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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Chi è quel grande presso il pendente

Colle de' cervi, dell'ondoso Luba

Lungo il corso ceruleo? annosa pianta

Isbarbicata da notturni venti

Gli fa sostegno, ed ei sovrasta altero.

Quel grande e chi sarà? tu sei, possente

Progenie di Comàl294, che già t'appresti

L'ultimo ad illustrar de' campi tuoi295:

Sferzagli il vento il crin canuto: ei mezzo

Snuda l'acciar di Luno296; ha volto il guardo

Verso Moilena, onde l'armata Erina

Movea fremendo alla battaglia. Ascolta

Del Re la voce, ella somiglia a suono

D'alpestre rio. Scende il nemico, ei grida,

Sorgete o voi delle Morvenie selve

Possenti abitatori, e ad incontrarlo

Siatemi scogli del terren natio,

Per li cui fianchi romoroso indarno

Volvesi il flutto. Ah di letizia un raggio

Scendemi all'alma; è poderosa Erina.

Quando è fiacco il nemico, allor si sente

Di Fiangallo il sospir, che morte allora

Coglier potriami inonorata, e bujo

Ne involveria la taciturna tomba:

Ma chi fra' duci miei l'oste d'Alnecma

Farassi ad incontrar? se pria non giunge

All'estremo il periglio, il brando mio

Di sfavillar non ama. A' prischi tempi

Tal costume era il tuo, Tremmorre invitto,

Correggitor de' venti, e tal movea

Tràtalo il forte dal ceruleo scudo.

Ciascun dei duci a quel parlar pendea

Dal regio volto, e si scorgea negli atti

Misto a dubbiezza palpitar desio.

Ciascun tra labbro e labbro in tronche voci

Rammenta i propri fatti, e alterna il guardo

Ad Erina, a Fingàl: ma innanzi agli altri

Stavasi Gaulo non curante e muto.

Solo ei tacea, ché a chi di Gaulo ignote

Eran l'imprese? Esse al suo spirto innanzi

Tutte schierarsi, e la sua man di furto

Involontaria ricorreva al brando,

Brando che in lui trovò, poiché la possa

Mancò di Morni297, successor ben degno.

Ma d'altra parte crini-sparso, e chino

Sulla sua lancia addolorato in vista

Stava il figlio di Clato: egli tre volte

Alzò gli occhi a Fingàl; tre su le labbra

Mentre parlava, gli spirò la voce.

Che dir potea? vantar battaglie e guerre

Giovinetto non può; partissi a un tratto,

Lungo un rio si prostese, aveva il ciglio

Pregno di pianto, e dispettosamente

Con la riversa lancia iva mietendo

Gl'ispidi cardi: l'adocchiò Fingallo,

Che seguitollo il suo furtivo sguardo.

Videlo, e di letizia il sen paterno

Rimescolossi, tacito si volse

Inverso il Mora, e fra i canuti crini

La mal sospesa lagrima nascose.

Alfin s'udì la regal voce: o primo

Della stirpe di Morni, immoto scoglio

Sfidator di tempeste, a te la pugna

A prò del sangue di Cormano affido.

Non è la lancia tua verghetta imbelle

In fanciullesca man, né la tua spada

Scherzosa striscia di notturna luce.

Figlio d'egregio padre, ecco il nemico;

Guardalo, e struggi. E tu Fillan m'ascolta:

Mira del duce la condotta; in campo

Lento o fiacco non è; ma non s'accende

Di sconsigliato ardor: guardalo, o figlio;

Egli del Luba nella possa adegua

La correntìa; ma non ispuma o mugge.

Del Mora intanto nebuloso in vetta

Starommi a risguardarvi. Ossian del padre

Tu statti al fianco298; e voi cantori, alzate

Il bellicoso carme; al vostro suono

Morven scenda a pugnar: l'ultimo è questo

De' campi miei299: d'inusitata luce

La vostra man lo mi rivesta, o prodi.

Qual subitano fremito a sentirsi

Di vento sollevantesi, o lontano

Mareggiar di turbate onde, che oscura

Crucciosa ombra sommove, e ne le sbalza

Isola a ricoprir, che da molt'anni

Fu cupo seggio di stagnante nebbia;

Tale è 'l suon dell'esercito ondeggiante,

Che sul campo stendeasi. A tutto innanzi

Gaulo grandeggia: or quel ruscello, or questo

Tra' suoi passi zampilla: alzano i vati

Guerresche note: dello scudo accorda

Gaulo a quel suono il suon; strisciando i canti

Per le del vento sinuose penne.


