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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Precipitaro i nugoli notturni,114)
E si posar su la pendice irsuta
Del cupo Cromla. Sorgono le stelle
Sopra l'onde d'Ullina, e i glauchi lumi
Mostrano fuor per la volante nebbia.
Mugge il vento lontano: è muta e fosca
La pianura di morte. Ancor gli orecchi
Dolce fiedea l'armoniosa voce
Del buon cantore. Ei celebrò i compagni
Di nostra gioventude, allor che prima
Noi c'incontrammo in sull'erboso Lego,
E la conca ospital girava intorno.
Tutte del Cromla le nebbiose cime
Risposero al suo canto, e l'ombre antiche
De' celebrati eroi venner sull'ale
Ratte dei nembi, e con desio fur viste
Piegarsi al suon delle gradite lodi.
Benedetto il tuo spirto in mezzo ai venti,
Carilo antico!115 Oh venistù sovente
La notte a me, quando soletto io poso!
E tu ci vieni, amico: odo talvolta
La tua maestra man, ch'agile e leve
Scorre per l'arpa alla parete appesa.
Ma perché non favelli alla mia doglia?
Perché non mi conforti? i cari miei,
Quando mi fia di riveder concesso?
Tu taci e parti; e 'l vento che t'è scorta
Fischiami in mezzo alla canuta chioma.
Ma dal lato di Mora intanto i duci
S'adunano al convito. Ardon nell'aria
Cento querce ramose, e gira intorno
Il vigor delle conche116. I duci in volto
Splendon di gioja: sol pensoso e muto
Stassi il re di Loclin; siedongli insieme
Ira e dolor sull'orgogliosa fronte.
Guata il Lena, e sospira: ha ferma in mente
La sua caduta. Sul paterno scudo
Stava chino Fingallo: egli la doglia
Osservò di Svarano, e così disse
Al primo de' cantori: Ullino, inalza
Il canto della pace, e raddolcisci
I bellicosi spirti, onde l'orecchio
Ponga in oblio lo strepito dell'armi.
Sien cento arpe dappresso, e infondan gioja
Nel petto di Svaran. Tranquillo io voglio
Che da me parta: alcun non fu per anco
Che da Fingàl mesto partisse. Oscarre,
Contro gli audaci e valorosi in guerra
Balena il brando mio: se cedon questi,
Pacatamente mi riposa al fianco.
Visse Tremmorre, incominciò dei canti
La dolce bocca, e per le nordiche onde
Di tempeste e di venti errò compagno.
La scoscesa Loclin coi mormoranti
Suoi boschi apparve al peregrino eroe
Tra le sue nebbie: egli abbassò le vele,
Balzò sul lido, ed inseguì la belva,
Che per le selve di Gormal ruggìa.
Molti eroi già fugò, molti ne spense
Quella; ma l'asta di Tremmor l'uccise.
Eran tre duci di Loclin presenti
All'alta impresa, e raccontar la possa
Dello straniero eroe: disser ch'ei stava
Qual colonna di foco, e d'arme chiuso,
Raggi spandea d'insuperabil forza.
Festoso il Re largo convito appresta,
Ed invita Tremmorre. Il giovinetto
Tre giorni festeggiò nelle ventose
Loclinie torri; e a lui diessi la scelta
Dell'arringo d'onor. Loclin non ebbe
Sì forte eroe, che gli durasse a fronte.
N'andò la gioja della conca in giro:
Canti, arpe, applausi: alto sonava il nome
Del giovine regal, che dal mar venne,
Delle selve terror, primo dei forti.
Sorge il quarto mattin. Tremmor nell'onde
Lanciò la nave, e a passeggiar si pose
Lungo la spiaggia in aspettando il vento,
Che da lungi s'udia fremer nel bosco.
Quand'ecco un figlio di Gormal selvoso
Folgorante d'acciar, che a lui s'avanza.
Gota vermiglia avea, morbida chioma,
Mano di neve; e sotto brevi ciglia
Placido sorridea ceruleo sguardo:
E sì prese a parlargli: Olà t'arresta,
Arrestati Tremmor: tutti vincesti,
Ma non hai vinto di Lonvallo il figlio.
La spada mia de' valorosi il brando
Spesso incontrò: dal mio infallibil arco
S'arretraro i più saggi. O giovinetto
Di bella chioma, ripigliò Tremmorre,
Teco non pugnerò. Molle è 'l tuo braccio
Troppo vago sei tu, troppo gentile:
Torna ai cervetti tuoi. - Tornar non voglio
Se non col brando di Tremmor, tra 'l suono
Della mia fama: giovinette a schiere
Circonderan con teneri sorrisi
Lui che vinse Tremmor; trarran del petto
Sospiretti d'amore, e la lunghezza
Della tua lancia misurando andranno,
Mentr'io pomposo mostrerolla, e al sole
Ne innalzerò la sfavillante cima.
