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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Soavi note, dilettose istorie,61

Raddolcitrici de' leggiadri cori!

Soggiunse Cucullin. Tal molce il colle

Rugiada del mattin placida e fresca,

Quando il sogguarda temperato il sole,

E la faccia del lago è pura e piana.

Segui, Carilo, segui; ancor satollo

Non è 'l mio cor. La bella voce sciogli,

Dinne il canto di Tura, il canto eletto

Che soleasi cantar nelle mie sale;

Quando Fingallo il gran signor dei brandi

V'era presente, e s'allegrava udendo

O le sue proprie, o le paterne imprese.

Fingallo, uom di battaglia (in cotal guisa

Carilo incominciò) prevenne gli anni

La gloria tua. Nel tuo furor consunta

Restò Loclin, che la tua fresca guancia

Gara avea di beltà con le donzelle.

Esse amorosamente alla fiorita

Vezzosa faccia sorridean, ma morte

Stava nella sua destra. Avea la possa

Della corsìa del Lora; i suoi seguaci

Fremeangli addietro come mille rivi.

Essi il re di Loclin, l'altero Starno62

Presero in guerra, e 'l ricondusser poi

Alle sue navi: ma d'orgoglio e d'ira

Rigonfiossegli il core, e nel suo spirto

Piantossi oscura del garzon la morte:

Perché non altri che Fingallo avea

Vinta di Starno l'indomabil possa.

Stava in Loclin costui dentro la sala

Delle sue conche, e a sé chiamò dinanzi

Il canuto Snivan63; Snivan che spesso

Cantava intorno al circolo di Loda64,

Quando la pugna nel campo dei forti

Volgeasi, e a' canti suoi porgeva ascolto

La Pietra del poter65. Snivan canuto,

Va', disse Starno, alle dal mar cerchiate

Arvenie rocce; ed al possente e bello

Re del deserto66 tu dirai, ch'io gli offro

La figlia mia, la più gentil donzella

Ch'alzi petto di neve; essa ha le braccia

Candide al par della marina spuma;

Dolce e nobile il cor. Venga Fingallo,

Venga co' suoi più forti alla vezzosa

Vergine figlia di segreta stanza.67

Alle colline d'Albion ventose

Venne Snivano; e 'l ben chiomato eroe

Seco n'andò: dinanzi a lui volava

L'infiammato suo cor, mentr'ei l'azzurre

Nordich'onde fendea. Ben venga a noi,

Starno gridò, ben venga il valoroso

Re di Morven scoscesa; e voi ben giunti

Siate pur suoi guerrieri, illustri figli

Dell'isola solinga: in feste e canti

Vi starete tre giorni, e tre le belve

Seguirete alla caccia, affin che possa

Giunger la vostra fama alla donzella

Della segreta stanza abitatrice.

Sì fintamente favellò l'altero

Re della neve68, e meditava intanto

Di trarli a morte. Nella sala ei sparse

La festa delle conche. Avea sospetto

Fingàl di frode, ed avvedutamente

L'arme ritenne; si sguardar l'un l'altro

Pallidi in volto i figli della morte,

E taciti svanir. S'alzan le voci

Della vivace gioja: arpe tremanti

Mandan dolce armonia; cantano i vati

Scontri di pugna, o tenerelli petti

Palpitanti d'amor. Stava tra questi

Il cantor di Fingallo, Ullin69, la dolce

Voce di Cona. Ei celebrò la bella

Vergine della neve70, e 'l nato al carro

Signor di Selma: la donzella intese

L'amabil canto, e abbandonò la stanza

Segreto testimon de' suoi sospiri.

Uscì di tutta sua bellezza adorna,

Quasi luna da nube in oriente.

Le leggiadrie cingevanla e le grazie

Come fascia di luce: i passi suoi

Movean soavi, misurati, e lenti

Come armoniche note. Il garzon vide,

Videlo, e n'arse. O benedetto raggio!

Disse tra sé. Già del suo core egli era

Il nascente sospiro, e a lui di furto

Spesso volgeasi il desioso sguardo.

