.
Cade Morlan, muor Conacàr, Maronte
Guizza nel sangue suo: fugge Cairba
Dalla spada d'Oscarre, e ad appiattarsi
Corre dietro ad un masso: ascosamente
Alza la lancia il traditore, e 'l fianco
Ad Oscar mio passa di furto; ei cade
Sopra lo scudo, ma 'l ginocchio ancora
Sostenta il duce; ha in man la lancia: vedi,
Cade l'empio Cairba; Oscar si volge
Col penetrante acciaro, e nella fronte
Profondamente gliel conficca, e parte
La rossa chioma d'atro sangue intrisa.
Giace colui come spezzato scoglio,
Che Cromla scuote dal petroso fianco.
Ahimè che Oscar non sorge; egli s'appoggia
Sopra lo scudo, sta la lancia ancora
Nella terribil destra; anche discosti
Treman d'Erina i figli: alzan le grida
Qual mormorio di rapide correnti,
E Lena intorno ripercosso echeggia.
Fingallo ode il fragor, l'asta del padre
Prende, sul prato ei ci precede, e parla
Parole di dolor: sento il rimbombo
Della battaglia, Oscarre è solo216, o duci;
Alzatevi, accorrete, e i brandi vostri
Unite al brando dell'eroe. Sul prato
Precipita anelante Ossian: a nuoto
Passa il Lena Fillan; Fergusto accorre
Con piè di vento. S'avanzò Fingallo
Nella sua possa: orribile a mirarsi
Del suo scudo è la luce, e ben da lungi
D'Erina ai figli sfolgorò sul ciglio:
Ne tremarono i cor, videro acceso
Del Re lo sdegno, e s'aspettar la morte.
Primi giungemmo, e combattemmo i primi:
D'Erina i duci resister: ma quando
Venne suonando il Re, qual cuor d'acciaro
Potea far fronte, o sostenerlo? Erina
Lungo il Lena fuggio; morte l'incalza.
Ma noi frattanto sullo scudo inchino
Oscar vedemmo: rimiriamo il sangue
Sparso d'intorno. Atro silenzio e cupo
Cadde repente degli eroi sul volto.
Ciascun rivolse ad altra parte il guardo,
Ciascuno pianse. Il Re d'asconder tenta
Le lagrime sorgenti: ei sopra il figlio
China la testa, ed ai sospir frammiste
Escon le sue parole. Oscar, cadesti,
Cadesti, o forte, del tuo corso in mezzo.
Il cor de' vecchi ti palpita sopra,
Che le future tue battaglie ei vede:
Vedo le tue battaglie, ahi! ma la morte
Dalla tua fama le recide, e scevra.
E quando in Selma abiterà più gioja?
Quando avran fine le canzon del pianto?
Cadono ad uno ad un tutti i miei figli217,
E l'ultimo de' suoi sarà Fingallo.
Dileguerassi la mia fama antica;
Fia senz'amici la mia vecchia etade.
Io sederò come una grigia nube
Nell'atrio mio, senz'aspettar che torni
Colla vittoria un figlio. O Morven, piangi,
Oscar non sorge più, piangete eroi.
E piansero, o Fingallo: alle lor alme
Era caro il guerriero; egli appariva,
E svaniano i nemici; e poscia in pace
Tornava asperso di letizia il volto.
Padre non fu che dopo lui piagnesse
Il caro figlio in giovinezza estinto,
E non fratello il suo fratel d'amore.
Caddero questi senza onor di pianto,
Perch'era basso il fior d'ogni guerriero.
Urla Brano al suo piè, liscialo, e geme
L'oscuro Lua218, ch'egli condotti spesso
Seco gli avea contro i cervetti in caccia.
