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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
S'alza Catmòr376? che fia? l'acciar di Lona
Fingallo impugnerà? ma che fia poscia
Di tua fama crescente, altero germe
Della candida Clato377 ? Ah! dal mio volto
Non torcer no l'annuvolato sguardo,
O figlia d'Inistor378: non fia ch'io copra
Col mio chiaror quel giovinetto raggio379
Ei mi brilla sull'alma. Oh colle falde
Degli aerei tuoi boschi alzati, o Mora,
Fra la battaglia e me: perché degg'io
Starmi la pugna a risguardar, per tema
Che cader debba anzi il suo tempo spento
Il mio guerriero dalla bruna chioma?
Lungi il tristo pensier: confuso suono
Chiuda al fragor della battaglia il varco.
Carilo, della leve arpa tremante
Sgorga fra' canti il suon: qui delle balze
Son pur le voci, e delle onde cadenti
Il grato sussurrar. Padre d'Oscarre380,
Tu solleva la lancia, al giovinetto
Porgi soccorso381; ma i tuoi passi ascondi
Agli occhi di Fillano: ah non conosca
Il pro' garzon ch'io del suo acciar diffidi.
No, figliuol mio, non sarà mai che sorga
Sulla tua luminosa alma di foco
Nube per me, che la raggeli o abbui.
Dietro il suo poggio ei si ritrasse al suono
Della voce di Carilo: io gonfiarsi
Sentiimi l'alma; e palpitante presi
La lancia di Temòra382. Errar io scorsi
Della zuffa di morte, armati ed arme
Ravviluppati, scompigliate schiere,
Qual ferir, qual fuggir. Fillan trascorre
Per l'oste, e ne fa scempio, e d'ala in ala
Foco devastator desola e passa.
Tutti dinanzi a lui stempransi i solchi
Della battaglia, e van qual fumo al vento.
Ma in suo regale bellicoso arnese
Scende Catmòr: dell'aquila temuta
Sull'elmetto di foco: ei move al campo
Spregiantemente in suo valor securo,
Come se d'Ata lo chiamasse ai boschi
Festosa caccia: sollevò più volte
La terribil sua voce. Udillo Erina,
E si raccolse; l'anime de' suoi
Che svanian per timor, corsero addietro
Quasi torrenti, e meraviglia ed onta
Ebber di lor temenza: in cotal guisa,
Quando il mattino le pendici indora,
Lo sbigottito peregrin si volge
Con protesi occhi a risguardar la piaggia,
Orrido campo di notturni spettri;
E in quel vivo chiaror prende conforto.
Fuor della rupe di Moilena, scossa
D'improvviso tremore, uscì Sulmalla
Incespicante, vacillante; un ramo
D'ispida quercia attraversossi; e l'asta
Di man le trasse; ella nol sente; intesa
Pendea col guardo sopra il duce. O bella,
Non è dinanzi a te piacevol tresca,
Né scherzosa tenzon d'archi e di strali,
Siccome allor che di Gomòr agli occhi383
Fe' di sé mostra il giovine di Cluba.
Qual la rupe di Runo, allor che afferra
Le scorrevoli nuvole pei lembi
Della lurida veste e le si addossa,
Sembra ingrandir sopra la piaggia ondosa
In sua raccolta oscuritade; il duce
D'Ata così farsi maggior parea,
Mentre a lui folta raccoglieasi intorno
L'armata Erina. Come varj nembi
Volan sul mare e ciascun d'essi innanzi
La sua fosco-cerulea onda sospinge;
Tal d'ogni lato di Catmòr le voci
Sospingean grossa onda d'armati. E muto
Non è Fillan sotto il suo poggio; ei mesce
L'alta sua voce all'echeggiante scudo:
Aquila ei par che le sonanti penne
Batte con forza, e a secondarne il corso
Chiama i rapidi venti allor che scorge
Lungo la valle del giuncoso Luta384
Errar in frotta cavrioli e damme.