I

 


« sul Crona un rivo sbocca;300

Di notte ingrossa, e sul mattin trabocca.

Allor sé stesso incalza

Di balza in balza,

E spuma e strepita,

E massi sgretola,

E piante sbarbica;

La morte rotola

Nell'onda che tuona

Fra tronchi e sassi:

Lungi dal Crona,

Lungi i miei passi;

Non sia chi d'appressarlo a me consigli.

Di Morven figli,

Siate in la vostra possa

Come l'onda del Crona allor che ingrossa».


II

 


«Ma sul carro fiammeggiante301

dal Cluta ondisonante,302

E chi mai sì fero appar?

Al suo aspetto turbarsi, crollarsi

Veggo i fonti,

Veggo i monti;

E il bosco

Rosso-fosco

Al suo brando vampeggiar.

Guardatelo,

Miratelo,

Come s'alza, come s'avventa!

E 'l nemico turba e sgomenta!

Sarebbe questa mai l'ombra di Colgaco303

Nubi-disperditor?

Dimmi, sarestù mai Colgaco indomito

Nembi-cavalcator?

No, no, che Morni è questo

Morni, sir dei destrieri304. O Gaulo, il padre

Guarda la tua battaglia;

Gaulo non tralignar; tuo padre uguaglia».


III

 


Già Selma si schiude305,

Già s'alzano i canti,

Già l'arpe tremanti

Si sente toccar.

Di snelli garzoni

Drappello giulivo,

Il tronco festivo306

Già gode portar.

Di gioja foriera

Piacevole auretta

Lusinga l'erbetta

Con dolce sospir.

E l'ultimo raggio

Del Sole che cede,

Già parte, già riede

Al nostro gioir.

Ecco carco di fama

Ritorna il Re307: ma perché muta o Selma?

Perché guati così? Selma t'intendo:

Non muggì la battaglia? or come il ciglio

Così di pace ha pieno?

Guerra venne, ei tonò; sparve, è sereno.

Fillan vivace,

Tuo padre in campo

Veggati un lampo, - e un vago raggio in pace.

Morven s'avanza a questo suono: un campo

Vedi di lance fluttuar sospeso,

Come d'autunno al variabil vento

Campo di giunchi. Il Re s'ergea sul Mora

Cinto dell'armi sue: cerulea nebbia

Facea corona al suo rotondo scudo

Ad un ramo sospeso. Al regio fianco

Muto io mi stava, ed avea fermo il volto

Sopra il bosco di Cromla308, onde lo sguardo

Non mi scappasse alla battaglia, ed io

Mi vi slanciassi nel bollor dell'alma,

Che di desio mi si gonfiava in petto.

Proteso ho un piè, sospeso l'altro, e d'alto

Splendea d'acciar: tale il ruscel di Tormo309

Mentre sta per cader, notturni venti

L'inceppano di ghiaccio: il fanciulletto

Lustrar lo scorge al mattutino raggio,

Qual già solea; tende l'orecchio; oh, dice,

Come sta così muto310? e pensa, e guata.

Né lungo un rivo neghittoso e lento

Sedea Catmòr, qual giovinetto imbelle

In pacifico campo: onda contr'onda

Torbida e grossa ei sospingea di guerra.

Vide Fingal sul Mora, e in lui destossi

Generosa alterezza311. E 'l duce d'Ata

Combatterà, quando a pugnar non scende

Di Selma il re? Va va, Foldan, conduci

Il popol mio; folgor se' tu. Si slancia

Il sir di Moma, somigliante a nube,

Veste di spettri, ed abbrancò la spada,

Bellicoso vapor: le mosse e i cenni

Diè della pugna: le tribù, quai solchi

D'onde ammontate, riversar con gioja

La gorgogliante possa. Altero il duce

Primo impronta la via: sdegno si volve

Nel regio sguardo. A sé chiamò Cormulte

Di Dunrato signor; Cormulte, ei disse,

Vedi tu quel sentier che obliquo serpe

Del nemico alle spalle? ivi nascondi

Le genti tue, che dal mio brando irato

Morven non fugga: e voi cantori, udite:

Non sia tra voi chi per costor la voce

Osi di sollevar. Son di Cairba

Costor nemici, e senza onor di canto

Debbon cadere: il peregrin sul Lena

Incontrerà la neghittosa nebbia,

Ove affaldate le lor torbid'ombre

Marciran nell'oblio312, né fia che quindi

Né le sviluppi, e le sollevi e scorga

Aura di canto alle ventose sale.

