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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Chi dal monte ne vien, bella a vedersi88)

Siccome il variato arco che spunta

Di sopra il Lena? La donzella89 è questa

Dalla voce d'amor; la bella figlia

Del buon Toscàr, dalle tornite braccia.

Spesso udisti il mio canto, e spesso hai sparse

Lagrime di beltà: viene alle pugne

Del popol tuo? vieni ad udir l'imprese

Del tuo diletto Oscarre? E quando mai

Cesseranno i miei pianti in riva al Cona?

Tutta la mia fiorita e verde etade

Passò tra le battaglie, ed or tristezza

I cadenti anni miei turba ed oscura.

Vezzosa figlia della man di neve,

Non ero io già così dolente e cieco;

Sì fosco, abbandonato allor non ero,

Quando m'amò la vaga Evirallina,90

Evirallina, di Corman91 possente

Dolce amor, bruna il crin, candida il petto.

Mille eroi ne fur vaghi, e a mille eroi

Ella niegò 'l suo core: eran negletti

I figli dell'acciar, perch'Ossian solo

Grazia trovò dinanzi agli occhi suoi.

Alle nere del Lego onde n'andai

Per ottener la vaga sposa. Avea

Dodici meco valorosi figli

Dell'acquosa Albion: giungemmo a Brano,

Amico dei stranieri. E donde, ei disse,

Son quest'arme d'acciar? facil conquista

Non è la bella vergine che tutti

Spregiò d'Erina gli occhi-azzurriduci.

Benedetto sii tu sangue verace

Del gran Fingallo! avventurata sposa

Ben'è colei che del tuo cor fai degna.

Fossero in mia balìa dodici figlie

D'alta beltà, che tua fora la scelta,

O figlio della fama. Allora aperse

La stanza della vergine romita,

D'Evirallina. A quell'amabil vista

Dentro i petti d'acciar corse a noi tutti

Subita gioja, e ci sorrise al core.

Ma sopra noi sul colle il maestoso

Cormano apparve, ed un drappel de' suoi

Tenea pronto alla pugna. Otto i campioni

Eran del duce, e fiammeggiava il prato

Del fulgor di lor arme. Eravi Cola,

Durra dalle ferite eravi, e Tago,

E 'l possente Toscarre, e 'l trionfante

Frestallo, e Dairo il venturoso, e Dala

Rocca di guerra. Scintillava il brando

Di Corman nella destra, e del guerriero

Lento volgeasi e grazioso il guardo.

D'Ossian pur otto erano i duci; Ullino

Figlio di guerra tempestoso, e Mullo

Dai generosi fatti, ed il leggiadro

Selaca, e Oglano, e l'iracondo Cerda,

E di Dumarican l'irto-vellute

Ciglia di morte. Ove te lascio, Ogarre,

Sì rinomato sugli arvenii colli?

Ogàr si riscontrò testa con testa

Col forte Dala: era il conflitto un turbo

Sollevator della marina spuma.

Ben del pugnale rammentossi Ogarre,

Arme ad esso gradita; egli di Dala

Nove fiate lo piantò nel fianco.

Cangiò faccia la pugna: io sullo scudo

Del possente Corman ruppi tre volte

La mia lancia, ei la sua. Lasso infelice

Garzon d'amore! io gli recisi il capo,

E per lo ciuffo il sanguinoso teschio

Crollai ben cinque volte: i suoi fuggiro.

Oh chi m'avesse allor detto, chi detto

M'avesse allor, vaga donzella, ch'io

Egro, spossato, abbandonato, e cieco

Trarrei la vita! avria costui dovuto

Usbergo aver ben d'infrangibil tempra,

Petto di scoglio, e impareggiabil braccio.

Ma già del Lena su la piaggia oscura92

A poco a poco s'acchetò la voce

Dell'arpe, e dei cantor. Buffava il vento

Vario-stridente, e m'ondeggiava intorno

L'antica quercia con tremanti foglie.