Tutto raggiante il terzo dì rifulse

Sul bosco delle belve. Uscì Fingallo

Signor dei scudi, e 'l tenebroso Starno.

Del giovin prode rosseggiò la lancia

Nel sangue di Gormallo71. Era già 'l sole

A mezzo il corso suo quando la bella

Figlia di Starno al bel Fingal sen venne

Con amorosa voce, e coi begli occhi

In lagrime girantisi e tremanti;

E sì parlò: Fingallo, ah non fidarti

Del cor di Starno; egli nel bosco agguati

Pose contro di te, guardati o caro

Dal bosco della morte: ad avvisarti

Spronami amor: tu generoso eroe

Rammenta Aganadeca, e mi difendi

Dallo sdegno del padre. Il giovinetto

L'udì tranquillo, ed avviossi al bosco

Spregiantemente: i suoi guerrier possenti

Stavangli a fianco. Di sua man cadero

I figli della morte, e a' loro gridi

Gormallo rimbombò. Rimpetto all'alta

Reggia di Starno si raccolser tutti

Gli stanchi cacciatori. Il re si stava

Torbido, in sé romito; avea sul ciglio

Funesta nube, atro vapor negli occhi.

Olà, gridò l'altero, al mio cospetto

Guidisi Aganadeca; ella ne venga

Al re di Selma, al suo leggiadro sposo:

Già del sangue de' miei tinta è la destra

Del suo diletto72; inefficaci e vane

Non fur sue voci: del fedel messaggio

È giusto il guiderdon. Venne la bella,

Sciolta il crin, molle il ciglio: il bianco petto

Le si gonfiava all'aura de' sospiri,

Come spuma del Luba. Il fero padre

L'afferrò, la trafisse. Ella cadeo

Come di neve candidetta falda,

Che dalle rupi sdrucciolar del Rona

Talor si scorge, quando il bosco tace,

E basso per la valle il suon si sperde.

Giunse Fingal, vide la bella; il guardo

Vibrò sopra i suoi duci, e i duci suoi

L'arme impugnaro: sanguinosa e negra

Pugna mugghiò; Loclin fu spersa, o spenta.

Pallida allor nella spalmata nave

La vergine ei racchiuse: in Arven poi

Le alzò la tomba; or freme il mar d'intorno

All'oscura magion d'Aganadeca.

Benedetto il suo spirto, e benedetta

Sii tu, bocca del canto, allor riprese

Di Semo il figlio. Di Fingal fu forte

Il braccio giovenil, forte è l'antico.

Cadrà Loclin sotto l'invitta spada,

Cadrà di nuovo: esci da' nembi, o luna,

Mostra la bella faccia, e per l'oscura

Onda notturna le sue vele aspergi

Della serena tua candida luce.

E se forse lassù sopra quel basso

Nebuloso vapor sospeso alberghi,

O qual che tu ti sia spirto del cielo,

Cavalcator di turbini e tempeste,

Tu proteggi l'eroe, tu le sue navi

Dagli scogli allontana, e tu lo guida

Securo e salvo ai desiosi amici.

Sì parlo Cucullin; quando sul colle

Salì di Mata il valoroso figlio

Calmar ferito: egli venia dal campo

Nel sangue suo; ne sostenea la lancia

I vacillanti passi: ha fiacco il braccio,

Ma indomabile il cor. Gradito a noi

Giungi, disse Conàl, gradito, o forte

Figlio di Mata. Ond'è ch'esce il sospiro

Dal petto di colui, che in mezzo all'arme

Mai non temè? - Né temerà giammai,

Sir dell'acuto acciar. Brillami l'alma

Entro i perigli, e mi festeggia il core.

Son della schiatta dell'acciaro, a cui

Nome ignoto è 'l timor. Cormar fu 'l primo

Della mia stirpe. Eran suo scherzo e gioco

Flutti e tempeste: il suo leggiero schifo

Saltellava sull'onde, e gìa guizzando

Su le penne dei venti. Un negro spirto

Turbò la notte. Il mar gonfiasi, i scogli

Rugghiano: i venti vorticosi a cerchio

Strascinano le nubi; ale di lampi

Volan focose. Egli smarrissi, a terra

Ei ricovrò; ma s'arrossì ben tosto

Del suo timore: in mezzo al mar di nuovo

Scagliasi, il figlio a rintracciar del vento.