Mosse Cormulte intenebrato, il segue

Muta la squadra: rannicchiati e stretti

Dietro la rupe si calar: ma Gaulo

Gli codeggia coll'occhio, e a Fillan volto,

Tu vedi i passi di Cormulte; or vanne,

Sia forte il braccio tuo: quand'egli è basso,

Rammentati di Gaulo: io qui mi scaglio

Fra le file de' scudi. Alzasi il segno

Spaventoso di guerra, il feral suono

Dello scudo di Morni; a quel frammischia

Gaulo l'alta sua voce. Erto levossi

Fingal sul Mora, e d'ala in ala intorno

Vide sparsa la zuffa: a lui d'incontro

Lucida stava in sull'opposto giogo

La robustezza d'Ata313: i duo gran duci

Pareano appunto (altera vista e bella)

Due luminosi spiriti del cielo

Ambo sedenti in tenebrosa nube,

Quando dal grembo suo versano i venti

Scompigliator di rimugghianti mari:

Sotto i lor occhi s'accavalla e infrange

Fiotto con fiotto; mostruose moli

Scoppiano di balene, e d'immensa orma

Stampan l'ondoso disugual sentiero.

Quelli nel suo chiaror sereni e grandi

Si risplendono a fronte, e l'aura addietro

Sventola i lunghi nebulosi crini.

M'inganno? o scorgo una focosa striscia

Perder nell'aere? e che sarà? di Morni

Il folgorante acciaro: armati ed arme

Tu affasci o Gaulo; ove tu volga il passo

Pullula morte. Ahimè! Turlato cade

Qual giovinetta quercia incoronata

Di frondeggianti rami. In riva al Moro

Dorme la sposa ricolmetta il seno

Fra l'errante suo crin: dorme, ma stende

Ne' sogni suoi le biancheggianti braccia

Al suo duce che vien: misera Oicòma!314

Questa è l'ombra di lui; Turlato giace,

Vane son tue lusinghe; è vano ai venti

Tender l'avido orecchio a corre il suono

Dell'echeggiante scudo: il suono è spento,

Spento per sempre; il tuo diletto è un'ombra.

Né già pacata di Foldan la destra

Pendea sul campo: per stragi, per sangue

Volvesi; in lui Conàl si scontra; acciaro

Con acciar si frammischia. Ah! con quest'occhi

Degg'io vederlo? o mio Conal, son bianchi

I crini tuoi: te de' stranieri amico

Membra Dunlora315 tua, membra la rupe

Ricoperta di musco: allor che il cielo

Rotolava i suoi veli, il tuo convito

Largo spandeasi; e 'l peregrin assiso

Presso l'accesa quercia, udia tranquillo

Romoreggiar per la foresta il vento.

Ma canuto se' tu, possente figlio

Di Ducaro possente; ah perché nuoti

Nel sangue tuo? sopra di te si curva

Sfrondata pianta, il tuo spezzato scudo

Giaceti appresso, e al rio mescesi il sangue.

Ghermii la lancia, e da furor sospinto

Scendea tal morte a vendicar: ma Gaulo

Mi pervenne ed accorse: i fiacchi a lato

Passangli illesi: sol di Moma il duce

Segno è dell'ira sua. Da lungi in alto

Cenno si fean le micidiali spade.

Acuto stral giunse di furto, e a Gaulo

Fere la man, cade l'acciaro a terra

Forte sonando: il pro' garzon di Selma

Giunge anelante innanzi al Duce, e a un punto

Ampio stesegli appiè sanguigno scudo,

Lo scudo di Cormulte316. Urlò Foldano

Al soccorso improvviso, e 'l feroce urlo

Tutto raccese il campo suo, qual suole

Soffio di vento, che solleva e spande

Pel frondoso di Lumo arido bosco

Rapida spaziosa ala di fiamma.