Erano i miei pensier d'Evirallina,

D'Evirallina mia, quand'ella in tutta

La luce di beltade, e cogli azzurri

Occhi pregni di lagrime, m'apparve

Sopra il suo nembo; e in fioca voce, ah sorgi,

Ossian, mi disse, il figlio mio difendi,

Salvami Oscàr: presso la rossa quercia

Del ruscello di Luba egli combatte

Coi figli di Loclin. Disse: e s'ascose

Nella sua nube. Io mi vestii l'usbergo,

M'appoggiai sulla lancia; uscii sonante

D'arme il petto e le terga: a cantar presi,

Qual solea ne' perigli, i canti antichi

Da' valorosi eroi.93 Loclin m'intese

Come tuono lontano; essa fuggio;

Inseguilla mio figlio. Io pur da lungi

Lo richiamai: figlio, diss'io, deh riedi

Riedi sul Lena, ancor ch'io stiati appresso,

E cessa d'inseguirli. Egli sen venne,

Ed agli orecchi miei giunse giocondo

Il suon dell'armi sue. Perché, diss'egli,

M'arrestasti la destra? avria ben tosto

Morte d'intorno ricoperto il tutto.

Che oscuri, formidabili, Fillano,

E il figlio tuo fersi ai nemici incontro,

Che per la notte, alle sorprese amica,

Del loro campo erano a guardia. Alquanti

Le nostre spade n'abbatter. Ma come

Spingono i negri venti onda dopo onda

Colà di Mora su le bianche arene;

Tal l'un l'altro incalzandosi i nemici

Inondano sul Lena: ombre notturne

Stridon da lungi, ed aggirarsi io vidi

Le meteore di morte. Il re di Selma

Corrasi a risvegliar, l'eccelso eroe

Sfidator di perigli, il sol raggiante

Dissipator di bellicosi nembi.

Erasi appunto allor da un sogno desto

Fingallo, e sullo scudo erto si stava,

Lo scudo di Tremmor, famoso arnese

De' padri suoi. Nel suo riposo avea

Veduta il padre mio la mesta forma

D'Aganadeca; ella venìa dal mare,

E sola e lenta si movea sul Lena.

Faccia avea ella pallida qual nebbia,

Guancia fosca di lagrime: più volte

Trasse l'azzurra man fuor delle vesti,

Vesti ordite di nubi, e la distese

Accennando a Fingallo, e volse altrove

I taciturni sguardi. E perché piangi

Figlia di Starno? domandò Fingallo

Con un sospiro: a che pallida e muta,

Bell'ospite dei nembi? Ella ad un tratto

Sparve col vento, e lo lasciò pensoso.

Piangeva il popol suo, che sotto il brando

Del re di Selma, era a cader vicino.

L'eroe svegliossi, e pieni ancor di quella

Avea gli occhi e la mente. Ode appressarsi

Oscarre i passi, e n'adocchiò lo scudo;

Che incominciava un deboletto raggio

Via via d'Ullina a tremolar sull'onda.

Che fa 'l nemico fra i terrori involto?

Richiese il Re: fugge sul mare, o attende

La novella battaglia? A che tel chiedo?

Non odo io già la voce lor che suona

Sul vento del mattin? Vattene Oscarre,

Desta gli amici. Il Re s'alzò; piantossi

Presso il sasso di Luba, e in tuon tremendo

Ben tre volte rugghiò: balzaro i cervi

Dalle fonti di Cromla, e tremar tutte

Le rupi e i monti. Come cento alpestri

Rivi sboccando con mugghianti spume

Si confondon tra lor: come più nubi

S'ammassano in tempesta, e alla serena

Faccia del ciel fan velo; in cotal guisa

Si ragunaro del deserto i figli

Del lor signore alla terribil voce,

Terribile ai nemici, a' suoi guerrieri

Grata e gioconda: perché spesso ei seco

Li condusse alla pugna, e dalla pugna

Carchi tornar di gloriose spoglie.

Su su, diss'egli, alla zuffa, alla morte.

Figli della tempesta: a risguardarvi

Starassi il vostro re. Sopra quel colle

Balenerà 'l mio brando, e sarà scudo

Del popol mio: ma non avvenga, amici,

Che n'abbiate mai d'uopo, or che di Morni

Per me combatte il valoroso figlio.

