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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Posan gli eroi, tace la piaggia. Al suono

D'alpestre rio, sotto l'antica pianta

Giace Conallo: una muscosa pietra

Sostiengli il capo. Della notte udia

Stridula acuta cigolar la voce39

Per la piaggia del Lena; ei dai guerrieri

Giace lontan, che non temea nemici

Il figlio della spada. Entro la calma

Del suo riposo, egli spiccar dal monte

Vide di foco un rosseggiante rivo.

Per quell'ardente luminosa riga

A lui scese Crugallo, uno dei duci

Poc'anzi estinti, che cadeo per mano

Del fier Svaran: par di cadente luna

Raggio il suo volto; nugoli del colle

Forman le vesti: sembrano i suoi sguardi

Scintille estreme di languenti faci:

Aperta, oscura, nel mezzo del petto

Sospira una ferita. «O Crugal, disse

Il possente Conal, figlio di Dedga

Chiaro sul colle, o frangitor di scudi,

Perché pallido e mesto? io non ti vidi

Mai nelle pugne impallidir di tema.

E che t'attrista?» Lagrimoso, e fosco

Quegli si stette: sull'eroe distese

La sua pallida man, languidamente

Alzò la voce in suon debole e roco,

Come l'auretta del cannoso Lego.

«Conàl, tu vedi l'ombra mia che gira

Sul natio colle, ma il cadaver freddo

Giace d'Ullina sull'ignude arene.

Più non mi parlerai, né le mie orme

Vedrai sul prato: qual nembo di Cromla

Son vuoto e lieve, e per l'aere galleggio

Come nebbia sottile. Odimi, o duce:

Veggio l'oscuro nugolo di morte

Che sul Lena si sta: cadranno i figli

D'Inisfela, cadran: da questo campo

Ritirati, o Conallo; è campo d'ombre40».

Disse, e sparì come offuscata luna

Nel fischiante suo nembo. Ah no, t'arresta,

T'arresta, o fosco rosseggiante amico,

Disse Conal; vientene a me, ti spoglia

Di quel raggio celeste, o del ventoso

Cromla guerriero. In qual petrosa grotta

Ricovri tu? qual verdeggiante colle

Datti albergo e riposo? e non udremti

Dunque nella tempesta, o nel rimbombo

Dell'alpestre torrente, allor che i fiacchi

Figli del vento a cavalcar sen vanno

Per l'aeree campagne? Ei, così detto,

Rizzasi armato; a Cucullin s'accosta,

Picchia lo scudo: risvegliossi il figlio

Della battaglia. E qual cagion ti guida?

Disse del carro il reggitor sublime;

Perché nel buio della notte armato

Vieni o Conàl? potea la lancia mia

Volgersi incontro a quel rumore, ond'io

Piangessi poi del mio fedel la morte.

Conàl che vuoi? figlio di Colgar41 parla;

Lucido è 'l tuo consiglio a par del sole.

Duce, ei rispose, a me pur ora apparve

L'ombra di Crugal: trasparian le stelle

Fosche per la sua forma42; avea la voce

Di lontano ruscello: egli sen venne

Messaggero di morte; ei favellommi

Dell'oscura magion. Duce d'Erina

Sollecita la pace, o a sgombrar pensa

Dalla piaggia del Lena. Ancor che fosche

Per la sua forma trasparian le stelle,

Soggiunse Cucullin, teco o Conallo

L'ombra parlò? questo fu 'l vento amico,

Che nelle grotte mormorò del Lena.

O se pur fu Crugàl, che nol forzasti

Di comparirmi innanzi? e non gli hai chiesto

Dove sia l'antro suo, dove l'albergo

Dell'ospite dei venti? allor potrebbe

Forse il mio brando rintracciar cotesta

Presaga voce, e trar da quella a forza

Il suo saper: ma 'l suo saper, Conallo,

credimi, è poco. Or come? egli poc'anzi

Fu pur tra noi; più su che i nostri colli

Ei non varcò: chi della nostra morte

Potriagli adunque rivelar l'arcano?

L'ombre su i venti e sulle nubi in frotta

Vengono e vanno a lor piacer, soggiunse

Il senno di Conal43; nelle spelonche

Fanno alterni colloquj, e degli eventi

Parlano de' mortali. - E de' mortali

Parlino a senno lor, parlin di tutti;

Di me non già, che 'l ragionarne è vano.