Tre giovinetti del suo legno han cura,

E ne reggon il corso. Egli si stava

Col brando ignudo: ecco passar l'oscuro

Vapor sospeso: ei l'afferrò pel crine

Rapido, e con l'acciaro il tenebroso

Petto gli ricercò: l'aereo figlio

Fuggì stridendo, e comparir le stelle.

Tal fu l'ardir de' miei: Calmar somiglia

Ai padri suoi. Dall'inalzata spada

Fugge il periglio: uom c'ha fermezza, ha sorte.

Ma voi progenie delle verdi valli,

Dalla del Lena sanguinosa piaggia

Scostatevi; adunate i tristi avanzi

Dei nostri amici, e di Fingallo al brando

Ad unirvi correte. Il suono intesi

Dell'oste di Loclin che a noi s'avanza.

Partite, amici, resterà Calmarre,

Calmar combatterà: bench'io sia solo,

Tal darò suon come se mille e mille

Fossermi a tergo. Or tu, figlio di Semo,

Rammentati Calmàr, rammenta il freddo

Corpo giacente. Poi ch'avrà Fingallo

Guasto il campo nemico, appo una pietra

Di memoria73 ripommi, onde il mio nome

Passi ai tempi futuri, e si rallegri

La madre di Calmàr curva sul sasso

Della mia fama. Ah no, figlio di Mata,

Rispose Cucullin, non vo' lasciarti;

Io sarò teco: ove più grande e certo

Rischio s'affaccia, ivi più 'l cor di gioja

M'esulta, e ferve, e mi s'addoppia in petto.

Forte Conallo, e tu Carilo antico,

Voi d'Inisfela i dolorosi figli

Scorgete altrove; e quando al fin sia giunto

L'aspro conflitto, rintracciate i nostri

Pallidi corpi: in questo angusto passo

Presso di questa pianta ambedue fermi

Staremci ad affrontar l'atro torrente

Della pugna di mille. O tu, va', corri

Figlio di Fiti, ale di vento impenna.

Vanne a Fingàl, digli ch'Erina è bassa,

Fa' che s'affretti. Oh venga tosto a noi

Qual vivo sole, e le tempeste nostre

Sgombri coi raggi, e rassereni il colle.

Grigio in Cromla è 'l mattin; sorgono i figli

Dell'oceàno. Uscì Calmar fumante

Di bellicoso ardor; ma pallida era

La faccia sua: chinavasi sull'asta

De' padri suoi, sopra quell'asta istessa,

Che dalle sale egli portò di Lara,

E stava mesta a risguardar la madre.

Ma or languido, esangue a poco a poco

Manca, e cade l'eroe; qual lentamente

Cade sul Cona sbarbicata pianta.

Solo rimane Cucullin qual rupe

Nell'arenosa valle: il mar coi flutti

Viensene, e mugge su i petrosi fianchi;

Stridono i massi, e la scoscesa fronte

Spruzza e ricopre la canuta spuma.

Ma già fuor fuor per la marina nebbia

Veggonsi a comparir le di Fingallo

Bianco-velate navi; e maestoso

S'avanza il bosco dell'eccelse antenne.

Svaran l'adocchia, e di combatter cessa

D'Inisfela l'eroe. Qual per le cento

Isole d'Inistor s'arretra, e ferve

Gonfia marea; sì smisurata e vasta

La possa di Loclin scese a rincontro

All'alto re dei solitari colli.