Egli fia vostro duce, onde il suo nome

Sorger possa nel canto. O voi scendete

Ombre de' morti duci, ombre dei nembi94

Correggitrici, i miei guerrier cadenti

Accogliete cortesi, e i vostri colli

Sien lor d'albergo: oh possan quei su l'ale

Del nembo rapidissimo del Lena

Per l'aereo sentier varcar sublimi

I flutti de' miei mari, e al mio riposo

Cheti venirne, ed allegrar sovente

Con la piacevol vista i sogni miei.

Fillano, Oscarre dalla bruna chioma,

E tu Rino gentil, fate o miei figli,

D'esser forti in battaglia: i vostri sguardi

Stien fisi in Gaulo, ond'emularne i fatti.

Brando a brando non ceda, o braccio a braccio;

Si gareggi in valor: del padre vostro

Proteggete gli amici, e stienvi in mente

Gli antichi duci. Se cader sul Lena

Doveste ancor, non paventate, o figli,

Vi rivederò: di cava nube in seno

Le nostre fredde e pallid'ombre in breve

S'incontreranno, o figli; e andrem volando

Spirti indivisi a ragionar sul Cona.

Simile a nube tempestosa, orlata

Di rosseggiante folgore del cielo,

Che in occidente dal mattin s'avanza,

Il Re s'allontanò. Funesto vampo

Esce dall'armi sue; nella man forte

Crolla due lancie; la canuta chioma

Giù cade al vento; tre cantor van dietro

Al figlio della fama, a portar pronti

I suoi cenni agli eroi. Sull'erto fianco

Di Cromla ei si posò, volgendo a cerchio

Il balen dell'acciar. Lieti alla pugna

Movemmo intanto. Sfavillò sul volto

D'Oscar la gioja: vivida vermiglia

Era la guancia sua; spargono gli occhi

Lagrime di piacer; raggio di foco

Sembra la spada nella destra. Ei venne;

E con gentil sorriso in cotai detti

Ad Ossian favellò: Sir delle pugne,

Ascolta il figlio tuo: scostati, o padre,

Segui l'eroe di Selma, e la tua fama

Lasciala intera a me. Ma s'io qui cado,

Rammentati, o signor, quel sen di neve,

Quel grazioso solitario raggio

Dell'amor mio, la tenera Malvina

Dalla candida man. Parmi vederla

Curva sul rivo risguardar dal monte

Con la guancia infocata, e i lisci crini

Sferzanle il sen, che per Oscàr sospira.

Tu la conforta, e di' ch'io son già fatto

Dei venti albergator, che ad incontrarmi

Venga, mentre io pe' colli miei sul nembo

M'affretto a rivederla. - Oscar, che dici?

A me piuttosto, a me la tomba inalza.

No, non cedo la pugna: il braccio mio

Più sanguinoso e più di guerra esperto

Tutte di gloria t'aprirà le strade.

Ma ben tu, figliuol mio, s'avvien ch'io caggia,

Questa spada, quest'arco, e questo corno

Rammenta di riporre entro l'angusta

Scura magion; fa' che una bigia pietra

L'additi al passaggiero: alla tua cura

Alcun amor non accomando, o figlio,

Che più non è la vaga Evirallina,

La madre tua. Così parlammo; e intanto

Crebbe sul vento, e più e più gonfiossi

L'alta voce di Gaulo; ei la paterna

Spada rotando con furor si spinse

Alla strage, alla morte. Appunto come

Candido-gorgogliante onda colmeggia,

E scoglio assale: e come scoglio immoto

L'orrid'urto sostien; così i guerrieri

Assalir, resistèro: acciar si frange

Contro acciaro, uom contr'uom; suonano scudi,

Cadono eroi. Quai cento braccia e cento

Della fornace sul rovente figlio;

Così s'alzano piombano, martellano

Le loro spade. Orrido in Arven turbo

Gaulo rassembra; in sul suo brando siede

Distruzion d'eroi: parea Svarano

Foco devastator. Come poss'io

Dar tanti nomi, e tante morti al canto?

