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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Come allor che di verno orrido vento

L'onde del lago della rupe afferra

Tenacemente in tempestosa notte,

E le inceppa di ghiaccio, al guardo incerto

Del mattutino cacciator da lungi

I biancheggianti cavalloni ondosi

Sembrano ancora diguazzarsi; ei tende

L'orecchio al suon dei disuguali solchi;

Ciascuno è cheto, luccicante, e sparso

Di rami e sterpi e di cespugli e d'erbe,

Squassanti il capo, e zufolanti al vento

Su i lor grigi di brina aspri sedili;

Così mute al mattin splendean le file

Delle morvenie squadre. Ogni guerriero

Fuor dell'elmetto traguardava al colle,

Ove Fingallo fra la nebbia avvolto

Si mostra e cela. Ad or ad or l'eroe

Scorgesi in maestosa oscuritade

D'arme sonando passeggiar; battaglia

Di pensier in pensier fosca si volve

Lungo la poderosa anima audace.

Miralo, ei scende, ei vien: primo comparve

L'acciar di Luno: da una nube a mezzo

Spuntava l'asta, foscheggiava ancora

Fra la nebbia il brocchier, ma quando il Duce

Tutto quant'era in suo regal sembiante

Chiaramente visibile avanzossi,

Crollando i grigi rugiadosi crini,

Allor le voci clamorosi alzarsi

Dell'oste sua che gli si strinse intorno:

Terribil gruppo; e un echeggiar di scudi

L'aer di lungo mormorio percosse.

Tal si scuotono, s'alzano, rimbombano

I flutti intorno ad un aereo spirto,

Che per la via scorrevole del vento

Cala sul mare: il peregrin sul balzo

Ode l'alto fragor, declina il guardo

Sopra il turbato golfo, e vede, o pargli

Veder la fosca formidabil forma:

Torreggian l'onde imbizzarrite, e fanno

Dell'inquiete terga archi spumosi.

Di Dutno il figlio, il battaglier di Strumo,

E di Cona il cantor stavan prostesi

Sotto l'albero suo; ciascun da lungi

Stava; ciascuno vergognoso il guardo

Sfuggia del Re; ché i nostri passi in campo

Non seguì la vittoria419. Un picciol rio

Scorreami innanzi; io nella lucid'onda

Gìa diguazzando la punta dell'asta

Sbadatamente ché colà non era

D'Ossian lo spirto; ei s'avvolgea confuso

Tra varie cure, e ne mettea sospiri.

Figlio di Morni, il Re parlò, Dermino

Di damme cacciator, perché vi state

lagrimosi, taciturni, immoti?

Con voi Fingal non ha rancor; voi sete

Mia forza in guerra, e mia letizia in pace.

Ben vi sovvien, che una piacevol aura

Fu la mia voce al vostro orecchio, allora

Che per la caccia ripuliva i dardi

Il mio Fillàn; ma il mio Fillano adesso

Ah non è qui... né qui la caccia! Or via,

Perché vi state sì lontani e foschi,

Spezzatori di scudi? Ambo avviarsi;

Miraro il Re, che avea volta la faccia

Verso il vento di Mora: onda di pianto

Scappava all'occhio per l'amato figlio;

Che nell'antro dormia; pur si rivolse,

E sedato parlò: Cromala alpestre,

Campo di venti, a cui corona intorno

Fanno boscose balze, e nebbia eterna,

L'ondoso rugghio del ceruleo Luba

Sgorga alla vista; dietro a lui serpeggia

Il chiaro Lava per la cheta valle.

S'apre nel fianco della rupe un antro

Profondo e cupo: sopra quello un nido

Aquile altere di robuste penne

Fanvi e dinanzi spaziose querce

S'odono al vento strepitar di Cluna.420

Qui colla bionda giovenil ricciaja

Sta Feradarto, l'occhiazzurro figlio

Del buon Cairba regnator d'Ullina.

Ei qui la voce di Condano ascolta,

Mentre canuto a quella fioca luce

Curvasi e canta; il giovine in un antro

Ne ascolta il canto, ché Temora è fatta

Stanza de' suoi nemici. Egli talvolta

Esce a ferir le saltellanti damme,

Quando la densa nebbia il campo adombra.

Ma come spunta il Sol, più non si scorge

Lungo il rio, presso il balzo; egli la stirpe

Fugge di Bolga che locossi altera

Nel seggio de' suoi padri. Or voi n'andate,

Fidi miei duci, e gli recate annunzio,

Che, i di lui dritti a sostener, la lancia

Fingallo impugna; e che i nemici suoi

Dell'usurpato suo regal retaggio

Non andran forse trionfanti e lieti.