Ma lento, a capo chin, mesto, piangente,

La lunga lancia traendosi dietro,

Cucullin ritirossi, e si nascose

Dentro il bosco di Cromla, e amaramente

Pianse gli estinti amici. Egli temea

L'aspetto di Fingàl, che tante volte

Seco già s'allegrò74, quand'ei tornava

Dal campo della fama. Oh quanti, oh quanti

Giaccion colà de' miei possenti eroi,

Sostegni d'Inisfela! essi che un tempo

Festosi s'accogliean nelle mie sale,

Delle mie conche al suon. Non più sul prato

Le lor orme vedrò; non più sul monte

Udrò l'usata voce. Or là prostesi

Pallidi, muti, in sanguinosi letti

Giacciono i fidi amici. O cari spirti

Dei dianzi estinti a Cucullin venite;

Con lui vi state a favellar sul vento

Quando l'albero piegasi, e bisbiglia

Su la grotta di Tura: ivi solingo

Giacerò sconosciuto; alcun cantore

Non membrerà 'l mio nome, alcuna pietra

A me non s'ergerà. Bragela addio:

Già più non son, già la mia fama è spenta;

Piangimi cogli estinti, addio Bragela.

Sì parlò sospirando; e si nascose,

Ove la selva è più selvaggia e cupa.

Ma d'altra parte maestosamente

Passa Fingàl nella sua nave, e stende

La luminosa lancia: orrido intorno

Folgoreggia l'acciar, qual verdeggiante

Vapor di morte che talor si posa

Su i capi di Malmor: scura è nel cielo

La larga luna, il peregrin soletto.

Terminato è 'l conflitto; io veggo il sangue

De' nostri amici, il Re gridò; le quercie

Gemon di Cromla, e siede orror sul Lena.

Colà cadèro i cacciatori; il figlio

Di Semo non è più. Rino75, Fillano,

Diletti figli, or via, sonate il corno

Della battaglia di Fingal; salite

Quel colle in su la spiaggia, e dalla tomba

Del buon Landergo76 il fier nemico in campo

Sfidate alla tenzon. La vostra voce

Quella del padre nel tonar pareggi,

Allor che nella pugna entra spirante

Baldanza di valor: qui fermo attendo

Questo possente uom tenebroso; attendo

Con piè fermo Svarano. E venga ei pure

Con tutti i suoi; che non conoscon tema

Gli amici degli estinti. Il gentil Rino

Volò qual lampo; il brun Fillano il segue

Pari ad ombra autunnal. Scorre sul Lena

La voce loro: odon del mare i figli

Il roco suon del bellicoso corno,

Del corno di Fingallo; e piomban forti,

Grossi, mugghianti, qual riflesso oscuro

Del sonante oceàn, quando ritorna

Dal regno della neve: alla lor testa

Scorgesi il re superbo: ha tetro aspetto

D'ira avvampante, occhi rotanti in fiamma.

Lo rimirò Fingallo, e rammentossi

D'Aganadeca sua: perché Svarano

Con giovenili lagrime avea pianto

La gentil suora dal bel sen di neve.

Mandò Ullino dai canti, e alla sua festa

Cortesemente l'invitò; che dolce

Del nobil Fingàl ricorse all'alma

Del suo primiero amor la rimembranza.

Venne l'antico Ullin di Starno al figlio,

E sì parlò: tu che da lungi alberghi

Cinto dall'onde tue, come uno scoglio,

Vieni alla regia festa, e 'l dì tranquillo

Passa; doman combatterem, domani

Spezzeremo gli scudi. Oggi, rispose,

Spezzinsi pur, starò domani in festa;

Domani sì, che fia Fingàl sotterra77.

E ben spezzinsi tosto, e poi festeggi

Doman se può, con un sorriso amaro

L'alto Fingàl riprese. Ossian tu statti

Da presso al braccio mio, tu Gaulo78 inalza

Il terribile acciar, piega Fergusto

L'incurvato tuo tasso, e tu Fillano

La tua lancia palleggia; alzate i scudi

Qual tenebrosa luna, e ciascun'asta

Sia meteora mortal: me me seguite

Per lo sentier della mia fama, e sièno

Le vostre destre ad emularmi intese.