Quando d'intorno i suoi dolenti amici
Oscar si vide, il suo candido petto
S'alzò con un sospiro. I mesti accenti,
Diss'egli allor, de' miei guerrieri antichi,
L'urlar de' cani, l'improvvise note
Della canzon del pianto, hanno invilita
L'alma d'Oscàr, l'anima mia, che prima
Non conoscea fiacchezza, e somigliava
All'acciar del mio brando. Ossian, t'accosta,
Portami alli miei colli; alza le pietre
Della mia fama219; nell'angusto albergo
Del mio riposo il mio corno del cervo
Riponi, e la mia spada: un dì 'l torrente
Potrebbe seco trasportar la terra
Della mia tomba. Il cacciator sul prato
Discoprirà l'acciaro, e dirà, questa
Fu la spada d'Oscarre. - E tu cadesti
Figlio della mia fama? Oscar mio figlio
Non ti vedrò più mai? Quand'altri ascolta
Parlar de' figli suoi, di te parola
Più non udrò? Già siede in sulle pietre
Della tua tomba il musco220, il vento intorno
Geme, e ti piange; senza te la pugna
Combatterassi, senza te nel bosco
Le lievi damme inseguiransi: almeno
Guerrier dal campo, o dall'estranie terre
Ritornando dirà: vidi una tomba
Presso il corrente mormorio del fonte,
Ove alberga un guerrier: l'uccise in guerra
Oscar, primo fra' duci, al carro nato.
Io forse udrò le sue parole, e tosto
Raggio di gioja avviverammi il core.
Scesa saria sulla tristezza nostra
La buja notte, ed il mattin risorto
Nell'ombra del dolore; i nostri duci
Lì rimasti sarien, come nel Lena
Fredde rupi stillanti, e la battaglia
Avrian posta in oblio, se il Re la doglia
Non discacciava, e non alzava alfine
La sua voce possente: i duci allora,
Come scossi dal sonno, alzar la testa.
E fino a quando starem noi gemendo,
Diss'ei, sul Lena? E fino a quando Ullina
Si bagnerà del nostro pianto? i forti
Non torneran perciò; nella sua forza
Oscar non sorgerà: cadere un giorno
Deve ogni prode, ed a' suoi colli ignoto
Restar per sempre. Ove son'ora, o duci,
I padri nostri, ove gli antichi eroi?
Tutti già tramontar siccome stelle
Che brillaro, e non sono; or sol s'ascolta
Delle lor lodi il suon; ma fur famosi
Nei loro giorni, e dei passati tempi
Furo il terror. Sì, passerem noi tutti,
Guerrier, nel nostro dì: siam forti adunque
Finché c'è dato, e dietro noi lasciamci
La nostra fama, come il Sole addietro
Lascia gli ultimi raggi, allor che cela
In occidente la vermiglia fronte.
Vattene, Ullino, mio cantore antico;
Prendi la regia nave; Oscarre in Selma
Riporta, e fa' che sopra lui di Morven
Piangan le figlie: noi staremo intanto
A pugnar in Erina, e a porre in seggio
La schiatta di Cormano221. I giorni miei
Van dechinando: la fiacchezza io sento
Del braccio mio; dalle cerulee nubi
Già per accorre il lor canuto figlio
Piegansi i padri miei; verrò, Tremmorre,
Sì, Tremmorre, verrò; ma pria ch'io parta,
S'inalzerà della mia gloria un raggio.
Ebber già suo principio, avran pur fine
Nella fama i miei giorni; e la mia vita
Fia torrente di luce ai dì futuri.
Ullin spiegò le vele: il vento scese
Dal mezzogiorno saltellon sull'onde
Ver le mura di Selma; io mi restai
Nella mia doglia, e non s'udì mia voce.
Cento guerrieri di Cairba estinto
Erser la tomba, ma non s'alzan canti
Al fero duce; sanguinosa, oscura
Era l'alma di lui222: Cormano in mente
Stavaci, e chi lodar potea Cairba?
Scese la notte; s'inalzò la luce
Di cento querce: il Re sotto una pianta
Posesi, e presso lui sedeva il duce
D'Eta, d'Usnorre la canuta forza.
Stava Altano223 nel mezzo; ei raccontocci
Di Cormano la morte; Altano il figlio
Di Conàcar, di Cucullin l'amico.