Si curvano, s'azzuffano: le cento
Voci di morte odi suonar; l'aspetto
De' due gran Duci, dei guerrier gli spirti
Incendea di magnanime faville.
Io corsi a slanci; ma massi, ma tronchi
Dirupati, ammontati inciampo al piede
Feano e ritardo: udii d'acciaro intorno
Un forte strepitar; m'accosto alfine.
Erto sul poggio rimirai dell'una
Oste e dell'altra i minacciosi passi
Lentamente aggirantisi, e le luci
Torvo-guardanti: tenebrosi e grandi
Per le scintille del lucente acciaro
Gli eroi scorgeansi passeggiar spiranti
Fero riposo: i due campioni alteri
S'eran già scontri in sanguinosa zuffa.
Precipitai, che per Fillan m'assalse
Subita tema e mi distrinse il core.
Giunsi; Catmòr mi vide, e non pertanto
Non s'avanzò, non s'arretrò; di fianco
Sol seguiami col guardo; alta di ghiaccio
Massa ei parea: ratto all'acciar mi corse
La destra e l'alma. In sull'opposto margo
Del rio corrente a passeggiar ci stemmo
Un cotal poco, indi rivolti a un tratto
Sollevammo le lance; a separarci
Scese la notte; è tutto bujo intorno,
Tutto silenzio, se non quanto ascolti
Lo scalpitar delle disperse schiere.
Io venni al luogo ove Fillan poc'anzi
Pugnato avea: che fia? voci non sento,
Suono non odo: uno spezzato elmetto
Giacea sul suolo, e in due fesso uno scudo.
Fillano ove se' tu? parla, gridai,
Figlio di Clato. Egli m'udì, le stanche
Membra appoggiato ad un alpestre masso,
Che sul rivo sporgea la grigia fronte:
M'udì, ma torvo lì si tenne, e fosco.
Alfin vidi l'eroe; perché vestito
Ti stai d'oscurità, gli dissi, o luce
Della schiatta di Selma? il tuo sentiero
Isfavillò nel tenebroso campo:
Lunga finora e perigliosa, o prode,
Pugna pugnasti, or di Fingallo il corno
S'ode squillar; la nubilosa vetta
Ascendi, ov'egli tra la nebbia assiso
Porge all'arpa di Carilo l'orecchio;
Reca gioja all'antico, o giovinetto
Di scudi infrangitore. - Arrecar gioja
Può forse il vinto? io frangitor di scudi?
Più scudo, Ossian, non ho; spezzato ei giace
Là sulla piaggia, volano dell'elmo
Stracciate e sparse l'aquiline penne:
Non s'allegra su i figli occhio di padre,
Fuorché quando il nemico in fuga è volto
Dai loro brandi; ma qualor son vinti
Mal celati ne scoppiano i sospiri.
No, no, Fillan del genitore al guardo
Non s'offrirà più mai: perché degg'io
Recar onta all'eroe? - Fratello amato,
A che sì fosco l'anima m'attristi?
Foco ardente tu fosti: ed allegrarsi
Non dovrassene il padre? Ossian non ebbe
La gloria tua385; pur meco il Re fu sempre
Placido Sole; ei risguardò con gioja
Sopra i miei passi, e sul sereno volto
Mai non sorse per me nube di sdegno.
Poggia, o Fillan, sul Mora: il suo convito
Colà t'attende. - Ossian, lo scudo infranto,
Arrecami, raccoglimi le penne
Ch'errano al vento, perché men si perda
Della mia fama, le mi poni accanto.
Ossian, io manco: in quel concavo sasso
Ripommi; ma non s'alzi alcuna pietra
Sulla mia tomba, onde talun non chiegga
Delle mie gesta: il primo de' miei campi
Fu pur l'estremo; anzi il mio tempo io caddi,
E caddi senza onor: sol la tua voce
Ah non sappia il cantor qual sia la stanza
Ove soggiorni d'immatura morte
Spento Fillan: svenne in ciò dir. - Fratello,
Errando or va su i vorticosi venti
Lo spirto tuo? gioja t'inondi e segua
Sulle tue nubi: già l'eccelse forme
De' tuoi padri, o Fillan, stendon le braccia
Per accogliere il figlio: alto sul Mora
Sparse vegg'io le lor fiammelle, io veggo
Le lor vesti ondeggiar: fratel mio dolce,
Gioja ti scontri; ella è per noi già spenta,
Siam foschi e mesti: ah che 'l nemico accerchia
L'eroe canuto, e già vacilla e langue
L'alta sua fama: o regnator di Selma,
Tu sei solo nel campo, ohimè, sei solo.