D'Ossian pur anco fiammeggiò la spada

Nel sanguigno conflitto: e tu pur anco

Terribil fosti, Oscarre, o de' miei figli

Il maggiore, il miglior. Nel suo segreto

Giojami il cor, quand'io scorgea 'l tuo brando

Arder sul petto dei nemici ancisi.

Essi fuggiro sbaragliati, e noi

Inseguimmo, uccidemmo: e come pietre

Van saltellon di balza in balza; o come

Scuri di quercia in quercia in bosco annoso

Erran colpi alternando; o come tuono

Di rupe in rupe si rimbalza in rotti

Spaventosi rimbombi: in cotal guisa

Colpo a colpo succede, e morte a morte

Dalla spada d'Oscarre, e dalla mia.

Ma già Svaran Gaulo circonda, e freme

Qual corsìa d'Inistòr. Fingallo il vede,

Vedelo, e già già s'alza, e già già l'asta

Solleva. Ullin, va' mio cantore, ei disse,

Vattene a Gaulo, e gli rammenta i fatti

De' padri suoi; la disugual contesa

Col tuo canto sostien': ravviva il canto,

E rinfranca gli eroi. Mossesi Ullino,

Venne a Gaulo dinanzi, e 'l canto sciolse

Infiammator dei generosi cori.

Combatti combatti,

Distruggi, abbatti,

Figlio del sir dei rapidi destrieri,

Fior de' guerrieri.

Pugna, pugna o braccio forte

In fatica aspra ed estrema:

Sir d'acute arme di morte,

Duro cor che mai non trema.

Figlio di guerra,

Atterra, atterra,

Fa' che più candida

Vela non tremoli

Sull'onde d'Inistòr.

Alza scudo orrendo qual nembo,

Che di morte ha gravido il grembo;

Il tuo brando - baleni rotando

Qual sanguigno notturno vapor.

Il braccio sia tuono sul campo,

Sia l'occhio di lampo,

Di scoglio sia 'l cor.

Combatti, combatti,

Distruggi, abbatti:

Figlio del sir dei rapidi destrieri,

Doma gli alteri.

Gaulo avvampa a tai note; il cor gli balza:

Fassi di sé maggior. Ma Svaran cresce,

E soverchia il garzon: fende in due parti

Lo scudo a Gaulo; del deserto i figli

Sbigottiti fuggiro. Allor Fingallo

Nella possanza sua sorse, e tre volte

La voce sollevò. Cromla rispose

Al forte tuono; s'arrestaro a un punto

Del deserto i guerrier; piegaro a terra

L'infocate lor facce, e a quella voce

Di sé stessi arrossiro. Egli s'en venne,

Come in giorno di sol piovosa nube

Move sul colle tenebrosa e lenta:

Stan muti i campi ad aspettar la pioggia.

Vide Svaran da lungi il formidato

Signor di Selma, ed arrestossi a mezzo

Del corso suo. Fosche aggrottò le ciglia;

Alla lancia s'attenne, e i rosseggianti

Occhi intorno rivolse. Ei muto e grande,

Quercia parea sopra il ruscel di Luba,

Cui già rapida folgore del cielo

Lasciò brulla di foglie, e incotta i rami:

Quella pende sul rio, sibila il musco.

Tal si stava Svarano: ei lento lento

Si ritirò sopra il ciglion del Lena:

L'accerchiano i suoi mille; e sopra il colle

S'addensa il bujo dell'orribil zuffa.

Ma in mezzo al popol suo splendea qual raggio

Fingallo; e tutti intorno a lui festosi

S'accolgono i suoi duci. Alza la voce

Del suo poter. Su su miei fidi, ergete

Tutti i stendardi miei: spieghinsi al vento

Sulla piaggia del Lena, e vibrin come

Fiamme su cento colli: essi ondeggiando

S'odano all'aure sibilar d'Erina,

E guerriera armonia spirinci in petto.