In Temora ventosa egli abitava
Col buon Corman, quando il figliuol di Semo
Prese a pugnar col nobile Torlasto.
Trista fu la sua storia, e a lui sul ciglio
La lagrima sorgea. Giallo era in Dora224
Il sol cadente225; già pendea sul piano
La grigia notte; di Temòra i boschi
Givano tremolando agl'incostanti
Buffi del vento. In occidente alfine
Si raccolse una nube, a cui fea coda
Stella vermiglia. Io mi restai soletto
Nel bosco, e vidi grandeggiar nell'aria
Una nera ombra: dall'un colle all'altro
Si stendeano i suoi passi, aveva a lato
Tenebroso lo scudo: io ravvisai
Di Semo il figlio; la tristezza io vidi
Del volto suo, ma quei passò veloce
Via nel suo nembo, lasciò bujo intorno.
Rattristossi il mio spirto; in ver la sala
M'avviai delle conche; ardean più faci,
Ed i cento cantor toccavan l'arpe.
Stava nel mezzo il bel Corman, vezzoso
Como la scintillante mattutina
Stella, che là sul balzo d'oriente
S'allegra, e scote di rugiada aspersi
I giovinetti suoi tremuli raggi.
Pendeva a lato del fanciullo il brando
D'Arto; ei godeasi di trattarlo, e stava
Lieto mirando il luccicar dell'else.
Ei di snudarlo s'attentò tre volte,
E tre volte mancò: gialla sul tergo
Sventolava la chioma, e dell'etade
Sulle sue guance rosseggiava il fiore
Morbido e fresco: io piansi in su quel raggio
Di giovinezza a tramontar vicino.
Altan, diss'ei con un sorriso, dimmi,
Vedestù 'l padre mio? greve è la spada
Del Re; per certo il braccio suo fu forte.
Oh foss'io come lui, quando in battaglia
Sorgeva il suo furor! che unito anch'io
A Cucullino, di Cantela al figlio226
Ito incontro sarei. Ma che? verranno
Anche i miei giorni, Altan, verrà quel tempo,
Che fia forte il mio braccio. Hai tu novelle
Del figliuolo di Semo? egli dovrebbe
Tornar colla sua fama; ei questa notte
Promise di tornare; i miei cantori
L'attendono coi canti, e sparsa intorno
È la mia festa. Io l'ascoltai tacendo,
E già m'incominciavan per le guance
A trascorrer le lagrime; io le ascosi
Sotto il canuto crin. Ma il Re s'accorse
Della mia doglia: ahimè, diss'ei, che veggio?
Figlio di Conacàr, caduto e' forse
Il re di Tura? e perché mai di furto
Escono i tuoi sospiri? e perché tergi
Dagli occhi il pianto? ci vien forse incontro
L'alto Torlasto, o l'aborrito suono
Dell'oscuro Cairba? Ei viene, ei viene:
Veggo il tuo lutto; il re di Tura è spento.
Ed io non spingerommi entro la zuffa?
Ed io?... ma che? de' padri miei non posso
Impugnar l'armi. Ah! se il mio braccio avesse
Di Cucullin la forza, al mio cospetto
Fuggirebbe Cairba, e de' miei padri
Risorgerian la fama, e fatti antichi.
Ei disse, e prese in man l'arco di tasso;
Sui vivid'occhi gli scintilla il pianto.
Doglia intorno s'ammuta; i cantor pendono
Sulle lor arpe, i venticelli toccano
Le corde, e n'esce mormorio di doglia.
S'ode da lungi lamentevol voce,
Qual d'uomo afflitto. Carilo era questi,
Cantore antico, che veniane a noi
Dall'oscuro Slimora; egli la morte
Di Cucullin narrocci, e i suoi gran fatti.