Scordinsi Cucullin, perch'io son fermo

Di non fuggir: se fisso è pur ch'io caggia,

Trofeo di gloria alle future etadi

Sorgerà la mia tomba; il cacciatore

Verserà qualche lagrima pietosa

Sopra il mio sasso, e alla fedel Bragela

Sarò memoria ognor dolce, ed acerba.

Non temo di morir, di fuggir temo,

E di smentirmi: che più volte in guerra

Scorsemi vincitor l'alto Fingallo.

O tenebroso fantasma del colle,

Su via mostrati a me, vien' sul tuo nembo,

Vien' sul tuo raggio; in la tua man rinchiusa

Mostrami la mia morte, aerea forma,

Non fuggirò. Va', va', Conàl, colpisci

Lo scudo di Cabàr che giace appeso

Là tra quell'aste; i miei guerrier dal sonno

Sveglinsi tutti, e alla vicina pugna

S'accingan tosto. Ancor che a giunger tardi

L'eroe di Selma44, e la robusta schiatta45

De' tempestosi colli, andiamne, amico,

Pugnisi, e sia con noi vittoria, o morte.

Si diffonde il rumor; sorgono i duci.

Stan su la piaggia armati al par d'antiche

Quercie crollanti i noderosi rami,

Se gelata onda le percuote, e al vento

S'odon forte stormir l'aride fronde.

Già la nebbiosa dirupata fronte

Di Cromla appar, già 'l mattutino raggio

Tremola su la liquida marina

Né fosca più, né ben lucente ancora.

Va roteando lentamente intorno

La grigia nebbia, e d'Inisfela i figli

Nasconde agli occhi di Svaran. Sorgete,

Disse il signor dei tenebrosi scudi,

Sorgete, o voi che di Loclin dall'onde

Meco veniste: già dall'armi nostre

Fuggir d'Erina i duci. Or che si tarda?

S'inseguano, s'incalzino. Tu Morla

Tosto alla reggia di Corman t'avvia:

Comanda a lui, che di Svaran la possa

Prostrato inchini, anzi che 'l popol tutto

Nella morte precipiti, ed Ullina

Altro non resti che deserto e tomba.

S'adunano color, simili a stormo

D'augei marini, quando il flutto irato

Li rispinge dal lido, e fremon come

Nella valle di Cona accolti rivi,

Qualor dopo notturna atra bufera

Alla sbiadata mattutina luce

Volvon riflussi vorticosi oscuri.

Sfilan, quai succedentisi sul monte

Nugoloni d'autunno, orride in vista

Le avverse schiere. Maestoso e grande

A par del cervo de' morvenii boschi

Svaran s'avanza, e fuor dell'ampio scudo

Esce il fulgor della notturna fiamma,

Che per la muta oscurità del mondo

Fassi guida e sentiero all'erranti ombre:

Guatale il peregrin pallido, e teme.

Ma un nembo alfin sorto dal mar la densa

Nebbia squarciò: tutti apparir repente

D'Inisfela i guerrier schierati, e stretti,

Qual catena infrangibile di scogli

Lungo la spiaggia. Oh, disse allor l'altero

Dei boschi regnator, vattene o Morla,

Offri pace a costoro, offri quei patti

Che diamo ai re, quando alla nostra possa

Piegan le vinte nazioni, e spenti

Sono i guerrieri, e le donzelle in lutto.

Disse. Con lunghi risonanti passi

Morla avviossi, e baldanzoso in atto

Venne dinanzi al condottier d'Erina,

Che stava armato: gli fean cerchio intorno

Gli eroi minori. O Cucullin, accetta,

Diss'ei, la pace di Svaran, la pace

Ch'egli offre ai re, quando alla sua possanza

Piegan le nazioni; a lui tu cedi

La verdeggiante Ullina, e in un con essa

La tua sposa, e il tuo can; la dal ricolmo

E palpitante sen bella tua sposa,

Ed il tuo can raggiungitor del vento.

Questi a lui cedi in testimonio eterno

Della fiacchezza del tuo braccio, e in esso

Scorgi il tuo re. - «Porta a quel cor d'orgoglio,

Porta a Svaran, che Cucullin non cede.

Egli m'offre la pace: io offro a lui

Le strade dell'oceàno, oppur la tomba.