Qua, qua, figli, compagni: al vostro duce

Fatevi appresso, e della sua possanza

Le parole ascoltate. O Gaulo, invitto

Braccio di morte, o generoso Oscarre

Dai futuri conflitti, o delle spade

Figlio Conallo95, o bruno il crin Dermino96,

O tu re della fama, Ossian, dei canti

Alto signor; voi la vestigia e 'l corso

Seguite o figli del paterno braccio,

Imitatelo, o prodi. Alzammo il raggio

Solar della battaglia, il luminoso

Regio stendardo97, e lo seguian volando

Gli spirti nostri. Sventolava altero

Quello per l'aere, ori-lucente, e tutto

Gemmi-distinto, qual la vasta azzurra

Stellata conca del notturno cielo.

Avea pur ciascun duce il suo vessillo;

Ciascun vessillo i suoi guerrier. Mirate,

Disse il prence ospital, mirate come

Loclin sul Lena si divide e parte.

Stanno i nemici somiglianti a rotte

Nubi sul colle, o a mezzo arso e sfrondato

Bosco di quercie, quando il ciel traspare

Fra ramo e ramo, ed il vapor trasvola.

Amici di Fingal, ciascun di voi

Scelga una banda di color che stanno

Minacciosi lassuso, e non si lasci

Che alcun nemico dei sonanti boschi98

Sull'onde d'Inistor ricovri e fugga.

E ben, Gaulo gridò, miei fieno i sette

Duci del Lano: d'Inistorre il fosco

Sovrano, Oscar gridò, vengane al brando

Del figlio d'Ossian: venga al mio, soggiunse

Conallo, alma d'acciaro, il bellicoso

Sir d'Iniscona. O 'l re di Muda, od io

Oggi per certo dormirem sotterra,

Disse Dermino. Ossian, bench'or sì fiacco

E sì dolente, di Terman s'elesse

L'atroce re: non tornerò, gridai,

Senza il suo scudo. O generosi, o forti,

Disse Fingal col suo sereno sguardo,

Sia vittoria con voi. Tu re dell'onde,

Svaran, la scelta di Fingal tu sei.

Disse; e quai cento varii venti in cento

Diverse valli a imperversar sen vanno;

Così divisi noi movemmo; e Cromla

Scossesi, e n'echeggiò. Cotante morti

Chi può narrar? Bella di Toscar figlia,

Le nostre destre eran di sangue, e folte

Cadder le squadre di Loclin, quai ripe

Traportate dal Cona: alle nostr'armi

Tenne dietro vittoria: ognun dei duci

La promessa adempiè. Spesso, o donzella,

Sedesti in riva al mormorevol Brano,

Mentre il bianco tuo seno alternamente

S'alzava all'alternar de' bei respiri,

Qual piuma candidissima gentile

Di liscio cigno, che soave e lento

Veleggia per la liquida laguna,

Qualor di fianco una scherzosa auretta

Con dolce sferza la sommove e sparge.

Spesso, o bella, sedesti; e spesso hai visto

Dietro una nube rimpiattarsi il sole

Lento, infocato, e notte rammassarsi

D'intorno al monte, e 'l variabil vento

Romoreggiar per le ristrette valli.

Cade alfin pioggia grandinosa: il tuono

Rotola, ulula; il fulmine scoscende

Gli erti dirupi; su focosi raggi

Van cavalcando orridi spettri; e in basso

Rovesciasi precipitosa e torba

L'urlante possa de' torrenti alpini.

Tal della pugna era il fragor. Malvina,

Perché piangi, perché? Piangan piuttosto

Le figlie di Loclin, che n'han ben donde.

Cadde di lor contrada il popol, cadde,

Perché di sangue si pasceano i brandi

Della stirpe de' miei. Lasso! infelice!

Qual fui! qual sono! abbandonato, e cieco,

Non più compagno degli eroi passeggio,

Più quell'Ossian non sono. A me, donzella,

Quelle lagrime a me, ch'io con quest'occhi

Di tutti i cari miei vidi le tombe.