Alza lo scudo poderoso, o Gaulo,

E proteggi il garzon; tu di Temòra

Rizza l'asta, o Dermin; dentro il suo orecchio

Tu la dolce armonia, Carilo infondi;

E le gesta de' padri a lui rammenta.

Siagli tu scorta ver Moilena erbosa,

Campo dell'ombre ch'io di mi spingo

Fra la torbida mischia: anzi che scenda

La buja notte, di Dumòra il giogo

Fa di salir, indi rivolgi il guardo

Verso l'irriguo Lena: il mio vessillo

Se qui vedi ondeggiar spiegato al vento

Sopra il lucido Luba, esso diratti,

Che di Fingal l'ultimo campo ai tanti

Della sua scorsa etade onta non reca421.

Tacque; e a' suoi detti s'avviaro i duci

Lenti, accigliati, taciturni: obliquo

Volgeano il guardo sull'armata Erina,

Foschi per doglia, che non mai dal fianco

Si spiccaron del Re, qualor di guerra

Ruggia tempesta: dietro lor movea

Grigio-crinito Carilo, sovente

L'arpa toccando; ei prevedea l'alterna

Strage, e suono mettea flebile e basso,

Quasi d'auretta querula, che a scosse

Vien dal cannoso Lego, allor che il sonno

Pian pian sul ciglio al cacciator discende.

Ma di Cona il cantor perché sta chino

su quel rio? disse Fingallo: è questo,

Padre d'Oscàr, tempo di lutto? in pace

Si rimembrin gli eroi, dacché 'l rimbombo

Degli scudi cessò: curvati allora

Nella tua doglia, e coi sospiri accresci

L'aure della montagna; allora in folla

Schierinsi innanzi al tuo angoscioso spirto

Gli abitatori della tomba amati.

Or vedi Erina minacciosa e fosca

Che sul campo precipita; mio figlio

Alza il tuo scudo; ah figlio mio son solo.

Qual talor subitana aura di vento

D'Inisuna sul mar fere una lenta

Nave, che torpe in odiosa calma,

E la sospinge a cavalcar sull'onde;

Così la voce di Fingal riscosse

Dal torpor di tristezza Ossian, e al campo

Riconfortato lo sospinse. Alzai

Lo scudo mio, che gìa spargendo intorno

Nel bujo della zuffa omai vicina

Torbida luce, qual di smorta Luna

Nei lembi d'una nube, anzi che sorga

Tenebrosa tempesta. Ecco dal Mora

L'aspra guerra precipita: Fingallo

Guida i suoi prodi, il gran Fingal: sull'alto

Veggonsi sventolar l'altere penne

Dell'aquila temuta: i grigi crini

Scendon sull'ampie spalle: avanza il passo

Come tuon fragoroso; egli a' suoi duci

Spesse mettenti dall'acciar scintille,

E dal monte scagliantisi sovente

Lo sguardo animator volge, e s'arresta

Fermo e grande a veder: rupe il diresti,

Che sotto il ghiaccio incanutisce e il vento

Frange coi boschi; dall'irsuta fronte

Spiccian lucidi rivi, e infranti al balzo,

Spruzzano i nembi con l'occhiuta spuma.

Giunse all'antro di Luba, ove giacea

Muto Fillàn: su lo spezzato scudo

Stavasi Brano cheto cheto; al vento

Sparse dell'elmo erravano le penne,

E colla punta luccicante uscia

Fuor delle foglie d'arida ginestra

La lancia del garzon. Dolor sconvolse

L'alma del re, qual improvviso turbo

Sulla faccia del lago; altrove il passo

Rivolse in fretta, e si curvò sull'asta.