Non fia giammai ch'uno stranier possegga

Quel raggio di Dunscaglia; e mai cervetta

Non fuggirà per le loclinie selve

Dal piè ratto di Lua46.» Vano e superbo

Del carro guidator, Morla riprese,

Vuoi tu dunque pugnar? pugnar vuoi dunque

Contro quel re, di cui le navi figlie

Di molti boschi trar potrian divelta

Tutta l'isola tua seco per l'onde?

«Sì quest'Ullina è meschinetta, e poca

Contro il signor del mar. Morla, ei soggiunse,

Cedo a molti in parole, a nullo in fatti.

Rispetterà la verdeggiante Erina

Lo scettro di Corman, finché respiri

Conallo, e Cucullin. Conallo, o primo

Tra' duci, or che dirai? pur or di Morla

Le voci udisti; o generoso e prode,

Saran pur anco i tuoi pensier di pace?

O spirto di Crugallo, e tu di morte

M'osasti minacciar? schiudimi il varco

Dell'angusta tua casa: ella fra' raggi

M'accoglierà della mia gloria involto.

Su su, figli d'Erina, alzate l'asta,

Piegate l'arco, disperatamente

Sul nemico avventatevi, ond'ei creda

Che a lui dall'alto si rovescin sopra

Tutti i notturni tempestosi spirti» .

Or sì mugghiante, orribile, profondo

Volvesi il bujo della zuffa: nebbia

Così piomba sul campo allor che i nembi

Invadono il solar tacito raggio.

Precede il duce; irata ombra il diresti,

Che dietro ha negra nube, ed infocate

Meteore intorno, e nella destra i venti.

Carilo era in disparte: ei fa che s'alzi

Il suon del corno bellicoso; e intanto

Scoglie la grata voce47, ed il suo spirto

Sgorga nel cor de' bellicosi eroi.

Dove dove è Crugal? disse la dolce

Bocca del canto48: ei basso giace, è muta

La sala delle conche49; oblio lo copre.

Mesta è la sposa sua, che peregrina

Entro le stanze del suo lutto alberga50.

Ma quel raggio vegg'io, che tra le schiere

Dei nemici si scaglia?51 ella è Degrena,

La sposa di Crugallo: addietro ai venti

Lascia la chioma; ha rosseggiante sguardo,

Strillante voce. Ahi lassa! azzurro e vuoto

È ora il tuo Crugal: sta la sua forma

Nella cava del colle: egli al tuo orecchio

Fessi pian pian nel tuo riposo, alzando

Voce pari al ronzio d'ape montana.

Ve' ve' cade Degrena, e sembra nube

Che striscia in sul mattino: è nel suo fianco

La spada di Loclin52. Cairba, è spenta,

Cadde Degrena tua; Degrena, il dolce

Risorgente pensier de' tuoi verd'anni.

Udì Cairba il mesto suono53, e vide

La morte della figlia; in mezzo a mille,

Qual balena che 'l mar frange col pondo,

Slanciasi, e mugghia: la sua lancia incontra

Il cor d'un figlio di Loclin: s'ingrossa

La sanguinosa mischia. In bosco annoso

Ben cento venti, o tra ramosi abeti

Di cento colli violenta fiamma,

Poriano appena pareggiar la strage,

La rovina, il fragor dell'affollate

Schiere cadenti. Cucullin recide

Come cardi gli eroi; Svaran devasta,

Diserta Erina: di sua man Curano

Cadde, e Cairba dal curvato scudo.

Giace Morglano in ferreo sonno, e Calto

Guizza morendo: del suo sangue ha tinto

Il bianco petto; è strascinata e sparsa

La gialla chioma per la molle arena

Del suo terren natio. Spesso ov'ei cadde

Già conviti imbandì, spesso dell'arpa

La voce sollevò; festosi intorno

Saltellavangli i veltri, e i giovinetti

Stavansi ad assettar faretre ed archi.

Già Svaran cresce, e già soverchia, come

Torrente che trabocca, e i minor poggi

Schianta e travolve, e i maggior pesta e sfianca.

Ma s'attraversa Cucullin, qual monte

Di nembi arrestator: cozzano i venti

Sulla fronte di pini, e i massi informi

La ripercossa grandine flagella:

Quello in sua possa radicato e fermo

Stassi, ed adombra la soggetta valle.