Nello speco il riposi appresso il rugghio
Del notturno torrente; in sul guerriero
Guardava d'alto una rossiccia stella,
E i venti sollevavano buffando
Il nero crin: stetti in orecchi a corne
Alcun soffio vital; soffio non spira,
Che dormiva l'eroe sonno di morte.
Come balen sopra una nube striscia,
Improvviso pensier: rizzomi, in foco
Rotan le luci mie, movo squassando
L'arme sonanti: o duce d'Ata, attendi,
M'attendi, io vengo a te, voglio scontrarti
Là fra' tuoi mille: e soffrirò che sfugga
Quella nube feral, che acerbamente
Spense quell'astro giovanile? O ombre
De' padri miei, sui vostri poggi adesso
Tutte accendete le meteore vostre,
E all'audace mio piè fatevi scorte.
Struggerò, sperderò... ma s'io non torno?
Il Re non ha più figli; egli è canuto
Fra' suoi nemici; al braccio suo già manca
L'antica possa; oscurità minaccia
La sua vecchiezza: ah non sia mai ch'io 'l vegga
D'alto giacer sul sanguinoso campo.
Tornisi a lui: come tornar? che dirgli?
Non chiederà del figlio suo novella?
Fillan fu a te commesso; ov'è? mel serbi,
Mel difendi così? rampogna atroce!
Su s'affronti il nemico: Erina, Erina,
Mi scaglio sopra te; godo al rimbombo
Dell'oste armata; nel tuo sen la tomba
Grata mi fia; l'inferocito sguardo
Sol si sfugga del padre. Oh, là dal Mora
Non ascolto una voce? egli è Fingallo,
Che chiama ambi i suoi figli: io vegno o padre,
Io vegno a te nel mio cordoglio amaro.
Aquila sembro, cui notturna fiamma
Scontrò là nel deserto, e lasciò spoglia
Della metà di sue robuste penne.
Già Morven scompigliata in rotte bande
Vien respinta sul Mora: ognun confuso,
Dagli altri, e più dal Re stassi in disparte;
Ognun torbido e tacito si curva
Sulla lancia di frassino: sta muto
Fingallo in mezzo a' suoi: dentro il suo spirto
Pensier sopra pensier volvesi, come
Onda sopr'onda in su romito lago
Col suo dorso di spuma, ei guarda intorno,
Né scorge il figlio sollevar la lancia
Lungo-raggiante: alto dal petto e grave
Gli esce un sospir, ma lo reprime: io venni,
Sotto una quercia mi gettai, né udissi
La voce mia: che dir poteva al padre,
In quel punto d'affanno? Ei parla alfine,
E il popolo protendesi ad udirlo,
Lento, aggrottato, tra vergogna e doglia.
Ov'è il figlio di Selma, il garzon prode
Condottier di battaglia? io nol riveggo
Tornar a me fra le festose grida
Del popol mio: dunque cadéo trafitto
Onor de' nostri poggi! ei cadde al certo,
Poiché siete sì muti: infranto giace
Lo scudo di mie guerre.Orsù dappresso
Stiasi a Fingallo il suo guerriero arnese,
E la spada di Luno; acerbo colpo
Mi risveglia e mi scuote: io col mattino
Scendo a pugnar; voi m'intendete, io scendo.
Alto di Cormo in su l'alpestre vetta
Arde al vento una quercia; erra d'intorno
La grigia nebbia in sinuose falde.