Ma saltellando al calpestio ben noto

Del passo di Fingal, festoso accorse

Brano dal bianco petto; il fido veltro

Accorre, e accenna, e guaiola, e risguarda

Pur alla grotta, ove giacea prosteso

L'amato cacciator, ch'egli solea

Spesso guidarlo all'albeggiar del giorno

De' cervetti al covil: Fingallo il pianto

Più non ritenne; tenebrìa di doglia

Gli adombrò tutta l'anima: ma come

Forte vento talor spazza repente

Le tempestose nubi, e al sole aperti

Lascia i lucidi rivi e i colli erbosi;

Tal la possente immagine di guerra

Rischiarò l'alma annuvolata: il Luba

Fermo sull'asta sua varca d'un salto,

Batte lo scudo; a quel rimbombo l'oste

Pinsesi in fuor col minacciante acciaro.

paurosa di battaglia il segno

Erina intese; ella s'avanza: oscuro

Malto traguarda dal velluto ciglio;

Presso gli è Idalla, amabil raggio; il torvo-

Guardante Maronnàn seguelo; inalza

L'acuta asta Clonàr; Cormiro al vento

Scuote la chioma cespugliosa; avanza

Dietro la rupe maestoso e lento

D'Ata l'eccelso eroe; prime spuntaro

Le due lance del Duce, indi comparve

La metà del brocchier, meteora in notte

Su la valle dell'ombre; intero alfine

Rifulse e grandeggiò; l'un oste e l'altra

Scagliasi allora nella zuffa, e l'arme

Già già pria di ferir pugnan coi lampi.

Quai con tutta di lor poderose onde

La formidabil massa a scontrar vansi

Due procellosi mari allor che intorno

Lo scoglioso Lumon, rombar le penne

Odon dei venti; sfilano sul balzo

L'ombre combattitrici: sul profondo

Precipitosi piombano spezzati

Diradicati boschi, e fansi inciampo

Delle sconce balene ai passi ondosi;

Tai si mischian le armate: ora Fingallo,

Or s'avanza Catmor; morti su morti

Tombano in folla: degli eroi su i passi

Sgorgano scintillanti onde d'acciaro;

E quindi e quinci ai lor fendenti a terra

Va un monte d'elmi, ed un filar di scudi.

Ecco per mano di Fingal percosso

Stramazza Maronnano, e col suo corpo

Attraversa il ruscel: s'ammassan l'onde

Sotto il suo fianco, e gorgogliando balzano

Sul cerchiato brocchiero: è trafitto

Da Catmorre Clonàr422, né però il duce

Preme il terreno; una ramosa quercia

nel suo cader gli afferra il crine: al suolo

Rotola l'elmo, abbandonato pende

Dalla ciarpa lo scudo, e vi serpeggia

Il nero sangue in grossi gorghi: ahi lassa!

Tu piangerai bella Tlamina423, e spesso

Farà la chiusa mano oltraggio al petto.

Né l'asta Ossian scordò; con essa il campo

Sparge di morte: il giovinetto Idalla,

Leggiadra voce dell'ondoso Clora,

S'avanza: ohimè, perché la lancia arresti424,

Mal accorto, perché? scontrato innanzi

T'avessi altrove alla tenzon del canto!

Malto basso lo vede, egli s'offusca425,

E mi sguarda, e s'avventa: ambi curviamci,

Ambi la lancia...Ecco repente il cielo

Rabbujasi, raggruppasi; rovesciasi

Stemprato in pioggia procellosa: intorno

Alle voci ululabili dei venti

Rimugge il bosco: or quel colle, or questo

Vestono falde d'abbagliante foco,

E in tempestosi vortici di nebbia

Rotola il carro assordator del tuono.

Fra lo scompiglio e fra l'orror tremanti

Rannicchiarsi i nemici, e sbalordita

Di Morven l'oste si ristette: io fermo

Mi tenni pur sopra il ruscel, lasciando

In preda ai venti il crin fischiante. Io sento

La voce di Fingal, sento le grida

Del fuggente nemico: accorro, il padre

Cerco, ma scappa al guardo; un incessante

Alternar di baleni e di tenebre

Lo mostra a mezzo, e tosto il cela; or l'elmo

Traspare or l'asta: e ben; sia bujo o luce,

Pugniam; batto lo scudo, incalzo i passi

D'Alnecma: innanzi a me rotte e disperse

Sfuman le schiere. Alfin risguarda il Sole

Fuor d'una nube; di Moilena i cento

Rivi disfavillar; ma presso al monte

Vedi di nebbia spaziar colonne

Lente, dense, atre: ovFingallo? il prode

Catmorre ov'è'? sul rio, sul balzo, al bosco?

Non già; che fia? sento un colpir d'acciari:

Colà, colà di quella nebbia in seno

È la zuffa dei Re. Così talvolta

Pugnan due spirti entro notturna nube

Pel governo dell'onde o 'l fren dei venti.

Precipitai: si sollevò, si sperse

La grigia nebbia: scintillanti i Duci

Sul Luba grandeggiavano. Catmorre

Posava al balzo: penzola lo scudo

Dal braccio illanguidito; e il rio che spiccia

Fuor dal masso vicin lo batte e inonda.