Figlia di Clato, ah, disse Gaulo, un raggio

Se' tu del cielo; al balenar gentile,

Spianasi il mar rimescolato, e ai nembi

Cadono vinte le rugghianti penne.

Giacque Cormulte a' piedi tuoi, per tempo

Raggiungi tu l'avita fama. O prode,

Non ti spinger tropp'oltre; in tuo soccorso

Rizzar l'asta io non posso; inerme in campo

Restar degg'io; ma la mia voce almeno

Combatterà con te: Morven il suono

Ne ascolterà, di bellicosi fatti

Confortator. La poderosa voce

S'alzò nell'aere, ben diversa allora

Da quella, onde solea di Strumo in riva

Dar della caccia il segno. I guerrier suoi

Curvansi nella mischia; egli nel mezzo

Fermo e grande si sta, qual quercia annosa

Di tempesta accerchiata; in giù dai venti

Pende fiaccato un noderoso ramo:

Ella non cura, e radicata e vasta

Sbatte e soverchia coll'aerea cima

La nebbia che l'ingombra, asilo e segno

Di meraviglia al cacciator pensoso.

Ma te, Fillan, segue il mio core, e calca

L'ampio sentier della tua fama: il campo

Falcia la destra tua: monti d'ancisi

Fanno inciampo al tuo piè. Foldan, la notte

Scese a tempo in tuo pro: Lena si perde

Tra le sue nubi. Di Catmorre il corno,

La voce di Fingal suonaro a un punto.

Morven l'intese, e con ansante foga

Sen corse al Mora strepitando: i vati

Quasi rugiada riversaro il canto

Raddolcitor di bellicosi affanni.


I

 


Chi vien da Strumo a passo lento e tardo,317

Coll'ondeggiante crin?

Volge ad Erina318 sospirosa il guardo,

Il bel guardo azzurrin.

Bella Evircòma, e chi 'l tuo duce uguaglia?

Tema non turbi il sen.

Raggio di foco egli volò a battaglia,

Raggio di luce ei vien.

Sol ch'egli alzi la spada,

Forza è che senza scudo,

Di schermo ignudo - ogni guerrier sen cada.


II

 


Dolce letizia, qual piacevol aura319,

L'alma restaura - del gran Re possente:

Fervongli in mente - i fatti alti e leggiadri

D'avi e di padri - che son ombra e polve;

E dentro volve - dissipati e spersi

Popoli avversi, - e le memorie amiche

D'imprese antiche; - ed ha fondata speme

Che di valore il seme

Per lui s'eterni; or che, fermando il ciglio

Nell'onorato figlio,

Vede de' padri suoi, siccome ei brama,

Tutta avvivarsi e rinverdir la fama.

Come s'allegra il Sole in oriènte

Sopra un fecondo e vivido arboscello,

In ch'ei col genial raggio possente

Sparse il vital vigor che lo fa bello:

Ei le fiorite chiome alteramente

Spiega, dolce lusinga al venticello;

Cedon le minor piante, e 'l cielo arride:

Così Fingallo al suo Fillan sorride.


III

 


Quale il suono - del tuono sul monte320

Quando al cielo s'offusca la fronte:

Tutto a Lara nel suo corso

Trema il dorso;

Tale il suono di Morven festosa,

Romorosa,

L'alma scote, - l'orecchio percote

Di profondo - giocondo terror.

Tornan essi risonanti,

Siccom'aquile rombanti,

Che s'affrettano anelanti

Alle case frondeggianti;

Già del sangue ancor fumanti

Di cervetti saltellanti,

Di capretti palpitanti,

Che restar conquisi e infranti

Dall'artiglio sbranator.

Figli di Cona ondosa, a risguardarvi,

Di meraviglia gravi,

Fuor degli aerei chiostri,

Vengono i padri vostri, - e vengon gli avi».

Tal fu dei vati la canzon notturna

Sopra il Mora de' cervi. Alzasi un foco

Di cento querce rovesciate; in mezzo

Ferve il convito: vi fan cerchio intorno

I rilucenti eroi; fra lor Fingallo

Facile a ravvisarsi. Al mormorante

Soffio inegual d'occidentali venti

Fischiar s'udiano l'aquiline penne,

Cimier dell'elmo; ei lungo tratto in giro

Volge alternando i taciturni sguardi.