Nella confusa mischia il Re trafisse

Guerriero ignoto. Ei la canuta chioma

Per la polve traendo, i languid'occhi

Ver lui solleva. Il ravvisò Fingallo,

Ed ahi, gridò, tu di mia man cadesti

D'Aganadeca amico? io pur ti vidi

Gli occhi molli di lagrime alla morte

Dell'amata donzella, entro le stanze

Di quel padre crudel: tu de' nemici

Dell'amor mio fosti nemico, ed ora

Cadi per la mia mano? Ullin, la tomba

Ergi all'estinto, ed il suo nome aggiungi

D'Aganadeca alla canzon dolente.

Addio donzella dell'arvenie valli

Abitatrice, a questo cor sì cara.

Giunse all'orecchio a Cucullin nel cupo

Speco di Cromla lo scompiglio, e 'l tuono

Della turbata pugna: a sé Conallo

E Carilo chiamò. L'udiro i duci,

Presero l'aste: ei della grotta uscio,

E a mirar s'affacciò. Veder gli parve

Faccia di mar rimescolato e smosso

Dal cupo fondo, che flagella e assorbe

Con bollenti onde l'arenoso lito.

A cotal vista Cucullino a un punto

S'infiammò, s'oscurò; la mano al brando,

L'occhio corre al nemico: egli tre volte

Si scagliò per pugnar, tre lo rattenne

Conal. Che fai, sir di Dunscaglia? ei disse,

Fingallo è vincitor; già tutto ei strugge,

Tutto conquide ei sol: non cercar parte

Nella fama del Re, ch'è tardi e vano.

E ben, quei ripigliò, Carilo, vanne

Al re di Selma, e poiché spento in tutto

Sia il rumor della pugna, e che dispersa

Fugga Loclin, qual dopo pioggia un rivo,

Seco t'allegra; il tuo soave canto

Gli lusinghi l'orecchio; inalza al cielo

L'invincibile eroe. Carilo prendi,

Reca a Fingal questa famosa spada,

La spada di Cabàr; che d'inalzarla

Non è la man di Cucullin più degna.

Ma voi del muto Cromla ombre romite

Spirti d'eroi che più non son, voi soli

Siate oggimai di Cucullin compagni;

Voi venitene a lui dentro la grotta

Del suo dolor: più tra' possenti in terra

Nomato io non sarò; brillai qual raggio,

E qual raggio passai; nebbia son io

Che dileguossi all'apparir del vento

Rischiarator dell'offuscato colle.

Conàl, Conàl, non mi parlar più d'armi;

Già svanì la mia gloria; i miei sospiri

Di Cromla i venti accresceran, sintanto

Che i miei vestigi solitari e muti

Cessino d'esser visti. E tu, Bragela,

Piangi la fama mia, piangi me stesso:

Tu più non mi vedrai; raggio amoroso,

Non mi vedrai, non ti vedrò; son vinto.


 




88 - Questo canto può supporsi che incominci dopo la metà della terza notte.



89 - La donzella è Malvina, sposa di Oscar, figlio d'Ossian. Siccome questo canto contiene in gran parte le prodezze di questo giovine eroe, così il poeta con molta naturalezza introduce Malvina che viene per ascoltarle.



90 - Evirallina: figlia di Brano, signore irlandese.



91 - Corman: nobile signore irlandese, diverso da vari altri di questo nome.



92 - Il poeta ritorna al suo soggetto.



93 - Oscar non era alle mani che con una piccola banda di nemici, che andava errando senz'ordine. Questa dovette credere che il canto di Ossian fosse il segnale della battaglia e che Fingal lo seguitasse.



94 - Cioè: abitatori di monti soggetti a tempeste.



95 - Questo Conallo non è l'amico di Cucullino, ma un celebre guerriero scozzese, figlio di Ducaro, di cui le imprese e la morte vengono riferite nel poema di Temora.



96 - Dermid, figlio di Dutno, di cui pure molto si parla nello stesso poema.



97 - Lo stendardo di Fingal distinguevasi col nome di raggio solare: probabilmente dallo splendore che mandava, per esser coperto d'oro. Innalzare il raggio solare nelle antiche poesie significa il dar principio alla battaglia.



98 - Alcun nemico dei sonanti boschi: cioè, nemico dell'Irlanda.






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