Gli sta presso Fingallo: ei vide il sangue

Del campion d'Ata: a quella vista al fianco

Lentamente discendegli la spada,

Ed in voci pacifiche e pietose

Parla con gioja tristeggiante e fosca.

Cede l'eroe d'Alnecma? o vuol pur anco

La lancia sollevar? chiara abbastanza

È la tua fama in Ata. Ata soggiorno

Per te d'ogni stranier; spesso il tuo nome,

Qual aura del deserto, a colpir venne

L'orecchio di Fingal. Vieni al mio poggio,

Vieni alla festa mia, cedi; i possenti

Ceder ponno senz'onta: io non ho sdegno

Col dimesso nemico, e non m'allegro

Al cader d'un eroe: mio studio e cura

È saldar piaghe di guerrier ferito426.

Note mi son l'erbe dei colli, e spesso

Amo di corne le salubri cime,

Mentre del rivo ondeggiano sul margo:

Teco godrò dell'arte mia far prove.

Vientene, e che? tu stai pur fosco e muto

Prence d'Ata ospital? Sull'Ata, ei disse,

S'alza una rupe; ondeggianvi di sopra

Ramose piante; ad essa ampia nel mezzo

S'apre una grotta a cui ruscel non manca.

Colà prosteso, il calpestio più volte

Sentii del peregrin, che di mie conche

Giva alla sala; in sul mio spirto ardea

Vampa di gioja, e benedissi il balzo,

Che de lor passi rispondeva al suono.

Qui fia nel bujo il mio soggiorno; io quindi

Salirò spinto da piacevol canto

Sopra l'auretta che sparpaglia i velli

Del cardo de' miei poggi: e in giù dall'alto

Traguarderò fuor dell'azzurra nebbia

Sul caro balzo e sul diletto speco:

La mia tomba sia questa. - Ohimè! di tomba

Perché parla il guerriero? Ossian, t'accosta,

Miralo, egli spirò. Gioja ti scontri

Quasi ruscel, gioja t'inondi e bei,

Alma leggiadra e dei stranieri amica.

Mancò il possente: ah figliuol mio, sia questo

L'ultimo de' miei fatti; è tempo omai

Ch'io cessi dalle pugne: odo qui presso

La chiamata degli anni, essi passando

Della lancia m'afferrano la punta,

E sembran dir: perché Fingal non posa

Nelle sue sale? Alma d'acciaro, il sangue

Così dunque t'alletta? - Anni scortesi,

No che nel sangue io non m'allegro; il pianto

Di vedove e di figli è a me torrente

Vernal che scende a desolarmi il core.

Ma che? quand'io pacifico e tranquillo

Giaccio su i colli miei, sorge la voce

Poderosa di guerra, e sì mi desta

Dal mio riposo, e la mia spada appella.

L'appelli? omai fia vano. Ossian, tu prendi

La lancia di Fingal; per lui la inalza

Quando sorge il superbo. I miei grand'avi

Sempre i vestigi miei segnar dall'alto;

Grate fur loro le mie gesta: ovunque

Mossi a guerre, o perigli, ognora io vidi

Le nebulose lor colonne azzurre

Farmisi scorta di vittoria in pegno.

Ossian, sai tu perché? sempre il mio braccio

Gli oppressi ricattò; contro il superbo,

Contro l'alma feroce arse soltanto

Lo sdegno mio, né s'allegrò il mio sguardo

Sulle sciagure altrui, sull'altrui morte.

Per questo al mio passar le avite forme

Verran tutte festose in su la soglia

Dell'aeree lor sale ad incontrarmi

In graziosa maestà, con veste

Di luce candidissima, e con occhi

Placidamente in dolce foco accesi:

Ove al superbo ed al crudel son esse

Lune pregne d'orror, che a spaventarlo

Mandan vampa feral nunzia di sdegno.

Abitator di vorticosi venti,

Tremmòr padre d'eroi, mirami, io porgo

La lancia ad Ossian mio: quest'atto inviti,

E allegri i sguardi tuoi. Spesso io ti vidi

Fuor d'una nube balenarmi al volto;

Tal ti mostra a mio figlio, allor ch'ei l'asta

Rizza nelle battaglie; egli in mirarti

Membrerà il tuo valor, Tremmorre invitto,

Già signor dei mortali, ora dei nembi.