Tu la mia lancia? disdegnoso allora
Soggiunse il Re: la madre tua piuttosto
Ritroveratti pallido sul lido
Del sonante Gormallo, e risguardando
Verso l'oscuro mar, vedrà le vele
Di chi le uccise il temerario figlio.
E ben, disse il garzon, molle dagli anni
È il braccio mio; contro di te non posso
L'asta inalzar, ma ben col dardo appresi
A passar petto di lontan nemico.
Spoglia, o guerrier, quel tuo pesante arnese;
Tu sei tutto d'acciaro: io primo a terra
Getto l'usbergo, il vedi; or via, Tremmorre,
Scaglia il tuo dardo. Ondoleggiante ei mira
Un ricolmetto seno. Era costei
La sorella del Re. Vide ella il duce
Nelle fraterne sale, ed invaghissi
Del viso giovenil. Cadde la lancia
Dalla man di Tremmorre: abbassa a terra
Focoso il volto: l'improvvisa vista
Sino al cor lo colpì, siccome un vivo
Raggio di luce che diritto incontra
I figli della grotta117, allor che al sole
Escon dal bujo, e al luminoso strale
Chinano i sguardi abbarbagliati e punti.
O re di Morven, cominciò la bella
Dalle braccia di neve, ah lascia ch'io
Nella tua nave mi riposi, e trovi
Contro l'amor di Corlo118 asilo e schermo.
Terribile è costui per Inibaca,
Quanto il tuon del deserto: amami il fero,
Ma dentro il bujo d'un atroce orgoglio;
E diecimila lance all'aria scuote
Per ottenermi. E ben, riposa in pace,
Disse l'alto Tremmor, dietro lo scudo
De' padri miei; poi diecimila lance
Scuota Corlo a suo senno, io non pavento:
Venga, l'attendo. Ad aspettar si stette
Tre dì sul lido: alto squillava il corno.
Da tutti i monti suoi, da tutti i scogli
Corlo sfidò, ma non apparve il fero.
Scese il re di Loclin: rinnovellarsi
I conviti, e le feste in riva al mare,
E la donzella al gran Tremmor fu sposa.
Svaran, disse Fingal, nelle mie vene
Scorre il tuo sangue: le famiglie nostre
Sitibonde d'onor, vaghe di pugna
Più volte s'affrontar, ma più volte anco
Festeggiarono insieme, e l'una all'altra
Fer di conca ospital cortese dono.
Ti rasserena adunque, e nel tuo volto
Splenda letizia, e alla piacevol arpa
Apri l'orecchio e 'l cor. Terribil fosti,
Qual tempesta, o guerrier, de' flutti tuoi;
Tu sgorgasti valor: l'alta tua voce
Quella valea di mille duci e mille.
Sciogli doman le biancheggianti vele,
Fratel d'Aganadeca: ella sovente
Viene dall'anima mia per lei dogliosa,
Qual sole in sul meriggio: io mi rammento
Quelle lagrime tue; vidi il tuo pianto
Nelle sale di Starno, e la mia spada
Ti rispettò mentr'io volgeala a tondo
Rosseggiante di sangue, e colmi avea
Gli occhi di pianto, e 'l cor ruggia di sdegno.
Che se pago non sei, scegli, e combatti.
Quell'arringo d'onor, che i padri tuoi
Diero a Tremmor, l'avrai da me: giojoso
Vo' che tu parta, e rinomato e chiaro
Siccome sol che al tramontar sfavilla. -
Invitto re della Morvenia stirpe,
Primo tra mille eroi, non fia che teco
Più mai pugni Svaran: ti vidi in pria
Nella reggia paterna, e i tuoi freschi anni
Di poco spazio precedeano i miei.
E quando, io dissi a me medesmo, e quando
La lancia inalzerò, come l'inalza
Il nobile Fingal? Pugnammo poi
Sul fianco di Malmor, quando i miei flutti
Spinto m'aveano alle tue sale, e sparse
Risonavan le conche: altera zuffa
Certo fu quella e memoranda: or basta;
Lascia che il bon cantore esalti il nome
Del prode vincitor. Fingallo ascolta:
Più d'una nave di Loclin poc'anzi
Restò per te de' suoi guerrieri ignuda:
Abbiti queste, o duce, e sii tu sempre
L'amico di Svaran. Quando i tuoi figli
All'alte torri di Gormal verranno,
S'appresteran conviti, e lor la scelta
Della tenzon s'offerirà. Né nave,
Rispose il Re, né popolosa terra
Non accetta Fingàl: pago abbastanza
Son de' miei monti, e dei cervetti miei.
Conserva i doni tuoi, nobile amico
D'Aganadeca: al raggio d'oriente
Spiega le bianche vele, e lieto riedi
Al nativo Gormallo. O benedetto
Lo spirto tuo, Re delle conche eccelso,
Gridò Svaran, di maraviglia pieno;
Tu sei turbine in guerra, auretta in pace.