Alfin parlò: Sente il mio cuore un vuoto

Nella nostra letizia, e tra' miei fidi

Scorgo una breccia: d'una pianta altera

Bassa è la cima; urla tempesta in Selma.

Ov'è 'l sir di Dunlora? al mio convito

Obliarlo dovrò? Quand'egli ha mai

Straniero o peregrin posto in oblio

Al convito, alla festa? E pur si tace?

Ah! Conàl non è più: rivo di gioia

Ti scontri, o duce; e rapida ti porti

Falda di vento alle paterne sale.

Ossian, facella è l'alma tua: n'accendi

La memoria del Re; sveglia le prime

Scintille di sua gloria. Era canuta

La chioma di Conallo: i suoi verd'anni

Frammischiarsi co' miei; nel giorno istesso

Ducaro primamente agli archi nostri

Pose le corde, e a farne prova uscimmo

Contro i cervetti di Dunlora.321 Assai,

Diss'io, Conallo, assai calcammo insieme

Sentier di guerra, e ci mirar più volte

I verdi colli d'Inisfela e l'onde

Videro biancheggiar le nostre vele,

Quando alla schiatta di Conarte aita

Recammo armati322. Per Alnecma un tempo

Ruggìa battaglia appo Dutùla323 ondoso.

Dalle di Morven nebulose vette,

Il buon Cormano324 a sostener discese

Ducaro, e non già sol; la di Conallo

Lungo-crinita giovinezza a lato

Stavagli: il garzon prode allor la prima

Ergea delle sue lance; al re d'Erina

Porger soccorso era tuo cenno, o padre.

Uscir con forte impetuosa piena

Di Bolga i figli: precedea Colculla325,

Il signor d'Ata; su la piaggia inonda

La marea della zuffa: ivi Cormano

Brillò di viva luce, e de' suoi padri

La fama non tradì: lungi dagli altri

Di Dulnora l'eroe fea strage e scempio

Del campo ostile, e del paterno braccio

Seguia Conàl le sanguinose tracce.

Pur prevalse Ata: il popolo d'Ullina

Fuggì sperso qual nebbia: allora uniti

Di Ducaro e Conallo i forti acciari

Dier prove estreme di lor posse, e fersi,

Quai due rupi di pini irte le fronti,

Ai nemici, ai compagni inciampo ed ombra.

Scese la notte: dalla piaggia i duci

Si ritrasser pensosi: un rivo alpestre

Al lor cammin s'attraversò; saltarlo

Ducaro non potea326. Perché s'arresta

Il padre mio? disse Conallo, io sento

Il nemico che avanza: ah fuggi, o figlio,

Disse l'eroe, la possa di tuo padre

Già vacilla, e vien meno: alta ferita

Toglie al piè la sua lena; infra quest'ombre

Lascia ch'io mi riposi. Oimè! qui solo

Non rimarrai tu già, Conàl soggiunse

Con profondo sospir, d'aquila penna

Sarà 'l mio scudo a ricoprirti: ei mesto

Curvasi sopra il padre; invano; e' morto.

Il spuntò, tornò la notte; alcuno

Non apparia dei buon cantor solinghi,

In lor profondo meditare avvolti,

Per dar lode all'estinto: e che? potea

Conàl la tomba abbandonar del padre,

Pria che l'onor della dovuta fama

Sciolto gli fosse? Di Dartùla i cervi

Egli ferì di trascurati colpi,

E diffuse il convito: alcun non giunge.

Ei sette notti riposò la fronte

Sulla tomba di Ducaro: lo scorse

Avviluppato di nebbiose falde,

Quasi vapor sopra il cannoso Lego.

Alfin venne Colgàn,327 Colgàno, il vate

Dell'eccelsa Temòra; egli di fama

Sciolse l'omaggio al morto eroe; sul vento

Ducaro salse, e sfavillonne: il figlio

Lieto si volse ad onorate imprese.

Dolce lusinga ad un regale orecchio,

Verace suon di meritata lode,

Disse Fingal, quando è sicuro e forte

L'arco del duce, e gli si stempra il core

Alla vista del mesto. In cotal guisa,

Sia famoso il mio nome, allor che i vati

Co' vivi canti al dipartir dell'alma

Aleggeran la nebulosa via.