Tal Cucullino ombra faceasi, e schermo

Ai figli d'Inisfela: a lui d'intorno

Di palpitanti eroi zampilla il sangue,

Come fonte da rupe: invan, ch'Erina

Cade pur d'ogni parte, e si dilegua

Siccome neve a caldo sol. Compagni,

Gruma gridò, Loclin conquista, e vince:

Che più dunque pugnar, palustri canne

Contro il vento del cielo? al colle, al colle

Fuggiam compagni: ed ei fuggissi il primo

Come cervo inseguito, e la sua lancia,

Simile a raggio tremulo di luce,

Dietro traea. Pochi fuggir con Gruma,

Duce di picciol cor: gli altri pugnando

Caddero, e 'l Lena ricoprir coi corpi.

Vede dall'alto del gemmato carro

La sconfitta de' suoi, vedela, e freme

D'Erina il condottier: trafisse il petto

A un fier nemico, indi a Conàl si volse.

O Conallo, esclamò, tu m'addestrasti

Questo braccio di morte: or che farassi?

Ancor ch'Erina sia fugata o spenta,

Non pugnerem perciò? Sì sì: tu vanne,

Carilo, e i sparsi fuggitivi avanzi

Di nostre schiere là raccogli, e guida

Dietro quell'erto cespuglioso colle.

Noi stiam fermi quai scogli, e sostenendo

L'impeto di Loclin, de' fidi amici

La fuga assicuriam. Balza Conallo

Sopra il carro di luce: i due campioni

Stendono i larghi tenebrosi scudi,

Come la figlia dei stellati cieli

Lenta talor move per l'aere, e intorno

Di fosco cerchio s'incorona e tinge.

Palpitante, anelante e spuma e sangue

Spruzza Sifadda, e Duronallo a cerchio

Volvesi alteramente, e calca e strazia

Nemici corpi: quei serrati e folti

Tempestano gli eroi, quai sconvolte onde

Sconcia balena d'espugnar fan prova.

Di Cromla intanto sul ciglion petroso

Si ritrassero alfine i pochi e mesti

Figli d'Erina, somiglianti a un bosco,

Cui strisciando lambì rapida fiamma,

Spinta dai venti in tempestosa notte.

Dietro una quercia Cucullin si pose

Taciturno, pensoso: il torbid'occhio

Gira agli astanti amici. Ecco venirne

Moran del mare esplorator. «Le navi,

Le navi, egli gridò; Fingal, Fingallo,

Il Sol dei duci, il domator d'eroi,

Ei viene, ei vien: spumano i flutti innanzi

Le nere prue; le sue velate antenne

Sembran boschi tra nubi.» O venti, o voi

Venti, soggiunse Cucullin, che uscite

Dall'isoletta dell'amabil nebbia,

Spirate tutte favorevoli aure,

Secondate il guerrier: vientene amico

Alla morte di mille, amico ah vieni.

Nubi dall'oriente a questo spirto

Son le tue vele, e l'aspettate navi

Luce del cielo, e tu mi sei tu stesso

Come colonna d'improvviso foco

Rischiaratrice della notte oscura.

O mio Conal, quanto graditi e cari

Ci son gli amici! Ma s'abbuja intanto

La notte: ov'è Fingal? noi le fosch'ore

Stiam qui passando, e sospiriam la luna.

Già sbuffa il vento; dalle fesse rupi

Già sboccano i torrenti: al capo irsuto

Di Cromla intorno s'adunò la pioggia,

E rosse tremolavano le stelle

Per le spezzate nubi. Appresso un rivo,

Di cui la pianta al gorgoglìo risponde,

Mesto s'assise il condottier d'Erina.

Carilo il buon cantor stavagli accanto,

E 'l pro' Conallo. Ah, sospirando disse

Di Semo il figlio, ah che infelice e fiacca

È la mia man, dacché l'amico uccise!

O Ferda, o caro Ferda, io pur t'amava

Quanto me stesso. Cucullin, deh dinne,

L'interruppe Conàl, come cadèo

Quell'illustre guerrier? ben mi sovvengo

Del figlio di Damman. Grande era e bello

Come l'arco del ciel. - Ferda signore

Di cento colli, d'Albion sen venne.