Il Re tre volte passeggiò spirante
Bellicoso furor: sempre dall'oste
Ritrarsi egli solea, qualor nell'alma
Gli ardea battaglia; a due grand'aste infitto
Pendea d'alto il suo scudo, il scintillante
Segno di morte, il paventato scudo,
Ch'ei percoteva infra gli orror notturni,
Pria che movesse a battagliar: le schiere
Conoscevano allor, che il Re la pugna
Guidar dovea; che quel fragor soltanto
Del furor di Fingallo era foriero.
Scomposto passo e disugual, focoso
Sguardo, torbida fronte in lui si scorge,
Mentr'ei sfavilla della quercia al lume,
Terribile a mirarsi a par del tetro
Spirito della notte, allor ch'ei veste
Di densa nebbia il suo feroce aspetto,
E di tempeste spargitor sul dorso
Del turbato oceàn carreggia i venti.
Né già dalla passata aspra tempesta
Era del tutto abbonacciato il mare
Della guerra d'Erina: odi sul campo
Un aggirarsi, un bisbigliar confuso
Dell'inquiete schiere. Innanzi agli altri
Solo è Catmorre, e coll'acciaro incalza
Di Morven fuggitiva i sparsi avanzi.
Giunto era appunto alla muscosa grotta
Ove giacea Fillàn: curva una pianta
Ombrava il rio che dalla rupe spiccia.
Ivi ad un raggio tremulo di Luna
Scorgesi luccicar l'infranto scudo
Del garzone di Clato, e presso a quello
Brano velluto il piè giacea sull'erba.
Egli sul Mora avea smarrito il Duce,
E lungo tempo lo cercò sul vento.386
Ei si credea che in placido riposo
Il vago cacciator dal guardo azzurro
Fosse addormito, e colla testa inchina
Sopra il suo scudo ad aspettar si stava
Ch'ei si svegliasse; una liev'aura, un soffio
Non passò sulla piaggia inesplorato
Dal fido Brano, avido pur che questo
Del suo dolce signor fosse il respiro.
Ferì lo sguardo di Catmorre il veltro
Dal bianco petto, lo ferì la vista
Del brocchiero spezzato; oscuritade
L'anima quasi nuvola gli adombra:
Rammenta il breve fuggitivo corso
Della vita mortale: un popol viene,
È corrente ruscel; svanisce, è soffio.
Altra schiatta succede; alcun fra tanti
Segna però nel suo passaggio il campo
Co' suoi possenti e gloriosi fatti.
Egli la muta oscurità degli anni
Signoreggia col nome; alla sua fama
Serpe un garrulo rivo, ella rinverde.
Tal sia d'Ata il guerrier, qualora ei prema
Colle membra il terren: possa la voce
Della futura eta387 Catmor già spento
Scontrar spesso nell'aere allor ch'ei spazia
Di vento in vento, o a visitar si curva
Su le penne d'un nembo i poggi suoi.
D'intorno il Re la vincitrice Erina
Lieta si strinse, ad ascoltar le voci
Del suo poter: con disuguali scorci
Vedi piegarsi alla fiammante quercia
Le giojose lor facce: allontanati
Son pur quinci i terribili, pur Luba
Fra la lor oste a serpeggiar ritorna.388
Catmor, raggio del ciel, la tetra notte
Che 'l suo popol premea, sgombrò d'intorno,
E gli spettri fugò: ciascun l'onora,
E festeggia ed applaude: al suo cospetto
S'alzan tremanti di letizia i cori;
Tutto è pieno di gioja; il Re soltanto
Gioja non mostra, il Re non novo in guerra389.
Sir di Temòra, a che sì fosco? disse
Malto il guerrier dall'aquilino sguardo:
C'è nemico sul Luba? hacci chi possa
L'asta rizzar? così pacato e dolce
Non fu già Borbarduto, il sir dei brandi,
Tuo genitor: contro i nemici in petto
Gli ardea di rabbia inestinguibil vampa,
E si struggea di furibonda gioja
Sulla lor morte: festeggiò tre giorni
L'eroe grigio-crinito, allor che intese
Ch'era spento Calmàr, Calmàr di Lara,
Che ad Ullina e a Cormàn porse soccorso390.