Sparsi, diss'egli, alla sua tomba intorno
Stavano i suoi seguaci; a terra stese
Giacciono l'armi loro, e la battaglia
Avean posta in oblio, poiché 'l rimbombo
Del suo scudo cessò227. Ma chi son questi,
Disse il soave Carilo, chi sono
Questi, che come lievi agili cervi
Volano al campo? a rigogliose piante
Simili nell'altezza, hanno le guance
Morbide, rubiconde, e sfavillando
Balzan per gli occhi fuor le intrepid'alme.
E chi mai son, fuorché d'Usnorre i figli,
I prenci d'Eta generati al carro?
Tutti s'alzar del re di Tura i duci228,
Come vigor di mezzo spento foco,
Se d'improvviso dal deserto il vento
Rapido vien sulle fischianti penne.
Suona lo scudo: nell'amabil Nato
Gli eroi credero di veder risorto
L'estinto Cucullin; tal girava egli
I scintillanti sguardi, e tal movea
Sulla pianura; la battaglia ferve
Presso il Lego, preval di Nato il brando229,
O re d'Erina, e lo vedrai ben tosto
Nelle tue sale. - Ah potess'io vederlo,
Carilo, in questo punto! allor soggiunse
La di Corman rinnovellata gioja.
Ma tristo io son per Cucullin, gioconda
Era al mio orecchio la sua voce; spesso
Movemmo in Dora i nostri passi a caccia
Delle brune cervette: ei favellava
Dei valorosi, ei mi narrava i fatti
De' padri miei; fiamma di gloria intanto
M'ardea nel cor: ma siedi alla mia festa,
Carilo, io spesso la tua voce intesi.
Deh tu di Cucullino, e di quel forte
Generoso stranier canta le lodi.
Di tutti i raggi d'oriente adorno
Sorse in Temòra il nuovo dì; Tratino
Figlio del vecchio Gelama sen venne
Dentro la sala. O re d'Erina, ei disse,
Vidi una nube nel deserto: nube
Da lungi ella parea, ma poi scoprissi
D'uomini un nembo: innanzi a lor s'avanza
Uom baldanzoso; gli svolazza al vento
La rossa chioma, al raggio d'oriente
Splende lo scudo, ha in man la lancia. - E bene,
Di Temora chiamatelo alla festa,
Disse il buon re d'Erina. È la mia sala
La magion dei stranieri, o generoso
Di Gelama figliuol: fia forse questi
Il duce d'Eta, che sen vien nel suono
Della sua fama230. Addio, stranier possente,
Se' tu l'amico di Corman? che veggio?
Carilo, oscuro ed inamabil parmi,
E trae l'acciaro. Or dì', cantore antico231,
Questo è il figlio d'Usnor? d'Usnorre il figlio
Non è questo, o Corman, ma 'l prence d'Ata.
Fero Cairba dall'atroce sguardo,
Così armato perché? non far che s'alzi
Il brando tuo contro un garzone. E dove
Frettoloso ten corri? Ei passa muto
Nella sua oscuritade, e al giovinetto
La destra afferra; il bel Corman previde
La morte sua; gli arde il furor negli occhi.
Scostati, o d'Ata tenebroso duce232;
Nato s'avanza; baldanzoso e forte
Sei nelle sale di Corman, perch'ora
È debole il suo braccio. - Entra nel fianco
La cruda spada al giovinetto; ei cade
Là nelle sale dE' suoi padri; e' sparsa
La bella chioma nella polve, intorno
Fuma il suo sangue. - O del magnanim'Arto
Caro figlio, diss'io, cadesti adunque
Nelle tue sale, e non ti fu dappresso
Di Cucullin lo scudo, e non la lancia
Del padre tuo? Triste le rupi e i boschi
Son or d'Erina, perché steso a terra
È del popolo il duce. O benedetta
L'anima tua, Corman! Corman gentile!
Così tu dunque alle speranze nostre
Rapito fosti del tuo corso a mezzo?