Cento nembi aggruppati, o cento irate

Onde sul lido, o cento venti in bosco,

O cento in cento colli opposti rivi;

Forse con tale, o con minor fracasso,

Strage, furia, terror s'urtan l'un l'altro,

Di quel, con cui le poderose armate

Vannosi ad incontrar nell'echeggiante

Piaggia del Lena: spargesi su i monti

Alto infinito gemito confuso,

Pari a notturno tuon, quando una nube

Spezzasi in Cona; e mille ombre ad un tempo

Mandan nel vuoto vento orrido strido.

Spinsesi innanzi in la sua possa invitta

L'alto Fingàl79, terribile a mirarsi

Come lo spirto di Tremmor, qualora

Vien sopra un nembo a contemplar i figli

Della possanza sua; crollan le querce

Al suon delle sue penne, e innanzi ad esso

S'atterrano le rupi. Atra, sanguigna

Era la man del padre mio rotando

Il balenante acciar; struggeasi il campo

Nel suo corso guerrier. Rino avanzossi

Qual colonna di fuoco: è scuro e torvo

Di Gaulo il ciglio; rapido Fergusto

Corre con piè di vento; erra Fillano

Come nebbia del colle. Io stesso io stesso

Piombai qual masso: alle paterne imprese

Mi sfavillava il cor: molte le morti

Fur del mio braccio; né di grata luce

Splendea la spada di Loclin sul ciglio.

Ah non avea così canuti i crini

Ossian allor, né in tenebre sepolti

Eran quest'occhi, né tremante e fiacca

L'antica man, né 'l piè debole al corso.

Chi del popol le morti, e chi le gesta

Può ridir degli eroi, quando Fingallo

Nella sua ardente struggitrice fiamma

Divorava Loclin? di colle in colle

Gemiti sopra gemiti s'affollano

Di morti e di spiranti, infin che scese

La notte, e tutto in tenebre ravvolse.

Smarriti, spauriti, sbalorditi

Come greggia di cervi, allor sul Lena

Strinsersi i figli di Loclin: ma noi

Lietamente sedemmo in riva al vago

Ruscel di Luba, ad ascoltar le gaje

Note dell'arpa. Il gran Fingàl sedea

Non lungi dai nemici, e dava orecchio

Ai versi dei cantor. S'udian nel canto

Altamente sonar gli eccelsi nomi

Di sua stirpe immortale. Ei sullo scudo

Piegava il braccio, e ne bevea tranquillo

La soave armonìa. Stavagli appresso

Curvo sulla sua lancia, il giovinetto,

Il mio amabile Oscarre80. Ei meraviglia

Avea del re di Selma, e i suoi gran fatti

Scorrean per l'alma, e gli scoteano il core.

Figlio del figliuol mio, disse Fingallo,

Onor di gioventù: vidi la luce

Del tuo brando, la vidi, e mi compiacqui

Della progenie mia: segui la fama

De' padri tuoi, segui l'avite imprese.

Sii quel ch'essi già fur, quando vivea

L'alto Tremmor primo tra' duci, e quando

Tratal padre d'eroi. Quei da' prim'anni

Pugnar da forti: or sono de' vati il canto.

Valoroso garzon, curva i superbi,

Ma risparmia gl'imbelli: una corrente

Di molt'acque sii tu contro i nemici

Del popol tuo; ma a chi soccorso implora

Sii dolce placidissimo, qual aura

Che lusinga l'erbetta, e la solleva.

Così visse Tremmor, Tratal81 fu tale,

Tal è Fingallo. Il braccio mio fu sempre

Schermo degl'infelici, e dietro al lampo

Della mia spada essi posar securi.