Nella sala di Muri54 ei da' prim'anni

L'arte del brando apprese, e d'amistade

Strinsesi a Cucullin: fidi alla caccia

N'andammo insieme; era comune il letto,

Era a Cairba55 già signor d'Ullina

Deugala sposa: avea costei nel volto

La luce di beltà, ma in mezzo al core

La magion dell'orgoglio. Ella invaghissi

Di quel raggio solar di gioventude,

Del figlio di Damman. Cairba, un giorno

Disse la bella, orsù dividi il gregge;

Dammi la mia metà: restar non voglio

Nelle tue stanze: il gregge tuo dividi,

Fosco Cairba. Cucullin, rispose,

Lo divida per me: trono è 'l suo petto

Di giustizia: tu parti. Andai: la greggia

Divisi. Un toro rimaneva, un toro

Bianco di neve; al buon Cairba il diedi.

Deugala n'avvampò; venne all'amante:

Ferda, diss'ella, Cucullin m'offende;

Fammi udir di sua morte, o sul mio corpo

Scorrerà il Luba; la mia pallid'ombra

Staratti intorno, e del mio orgoglio offeso

Piangerà la ferita: o spargi il sangue

Di Cucullino, o mi trapassa il petto.

Oimè, disse il garzon, Deugala, e come?

Io svenar Cucullino? egli è l'amico

De' miei pensier segreti, e contro ad esso

Solleverò la spada? Ella tre giorni

Pianse; nel quarto dì cesse al suo pianto

L'infelice garzon. Deugala, ei disse,

Tu 'l vuoi, combatterò: ma potess'io

Cader sotto il suo brando! Io dovrei dunque

Errar sul colle, e rimirar la tomba

Di Cucullin? Noi presso a Muri insieme

Pugnammo: s'impacciavano l'un l'altro

Ad arte i brandi nostri, il fatal colpo

Sfuggendo, sdrucciolavano sugli elmi,

Strisciavano su i scudi. Eragli accanto

Deugala sua: con un sorriso amaro

Diedesi a rampognarlo: O giovinetto,

Debole è 'l braccio tuo, non è pel brando

Questa tenera età; garzone imbelle

Cedi al figlio di Semo; egli pareggia

Lo scoglio di Malmor. Corsegli all'occhio

Lagrima di vergogna; a me si volse,

E parlò balbettando: alza il tuo scudo,

Alzalo, Cucullino, e ti difendi

Dal braccio dell'amico: ho grave e negra

L'anima di dolor, che uccider deggio

Il maggior degli amici e degli eroi.

Trassi a quei detti alto sospir, qual vento

Da fessa rupe: sollevai del brando

L'acuto filo: ahi lasso! egli cadeo.

Cadde il Sol della pugna, il caro, il primo

Tra' fidi amici: sciagurata, imbelle

È la mia man, dacché l'amico uccisi.

Figlio del carro, dolorosa istoria,

Carilo ripigliò, narrasti: or questa

Mi rimanda alla mente un fatto antico,

Che può darti conforto. Io spesso intesi

Membrar Comallo56 che l'amata uccise;

Pur sempre accompagnò vittoria e fama

La sua spada, e i suoi passi. Era Comallo

Un figlio d'Albion, di cento colli

Alto signor: da mille rivi e mille

I suoi cervi beveano, e mille scogli

Rispondeano al latrar de' veltri suoi.

Era soavità di giovinezza

L'amabile suo volto; era il suo braccio

Morte d'eroi. De' suoi pensier l'obietto

Uno era e bello, la gentil Galvina,

La figlia di Colonco: ella sembrava

Sol tra le donne, e liscia ala di corvo

La sua chioma vincea; sagaci in caccia

Erano i cani suoi, fischiava al vento

La corda del suo arco. I lor soavi

Sguardi d'amor si riscontrar sovente:

Uno alla caccia era il lor corso, e dolci

Le lor segrete parolette e care.

Ma per la bella si struggea d'amore

Il fier Gormante; il tenebroso duce

D'Arven57 nembosa, di Comal nemico.