Carilo vanne, e coi cantori tuoi

Alza una tomba, ivi Conàl riposi

Nell'angusto abituro: ah non si lasci

Giacer pasto di nebbia alma di prode.

Manda la luna un deboletto lume

Sul boscoso Moilena; a' raggi suoi,

A tutti i prodi che cader pugnando

S'ergan pietre funebri; ancor che un duce

Ciascun non fosse, pur robuste in guerra

Fur le lor destre; ne' perigli miei

Essi furo il mio scoglio, ed essi il monte,

Ond'io presi a spiegar d'aquila il volo.

Quindi chiaro son io. Carilo, i bassi

Non si scordin da noi. Canto di tomba

Alzano i vati. Carilo precede;

Seguon quei gorgheggiando; e la lor voce

Rompe il silenzio delle basse valli,

Che giacean mute co' lor poggi in grembo.

Intesi il lento degradar soave

Del canto dilungantesi, e ad un punto

L'anima isfavillò; balzai repente

Dal guancial dello scudo, e dal mio petto

Scoppiar rotte, incomposte, impetuose

Note di canto. Ode così talvolta

Vecchia dal verno dischiomata pianta

Il sibilo gentil di primavera;

Odelo, e si ravviva, e si fa bella

Di giovinette spoglie, e scote al vento

Le rinverdite sue tremule cime.

Dolce ronzio di montanina pecchia

Errale intorno, e al rinnovato aspetto

Dell'erma piaggia, il cacciator sorride.

Stava in disparte il giovincel di Clato,

Raggio di Selma; avea disciolto il crine,

L'elmetto a terra scintillava. A lui

Del Re la voce si rivolse, ed egli

L'udì con gioia. O figlio mio, del padre

Tue chiare gesta rallegraro il guardo.

Meco stesso diss'io: l'avita fama

Scoppia dalla sua nube, e si riversa

Sul figlio mio: sei valoroso in guerra,

Sangue di Clato, il pur dirò; ma troppo

Temerario t'avanzi: in cotal guisa

Non combatteo Fingal, benché temenza

Fossegli ignoto nome. Alle tue spalle

Sienti le genti tue riparo e sponda.

Son esse il nerbo tuo. Così famoso

Sarai tu per lunghi anni, e de' tuoi padri

Vedrai le tombe. E' mi ricorda ancora,

Quando dall'oceàn la prima volta

Scesi alla terra dall'erbose valli.

Io mi sedea...328 Noi ci curvammo allora

Ver la voce del Re: s'affaccia agli orli

Di sua nube la luna, e si fa presso

La nebbia, e l'ombre de' nebbiosi alberghi

Già di vaghezza d'ascoltarlo accese.


 




294 - Fingal , figlio di Comal e di Morna.



295 - A ragione chiama Ossian qusta spedizione ultima de' campi di Fingal, perché come vedremo nel canto VIII, egli dopo la vittoria depose per sempre il comando delle guerre, e lo rinunziò ad Ossian medesimo.



296 - Così chiama la spada di Fingal, perché lavorata da Luno, celebre fabbro di Loclin, ch'era come il Vulcano del nord..



297 - Morni, padre di Gaulo, innanzi di morire, ordinò che la sua spada, la qual conservasi nella famiglia, come una reliquia, fino dai giorni di Colgach il più famoso dei suoi antenati, fossegli posta a lato del suo sepolcro, commettendo nel tempo istesso a suo figlio di non levarla di , se prima non fosse ridotto all'estremo pericolo. Poco dopo essendo due fratelli di Gaulo uccisi da Colderonnan signore di Clutha, egli andò al sepolcro del padre per prendere la spada. Ossian avea composto un poema su questo soggetto, di cui non rimane altro che l'invocazione di Gaulo allo spirito del morto eroe.



298 - Essendo stato Ullino spedito in Morven col corpo di Oscar, Ossian sta appresso suo padre in qualità di primo cantore.



299 - Accenna indirettamente la sua determinazione di rinunziar il comando.



300 - Seguono tre canzoni militari. La prima tende ad incoraggiar i soldati caledonj.