La lancia ei porse alla mia mano; e a un tempo

Erse una pietra, onde col grigio capo

Narrasse il fatto all'altre età; sott'essa

Pose una spada, e colla spada un cerchio

Del rinomato scudo; oscuro intanto

Volgeasi e muto in fra pensieri; alfine

Sciolse la voce in cotai detti: O pietra,

O pietra, allor che le remote etadi

Ti faran polve, e che sarai già spersa

Per entro il musco roditor degli anni,

Verrà qui forse peregrin non degno,

E passerà fischiando: alma codarda!427

Ah tu non sai quanto di fama un giorno

Sfavillasse in Moilena! è qui, che l'asta

Fingallo al figlio nella man depose,

E coronò col memorabil atto

L'ultimo de' suoi campi.428 Or via, ti scosta

Ombra, non uom; gloria t'ignora; il margo

D'un rio t'arresta in ozio vile; ancora

Poch'anni, e poi se' nulla; oblio t'attende

Per ingoiarti, abitator palustre

Di grossa nebbia, sconosciuto al canto.

Tal non sarà Fingal, fama qual manto

Fia che 'l rivesta, ed il suo nome altero

Irraggerà di nobili faville

Le tarde età, perché il suo forte acciaro

Schermo fu sempre all'infelice oppresso.

Disse; e alla quercia s'avviò che curva

Pendea sul Luba: una pianura angusta

Sotto vi giace, e vi discorre il fonte

Che spiccia dalla rupe: ivi di Selma

Lo spiegato vessillo ondeggia al vento,

E 'l suo cammino a Feradarto addita429;

A Feradarto che in ascosta valle

Sta palpitante e di sua sorte incerto:

Lucido il Sole d'occidente intanto

Fende le nubi; il gran Fingal ravvisa

Morven sua trionfante, ode le voci

Romorose, confuse; osserva i moti

D'inquieta esultanza, e se n'allegra;

Qual cacciator che dopo aspra tempesta

Mira splendere al sol le cime e i fianchi

Del natio colle; il già dimesso capo

Rizza lo spino, e i cavrioli in frotta

Fanno sull'alto, scorribande e tresche.

Ma d'altra parte entro muscoso speco

Stavasi il grigio Clòmalo430; già spente

N'eran le luci, ed un baston sostegno

Faceasi all'arco delle annose terga.

Pendea dinanzi dal suo labbro intenta

Sulmalla ad ascoltar le grate istorie

Dei prenci d'Ata. Del cantor cessato

Già nell'orecchio era il fragor lontano

Del conflitto crudel; s'arresta a un tratto;

E gli scappa un sospiro: a lui sovente

Sull'alma balenavano gli spirti

Dei duci estinti; ei ravvisò Catmorre

Sanguinoso, prosteso. A che sì fosco?

Disse la bella; omai cessò nel campo

La fera zuffa; vincitor tra poco

Verrà 'l mio duce; d'occidente il sole

Tocca le grotte, già l'ingrata nebbia

Sorge dal lago, e quel poggetto adombra,

Giuncoso seggio delle damme; e in breve

Ei spunterà, vedrollo... il veggo; ah vieni

Solo diletto mio, vientene. - Er'egli

Lo spirto di Catmòr, lenta, alta, altera

Movea la forma: rannicchiossi a un punto

Dietro al fremente rio.431 - Travidi, è questo

Un cacciator che a lenti passi il letto

Cerca del cavriol; guerra ei non cura,

La sua sposa l'attende; egli fischiando

Carco di spoglie di cervetti bruni432

Tornerà alle sue braccia433. - Ella pur gli occhi

Tien volti al colle: ecco di nuovo appare

La maestosa forma. - Or sì ch'è desso. -

Corre a quello festosa; egli s'arretra,

Si rannebbia, digradano, svaniscono

Le sue membra fumose, e sfansi in vento.

Conobbe allor ch'ei più non era. - Ahi lassa!

Amor mio, tu cadesti!... Ossian, ah scorda

Scorda il suo lutto, egli a quest'alma è morte

Notte scese in Moilena; alto la voce

Risuonò di Fingallo, alzossi intorno

La fiamma della quercia; il popol tutto

Con gioja s'adunò, ma in quella gioja

Serpea qualch'ombra; che drizzando il guardo

Di fianco al Re, gli si scorgeva in volto

Non compiuta letizia e pensier gravi.

Piacevolmente dal deserto intanto

Venìa voce di musica; dapprima

Parea fiochetto mormorìo di fonte

Sopra lontana rupe; ella accostossi,

E lenta rotolavasi sul balzo,

Qual ala crespa di leggera auretta,

Che pel silenzio di tranquilla notte

Pian pian ferisce le vellute barbe.