Egli tutt'or della donzella i passi

Sollecito esplorava. Un dì che stanchi

Tornavano da caccia, e avea la nebbia

Tolti alla vista lor gli altri compagni,

Si riscontraro i due teneri amanti

Alla grotta di Ronna. Ivi Comallo58

Facea spesso soggiorno; ivi del duce

Pendean disposti i bellicosi arnesi:

Cento scudi di cuoio, e cento elmetti

Di risuonante acciar. Qui dentro, ei disse,

Riposati, amor mio, riposa o luce

Dello speco di Ronna: un cervo appare

Su la vetta di Mora59; io là men volo,

Ma tosto tornerò. Comal, rispose,

Temo Gormante il mio nemico; egli usa

In questa grotta; io poserò fra l'armi:

Ma fa' tosto, amor mio. Volò l'eroe

Verso il cervo di Mora. Allor la bella

Volle far prova sconsigliatamente

Dell'amor del suo caro: il bianco lato

Ella coperse di guerriere spoglie,

E della grotta uscì. Comàl l'adocchia,

Credela il suo nemico; il cor gli balza:

Iscolorossi, intenebrossi; incocca

L'arco; vola lo stral; cade Galvina

Nel sangue suo. Quei furibondo, ansante

Vola all'antro, e la chiama: alcun non s'ode;

Muta è la rupe. O dolce amor rispondi,

Dove se' tu? Torna all'estinto, e vede

Il cor di quella palpitar nel sangue

Dentro il suo dardo. O mia Galvina! oh vista!

Or se' tu quella? e le cadeo sul petto.

Vennero i cacciatori, e ritrovaro

La sventurata coppia. Il duce ancora

Errò sul colle; ma solinghi e muti

Erano i passi suoi presso l'oscura

Magion dell'amor suo. Sceser le navi

Dell'oceàno60; egli pugnò; fuggiro

Dal suo brando i stranier: cercò la morte,

Ma chi dar la poteagli? a terra irato

Scagliò lo scudo; una volante freccia

Riscontrò alfine il maschio petto. Ei dorme

Con l'amata Galvina in riva al mare;

E fendendo il nocchier le nordiche onde,

Scorge le verdi tombe, e ne sospira.


 




39 - Della notte… la voce: cioè, il vento notturno; oppure la voce dell'ombre accennate sul fine del canto precedente.



40 - È campo d'ombre: cioè destinato a raccoglier l'ombre d'un gran numero de' tuoi guerrieri che vi resteranno uccisi, se arrischi la battaglia.



41 - Figlio di Colgar: sembra che figlio in questo luogo non significhi altro che discendente; poiché Conal non era figlio, ma nipote di Colgar, o congal essendo nato di Fioncoma figlia di questo.



42 - Per la sua forma: da questa espressione apparisce che i Caledonj supponevano che l'anima dei morti fosse materiale, e simile all'Idolon dei Greci.



43 - Il senno di Conal: cioè il saggio Conal



44 - Selma, nome del palazzo reale di Fingal.



45 La robusta schiatta: i Caledonj.



46 - Lua è il nome del cane di Cucullino.



47 - Scoglie la grata voce: s'è già veduto altrove che i cantori accompagnavano i capitani alla battaglia.Il loro sacro carattere li rendeva sicuri e rispettabili agli stessi nemici. Perciò essi potevano cantar tranquillamente in mezzo al fragor dell'armi senza tema di alcun pericolo.



48 - La dolce Bocca del canto: Ecocrito chiama «cantore» la calda bocca delle grazie.



49- Cioè la sala ov'egli accoglieva gli stranieri a mensa ospitale.



50 - Crugal aveva sposata Degrena pochissimo tempo innanzi la battaglia, e in conseguenza ella può chiamarsi propriamente peregrina nelle stanze del suo lutto.



51 - Questa non è già una visione fantastica. Carilo vede realmente Degrena, che cerca la morte per non sopravvivere al suo sposo.



52 - La spada di Loclin: di qualunque guerriero danese. – Cairba è il padre di Degrena



53 - Il canto di Carilo è terminato. Ossian comincia la sua narrazione.



54 - Muri, scuola in Ulster, per ammaestrarsi nel maneggio delle armi.



55 - Cairba, signore irlandese, diverso dal padre di Degrena.



56 - Guerriero scozzese. Non bisogna confonderlo con un altro Comal, padre di Fingal.



57 - Arven: contrada appartenente a Morven.



58 - Comallo è un guerriero scozzese.



59 - Mora, monte della Scozia. Erane un altro di simili nome in Irlanda, di cui si fa menzione nel canto I, e in altri luoghi di questo poema.



60 - Sceser le navi - Dell'oceano: cioè vennero i danesi per fare un'invasione nella Scozia.






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