Del fier Cairba giunsero all'orecchio
Le mie parole; in tenebroso speco
Ei ci racchiuse233: ma d'alzar la spada
Su i cantor non osò234, benché il suo spirto
Nero fosse e sanguigno. Ivi tre giorni
Stemmo languendo: il nobile Catmorre
Giunse nel quarto, udì dalla caverna
La nostra voce, ed a Cairba volse
L'occhio del suo disdegno. O prence d'Ata,
Fino a quando, diss'ei, vorrai tu ancora
Rendermi afflitto? a masso del deserto
Rassomiglia il tuo cor: foschi e di morte
Son sempre i tuoi pensier: ma pur fratello
Sei di Catmorre, ed ei combatter deve
Le tue battaglie: non però lo spirto
È di Catmorre all'alma tua simìle,
Fiacca mano di guerra. I tuoi misfatti
La luce del mio cor rendono oscura.
Per tua cagion non canteranno i vati
Della mia fama: essi diran, Catmorre
Fu valoroso, ma pugnar sostenne
Per l'oscuro Cairba, e taciturni
Sul mio sepolcro passeran, né intorno
S'inalzerà delle mie lodi il suono.
Orsù, Cairba, dai lor ceppi sciogli
I due cantori; se nol sai, son questi
Figli de' tempi antichi235, e la lor voce
Farà sentirsi ai secoli futuri,
Quando spenti saran d'Erina i regi.
Uscimmo alle sue voci, e lui mirammo
Nella sua forza: ei somigliava appunto
La giovinezza tua, Fingallo invitto,
Quando la lancia primamente alzasti.
Sembrava il volto suo la liscia e piana
Faccia del chiaro Sol, né nube alcuna
Vedeasi errar sulle serene ciglia.
Pur in Ullina co' suoi mille ei venne
Di Cairba in soccorso, e di Cairba
Ei viene adesso a vendicar la morte,
Re di Morven selvosa. E ben: ch'ei venga,
Disse l'alto Fingallo; amo un nemico
Come Catmorre: la sua destra è forte,
Magnanimo il suo cor; le sue battaglie
Splendon di fama; ma la picciol'alma
Sembra basso vapor, che a paludoso
Lago sovrasta, e di poggiar sui colli
Non s'attenta giammai, che di scontrarsi
Teme coi i venti. Entro burroni e grotte
Alberga, e scocca fuor dardo di morte.
Usnor, dei duci d'Eta al carro nati
La fama udisti; i garzon nostri, amico,
Son nella gloria a' padri nostri uguali.
Pugnano giovinetti, e giovinetti
Cadon pugnando; ma noi siam già gravi
Dal peso dell'etade: ah non lasciamci
Cader come tarlate e vacillanti
Querce, che il vento occultamente atterra.
Mirale il cacciator colà riverse
Giacer sopra il ruscello, e dice, oh vedi
Come cadéro! e via passa fischiando.
Su, di Morven cantori, alzate il canto
Della letizia, onde nei nostri spirti
Dolce s'infonda del passato oblio.
Le rosse stelle risguardando stannoci,
E chete chete verso il mar dechinano:
Sorgerà tosto il mattutino raggio,
E di Corman da lungi ai nostri sguardi
Discoprirà i nemici. Odi Fillano,
Prendi l'asta del Re, vattene al cupo
Fianco di Mora: attentamente osserva
Di Fingallo i nemici: osserva il corso
Del nobile Catmorre. Odo da lungi
Alto fragor, che rassomiglia a scrollo
Di rupe che precipita: tu picchia
Ad or ad or lo scudo, onde il nemico
Non s'avanzi nell'ombre, e sì di Morven
Cessi la fama. O figliuol mio, comincio
Ad esser solo236, e la mia gloria antica
Mirar cadente, e a lei sorviver temo.
Alzossi il canto: il Re sopra lo scudo
Si posò di Tremmòr. Sopra le ciglia
Scesegli il sonno, e ne' suoi sogni alzarsi
Le sue future bellicose imprese.
Dormegli intorno l'oste sua; Fillano
Sta spiando il nemico; ei volge i passi
Verso il colle lontano; e tratto tratto
S'ascolta il suono del percosso scudo.