Era cotesta di Condàn la voce

Mista all'arpa di Carilo: venièno

Essi con Feradarto, il sir gentile,

A Fingallo sul Mora. Ad incontrargli

Mossero pur del Lena i vati, a' canti,

Canti mescendo, e d'esultanza in segno

Alzossi un plauso universal di scudi.

Piena e splendida allor gioja s'aperse

Sulla faccia del Re, come talvolta

Raggio improvviso in nubiloso giorno.

Trasse ei dal cerchio del brocchiero un suono

De' suoi cenni forier: cessaro a un punto

Le grida, i canti; e 'l popolo sull'aste

Curvossi ad ascoltar la voce amata.

Morvenie schiere, è già di sparger tempo

Il mio convito, fra concenti e feste

Scorra la notte: sfavillaste, o prodi,

Assai nel bujo, or la tempesta è sgombra.

È rupe il popol mio; su questa io fermo

Spiccai più volte un aquilino volo

Verso la fama, e l'afferrai sul campo.

Or sia fine a' miei fatti. Ossian, tu l'asta

Hai di Fingallo; ella non è, tu 'l sai,

Verghetta di fanciul che i cardi atterra;

Questa è l'asta dei grandi; essi di quella

Spesso armata la man prestaro a morte.

Pensa a' tuoi padri, o figliuol mio, son essi

Dopo tant'anni, venerati raggi

D'intemerata fama, a lor t'agguaglia.

Fa che al nuovo mattin da te sia scorto

Feradarto in Temòra, e lui nel seggio

Loca degli avi suoi; fa' ch'ei rammenti

D'Erina i regi, ed il morvenio sangue

Che in sen gli serpe, e il tralignarne aborra.

Non si scordin gli estinti; a lor dovute

Son grate laudi: Carilo, tu sgorga

La voce tua, che gli rallegri in mezzo

Della lor nebbia, e sia compenso a morte.

Compiuta è ogn'opra; io col mattin tranquillo

Spiegherò le mie vele inver l'ombrose

Mura di Selma, ove Dutùla ondoso434

L'erboso letto ai cavrioli irriga.





419 - Dermid era stato ferito e vinto da Foldath: Gaulo, colpito da una freccia nella mano, rimase inutile; Ossian non giunse a tempo di salvar Fillano.



420 - Nome della valle per cui scorreva il Lavath.



421 - Ch'io non sono né mortovinto: onde puoi venirtene con sicurezza.



422 - Non bisogna confondere questo Clonar coll'altro guerriero irlandese di questo nome, mentovato di sopra al verso 197. Il Clonar qui nominato era figlio di Congas capo d'Imora, una delle Ebridi.



423 - Tla-min: era questa figlia di Clungal altro capo d'Imora.



424 - Metti in resta.



425 - Egli fu dunque ucciso da Ossian. L'umanità di questo eroe ama meglio farlo intendere che riferirlo.



426 - Fingal è assai celebre nella tradizione per la sua conoscenza della virtù dell'erbe. Gl'Irlandesi favoleggiano ch'egli possedesse una coppa contenente l'essenza dell'erbe, che saldava istantaneamente le piaghe.



427 - Fingal nei versi seguenti parla con quest'uomo immaginario, come fosse vivo e presente.



428 - L'originale: vattene, ombra vana: nella tua voce non v'è fama.



429 - Come avea già detto a' suoi capitani ch'erano iti a cercar di Feradartho. Vedi sopra, v. 109



430 - Quel Druido appresso di cui s'era ritirata Sulmalla. Vedi il canto VII, v. 109.



431 - Segue Sulmalla.



432 - Questa idea è delicata e naturalissima. L'anima appassionata s'arresta volentieri su tutti gli oggetti che hanno un rapporto con quello della sua passione. Sulmalla non divaga punto dal suo soggetto. Il cacciatore sospirato è Cathmor: la sua sposa lo attende ansiosamente è lei stessa.



433 - Segue il poeta.



434 - Dee dunque esser questo un ruscello in Morven. In altro luogo ne abbiam veduto un altro di simile nome in Irlanda. Avendo i Caledonj e gl'Irlandesi comune la lingua, e l'usanza di denominar gli oggetti dalle loro qualità fisiche, era assai naturale, che spesso un luogo simile avesse appresso gli uni e gli altri lo stesso nome.






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