Oscarre, io era giovinetto appunto

Qual se' tu ora, quando a me sen venne

Faìnasilla, la vezzosa figlia

Del re di Craca82, vivida soave

Luce d'amore: io ritornava allora

Dalla piaggia di Cona; avea con meco

Pochi de' miei. Di bianche vele un legno

Da lungi apparve, che movea sull'onde

Come nebbia sul nembo. Avvicinossi,

La bella comparì. Salìa, scendea

Il bianco petto a scosse di sospiri,

E le strisciavan lagrimose stille

La vermiglietta guancia. E qual tristezza

Alberga in sì bel sen, placido io dissi,

O figlia di beltà? poss'io, qual sono

Giovine ancor, farmi tuo schermo e scudo

Donna del mar? non ho invincibil brando,

Ma cor che non vacilla. A te men volo,

Sospirando rispose, o prence eccelso

Di valorosi, a te men volo, o sire

Delle conche ospitali, alto sostegno

Della debile destra. Il re di Craca

Me vagheggiava qual vivace raggio

Della sua stirpe, ed echeggiar sovente

Le colline di Cromala s'udìo

Ai sospiri d'amor per l'infelice

Fainasilla. Il regnator di Sora83)

Bella mi vide, e n'arse: ha spada al fianco

Qual folgore del ciel; ma torvo ha 'l ciglio,

E tempesta nel cor: da lui men fuggo

Sopra il rotante mar: costui m'insegue.

Statti dietro al mio scudo84, e posa in pace

Raggio amoroso; fuggirà di Sora

Il fosco re, se di Fingallo il braccio

Rassomiglia al suo cor. Potrei celarti

In qualche cupa solitaria grotta:

Ma non fugge Fingallo85 ove tempesta

D'aste minaccia; egli l'affronta, e ride.

Vidi la lagrimetta in su le guancie

Della beltà: m'intenerii. Ma tosto,

Come da lungi formidabil onda,

Del tempestoso Borbaro la nave

Minacciosa apparì: dietro alle bianche

Vele vedi piegar l'eccelse antenne;

Fiedono i fianchi con le bianche spume

L'onde rotanti; mormora la possa

Dell'oceàn. Lascia il muggir del mare,

Io dissi a lui, calpestator dei flutti,

E vienne alla mia sala; essa è l'albergo

Degli stranieri. Al fianco mio si stava

La donzelletta palpitante: ei l'arco

Scoccò; quella cadèo. Ben hai del paro

Infallibile destra, e cor villano,

Dissi, e pugnammo. Senza sangue, e leve

Non fu la mortal zuffa: egli pur cadde;

E noi ponemmo in due tombe di pietra

L'infelice donzella, e 'l crudo amante.

Tal fui negli anni giovanili: Oscarre,

Tu la vecchiezza di Fingallo imita.

Mai non andarne di battaglia in traccia,

Né la sfuggir giammai quando a te viene.

Fillano, e Oscarre dalla bruna chioma,

Figli del corso, or via pronti volate

Sopra la piaggia, ed osservate i passi

Dei figli di Loclin; sento da lungi

Il trepido rumor della lor tema,

Simile a mar che bolle. Itene, ond'essi

Non possano sottrarsi alla mia spada

Lungo l'onde del Nord86: son basso i duci

Della stirpe d'Erina, e molti eroi

Giaccion sul letto squallido di morte.

Volaro i due campion, come due nubi,

Negri carri dell'ombre, allor che vanno

Gli aerei figli a spaventar la terra.

Fecesi innanzi allor Gaulo, il vivace

Figlio di Morni87, e si piantò qual rupe.

Splendea l'asta alle stelle: alzò la voce

Pari al suon di più rivi. O generoso

Delle conche signor, figlio di guerra,

Fa' che 'l cantor con l'arpa al sonno alletti

D'Erina i stanchi figli. E tu Fingallo

Lascia per poco omai posar sul fianco

La tua spada di morte, e alle tue schiere

Permetti di pugnar: noi qui senz'opra

Stiamci struggendo inonorati e lenti;

Poiché tu sol, tu spezzator di scudi

Sei solo, e sol fai tutto, e tutto sei.

Quando il mattin su i nostri colli albeggia,

Statti in disparte, le prodezze osserva

De' tuoi guerrieri. Di Loclin la prole

Provi di Gaulo la tagliente spada;

Onde me pur cantino i vati, e chiaro

Voli il mio nome ancor; tal fu 'l costume

Della nobil tua stirpe, e tale il tuo.