Spesso ei toccò con la sua man l'acciaro,
Che trapassò del suo nemico il petto391:
Ei lo toccò che per l'età già spente
Avea le luci. Ma co' fidi suoi
Era egli un sole, una piacevol aura
Sollevatrice d'abbassati rami.
Nelle sue sale la gioiosa conca
Sonar s'udiva; ché onorati e cari
Gli eran di Bolga i figli: ora il suo nome
Rimane in Ata, venerato, augusto,
Qual ricordanza d'ombre, il cui sembiante
Desta terror, ma le tempeste e i nembi
Sgombra col soffio. Or via d'Erina i canti
Sollevino lo spirto, e infondan gioja
In petto al Re, che sfavillò nel bujo
Della battaglia, ed atterrò gagliardi.
Di quella roccia sul ciglion petroso,
Fonar, t'assidi; degli andati tempi
Sgorga le storie, e se n'allegri Erina
D'intorno assisa. A me, Catmor riprese,
Canto non s'alzerà; per me Fonarre
Sullo scoglio del Luba invan s'asside;
Son qui bassi i possenti392: i loro spirti
Deh non turbiam con importuno canto
Mentre salgon nell'aere: applausi o lodi
Da me stien lungi: io non m'allegro, o Malto,
Sul nemico giacente, e che non puote
Venir più meco al paragon del brando.
Alla pugna pensiam: doman s'adopri
La nostra possa; uopo n'è ben, Fingallo
Sul poggio suo, l'alto Fingallo è desto.
Come al soffiar di poderoso vento
Onde respinte, ritirossi Erina
Alla voce del Re: spargonsi intorno
Romoreggiando le guerresche torme
Per lo campo notturno: ogni cantore
Sotto l'albero suo s'assise, e l'arpa
Toccò, coi canti sollevando al cielo
Quel duce393 o questo a lui più stretto e caro.
Sulmalla anch'essa della quercia al raggio
Della piacevol arpa, e udia frattanto
Tra i lunghi crini sibilar l'auretta.
Stava non lungi sotto annosa pianta
Il campion d'Ata; della fiamma il lume
Non fiedea la sua faccia, egli la bella
Vedea non visto, l'anima di furto
Ver lei gli scappa in un sospir, mirando
Quel timidetto sguardo; invan: battaglia,
D'Erina o condottier, battaglia hai presso.
Pian piano discorrevano sull'arpa
Le molli dita di Sulmalla: il suono
Tratto tratto sofferma, e pur ascolta
Se riposi l'eroe: riposo è spento
Nel petto della vergine, e sol brama
Dar, non udita di canzon dolente
Dolce conforto all'amoroso affanno.
Alfin sulle lor ale ai loro alberghi
Tornano i nembi della notte: omai
Cessar le voci de' cantori: intorno
Van volteggiando co' suoi spirti in grembo
Rosse meteore; si rabbuja il cielo,
E frammiste alle nubi il fan più fosco
Le forme della morte: allor si curva
Sopra la bassa illanguidita fiamma
La figlia di Gomorre: o campion d'Ata,
In quell'alma d'amor tu solo alberghi:
Odi il dolce arpeggiare, odine il canto.394
Che la diletta figlia avea smarrita.
Dove, dove se' ita
Luce delle mie sale? O cacciatori
De' cervetti la traccia? - Ohimè che scorgo!
Non è quello il suo arco
Alla parete appeso?395 Oh me dolente!
Luce delle mie sale, ove se' ita?
Resta in pace, o madre amata396,
Del mio duce io seguo il corso,
A lui solo ho volto il guardo,
Solo in lui confitto ho 'l cor.
Nelle falde di guerra, e non si volge
A mirar le mie pene, il mio desio:
Che non m'arrechi il desiato giorno?
Veglia nell'ora del comun riposo
Tutto rugiada ho 'l crine: o mio bel Sole,
Sol dell'anima mia, volgiti omai.