301 - La seconda canzone è diretta a Gaulo. Si cerca di accenderlo maggiormente alla guerra, presentandogli l'immagine di suo padre Morni, guerriero ferocissimo, in atto di scagliarsi contro i nemici.



302 - Si accenna ad una spedizione di Morni presso il Clutha nel paese de' Britanni. Clutha, o Cluath è il nome celtico del fiume Clyde.



303 - Era questi uno degli antenati di Gaulo, figlio di Morni e sembra certo ch'egli sia stato re o vergobreto de' Caledonj; dal che poi ebbero origine le pretensioni della famiglia di Morni al trono, che produssero molte molestie sì a Comal padre di Fingal, che a Fingal medesimo.



304 - Morni è spesso distinto con questo titolo, a differenza di tutti gli altri guerrieri caledonj. Convien dire ch'egli, più degli altri facesse uso del carro, o che avesse fatto qualche preda non indifferente di cavalli sopra i Danesi o i Romani, che l'avesse poi reso celebre.



305 - Fillano è l'oggetto della terza canzone.vuolsi inspirar a questo giovine guerriero un valore temprato da dolcezza ed umanità, e gli si propone per modello suo padre Fingallo, dipingendolo nel punto che ritorna da una battaglia.



306 - Il tronco acceso della quercia per illuminare la notte.



307 - Il poeta s'immagina che i Caledonj, che non avevano accompagnato Fingal alla guerra, restino meravigliati di vederlo tornare così placido.



308 Il monte di Cromla era in vicinanza della scena del poema ch'è a un dipresso la medesima con quella di Fingal.



309 - Tormo. Sarà forse un ruscello in Morven. Non se ne parla in altri luoghi.



310 - Non essendosi accorto ch'è agghiacciato.



311 - Parole di Catmor.



312 - Tal era a que' tempi l'opinione intorno l'infelice stato dell'anime ch'erano seppellite senza il canto funebre.



313 - Cathmor.



314 - Oichaoma, la sposa di Turlato.



315 - Dun-lora, contrada di Morven



316 - Fillano era stato spedito da Gaulo per opporsi a Cormul che s'era posto in imboscata alle spalle de' Caledonj. Si scorge che Cormul era stato ucciso da Fillano, altrimenti il giovane non si sarebbe impadronito del suo scudo. Il poeta, essendo intento all'azioni principali, passa leggermente su questo fatto di Fillano.



317 - Seguono tre canzoni per la vittoria, come tre se ne cantarono per la battaglia: ma l'ordine di queste è diverso. La prima è diretta a Gaulo. Si introduce in essa la sposa di quel guerriero, che ne aspetta ansiosamente il ritorno.



318 - Evir-choama, moglie di Gaulo. Ell'era figlia di Casdu-conglas, signor d'Idronio, una dell'Ebridi.



319 - Segue la seconda canzone per Fillano.



320 - La terza canzone si indirizza a tutto il corpo delle truppe caledonie. Il traduttore si studiò d'imitar col suono lo schiamazzo d'un armata vittoriosa.



321 - Dopo la morte di Comal, e durante l'usurpazione della tribù di Morni, Fingal venne educato privatamente da Duthcaron. Fu allora ch'egli contrasse con Conal figlio di Duthcaron quella intrinsichezza, per cui ora tanto s'affligge della sua morte.



322 - S'intende in tempi posteriori alla spedizione accennata qui sotto, poiché, al tempo di essa, Ossian non era ancora nato. La famiglia di Atha tentò più volte di sconvolger la successione nella stirpe di Conar.



323 - Duth-ula, acqua oscuro-lanciantesi, fiume nel Connaught.



324- Cormac figlio di Conar, secondo re d'Irlanda della stirpe de' Caledonj. La sollevazione dei Fir-bolg accennata in questo luogo accade verso il fine del lungo regno di Cormac.



325 - Colc-ulla. Era questi fratello di quel Borbar-duthul, che fu padre di Cairbar e Cathmor.



326 - Essendo ferito mortalmente.



327 - Colgan, figlio di Cathmul era il principal cantore di Cormac, figlio di Conar, re d'Irlanda.



328 - Fingal si accinge a raccontar la storia che troveremo nel principio del canto seguente. L'attenzione dei guerrieri Caledonj interrompe naturalmente il filo della narrazione e riposo ai lettori.






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