Figlio di Morni, a lui Fingàl rispose,

Gioisco alla tua gloria: e ben, combatti,

Prode garzon; ma fia sempre a tergo

La lancia mia, per arrecarti aita,

Quando sia d'uopo. O voi la voce alzate,

Figli del canto, e 'l placido riposo

Chiamatemi sul ciglio. Io giacerommi

Tra i sibili del vento: e se qui presso

Aganadeca amabile t'aggiri

Tra i figli di tua terra, o se t'assidi

Sopra un nembo ventoso in fra le folte

Antenne di Loclin; vientene o bella,

Rallegra i sonni miei; vieni, e fa' mostra

Del tuo soave rilucente aspetto.

Più d'una voce e più d'un'arpa sciolse

Armoniose note. Essi cantaro

Le gesta di Fingallo, e dell'eccelsa

Stirpe di Selma; e nell'amabil canto

Tratto tratto s'udia sonar con lode

Dell'or così diverso Ossian il nome.

Ossian dolente! io già pugnai, già vinsi

Spesso in battaglia: or lagrimoso e cieco,

Squallido, inconsolabile passeggio

Coi piccioli mortali. Ove, Fingallo,

O padre ove se' tu? più non ti veggo

Con l'eccelsa tua stirpe; erran pascendo

Cervetti e damme in su la verde tomba

Del regnator di Selma. O benedetta

L'anima tua, re delle spade, altero

Esempio degli eroi, luce di Cona!





61 - Continua la seconda notte. Cucullino, Conal e Carilo sono tuttavia nel luogo descritto nel campo precedente.



62 - Starno era padre di Svarano, e di Aganadeca. Vedi l'atroce carattere di costui nel poema intitolato Colloda.



63 - Questo Snivano doveva essere uno degli scaldi danesi, ordine similissimo a quello dei bardi scozzesi.



64 - Questo passo allude certamente alla religione di Loclin. Il circolo di Loda dovrebbe essere quel doppio recinto di pietre, con cui gli Scandinavi circondavano l'altare del loro Idolo, e la collina sopra di cui era collocato.



65 - La Pietra del potere è l'immagine del dio Odin, o di qualche altra divinità della Scandinavia.



66 - Re del deserto: Fingal.



67 - Vergine figlia di segreta stanza: cioè abitatrice di stanza segreta.



68 - Starno è qui poeticamente chiamato re della neve dalla gran quantità che ne cade ne' suoi dominj.



69 - Ullin è il primo dei cantori di Fingal, ed il suo araldo nelle battaglie.



70 - Vergine della neve, cioè del paese nevoso.



71 - Nel sangue di Gormallo, cioè, nel sangue delle fiere del Monte Gormal.



72 - Convien supporre che Starno fosse stato avvertito in qualche modo dell'avviso dato dalla figlia a Fingal.



73 - Una pietra in quei rozzi tempi era il solo mezzo di conservare in generale la memoria di una persona, o d'un avvenimento notabile. Il canto e la tradizione spiegavano particolarmente i nomi e le cose.



74 - Parole di Cucullino.



75 - Rino era il minore dei figli di Fingal. Ossian, Fillano, Fergusto erano gli altri.



76 - Guerriero irlandese, di cui si ha la storia nel canto V.



77 - S'intende che Ullino avea riportata a Fingal la risposta di Svarano.



78 - Gaulo era figlio di Morni, ed uno dei più gran guerrieri di Fingal.



79 - Bisavolo di Fingal.



80 - Oscarre: figlio d'Ossian



81 - Tratal: avolo di Fingal.



82 - È probabile che questa Craca fosse una delle isole di Shetland. Nel sesto canto avvi una storia intorno la figlia del re di Craca.



83 - Sora: paese della Scandinavia.



84 - Risponde Fingal.



85 - Ma egli non potea fuggire, e provveder meglio alla salvezza della bella.



86 - Sud, Nord, Est, e Ovest nella mitologia dei Celti danesi erano i nomi di quattro nani, che sostenevano la volta del cielo formata dal cranio del gigante Ymer.



87 - Morni: capo d'una tribù che per lungo tempo disputò la preminenza allo stesso Fingal.






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