Prendi la destra d'amistade in pegno,
Generoso Fingallo. I tuoi cantori
Piangano sugli estinti, e fa' ch'Erina
I duci di Loclin ponga sotterra,
E della lor memoria erga le pietre:
Onde i figli del Nord possano un giorno
Mirare il luogo, ove pugnar da forti
I loro padri, e 'l cacciatore esclami,
Mentre s'appoggia a una muscosa pietra:
Qui Fingallo, e Svaran lottaro insieme,
Que' prischi eroi: così diranno, e verde
La nostra fama ognor vivrà. Svarano,
Fingal riprese, oggi la gloria nostra
Della grandezza sua giunse alla cima.
Noi passerem qual sogno: in alcun campo
Più non s'udrà delle nostr'arme il suono:
Ne svaniran le tombe, e 'l cacciatore
In van sul prato del riposo nostro
L'albergo cercherà: vivranno i nomi,
Ma fia spento il valor. Carilo, Ullino,
Ossian, cantori, a voi son noti i duci
Che più non sono. Or via sciogliete i canti
De' tempi antichi, onde la notte scorra
Tra dolci suoni, ed il mattin risorga
Nella letizia. Ad allegrare i regi
Sciogliemmo il canto, e cento arpe soavi
La nostra voce accompagnar. Svarano
Rasserenossi, e risplendè, qual suole
Colma luna talor, quando le nubi
Sgombran dalla sua faccia, e lascian quella
Ampia, tersa, lucente in mezzo al cielo.
Allor Fingallo a Carilo si volse,
E prese a dirgli: ov'è di Semo il figlio?
Ov'è il re di Dunscaglia? a che non viene?
Come basso vapor forse s'ascose
Nella grotta di Tura? Ascoso appunto,
Rispose il buon cantor, sta Cucullino
Nella grotta di Tura: in su la spada
Egli ha la destra, e nella pugna il core,
Nella perduta pugna. È cupo e mesto
Il re dell'aste, che più volte in campo
Già vincitor si vide. Egli t'invìa
La spada di Cabarre, e vuol che posi
Sul fianco di Fingàl, perché qual nembo
I poderosi suoi nemici hai spersi.
Prendi, o Fingàl, questa famosa spada,
Che già la fama sua svanì qual nebbia
Scossa dal vento. Ah non fia ver, rispose
L'alto Fingàl, ch'io la sua spada accetti;
Possente è 'l braccio suo: vattene, e digli
Che si conforti; già sicura e ferma
È la sua fama, e di svanir non teme.
Molti prodi fur vinti, e poi di nuovo
Scintillaron di gloria. E tu pur anche,
Re dei boschi sonanti, il tuo cordoglio
Scorda per sempre: i valorosi, amico,
Benché vinti, son chiari: il sol tra i nembi
Cela il capo talor, ma poi ridente
Torna a guardar su le colline erbose.
Viemmi Gruma alla mente. Era già Gruma
Un sir di Cona: egli spargea battaglia
Per tutti i lidi; gli gioìa l'orecchio
Nel rimbombo dell'armi, e 'l cor nel sangue.
Ei spinse un giorno i suoi guerrier possenti
Sull'echeggiante Craca; e il re di Craca
Dal suo boschetto l'incontrò, che appunto
Tornava allor dal circolo di Bruno,
Ove alla pietra del poter119 poc'anzi
Parlato avea. Fu perigliosa e fera
La zuffa degli eroi per la donzella
Dal bel petto di neve. Avea la fama
Lungo il Cona natìo portato a Gruma
La peregrina amabile beltade
Della figlia di Craca, ed egli avea
Giurato d'ottenerla, o di morire.
Pugnaro essi tre dì: Gruma nel quarto
Annodato restò. Senza soccorso
Lungi da' suoi, l'immersero nel fondo
Dell'orribile circolo di Bruno,
Ove spesso ulular l'ombre di morte
Diceansi intorno alla terribil pietra
Del lor timor. Ma che? da quell'abisso
Uscì Gruma e rifulse. I suoi nemici
Cadder per la sua destra; egli riebbe
L'antica fama. O voi cantor, tessete
Inni agli eroi, che dalla lor caduta
Sorser più grandi, onde il mio spirto esulti
Nella giusta lor lode, ed a Svarano
Il cordoglio primier tornisi in gioja.
Allor di Mora su la piaggia erbosa
Si posero a giacer. Fischiano i venti
Tra le chiome agli eroi. S'odono a un tempo
Cento voci, cento arpe: i duci antichi
Si rimembràr, si celebràro. - E quando
Udrò adesso il cantor? quando quest'alma
S'allegrerà nelle paterne imprese?
L'arpa in Morven già tace, e più sul Cona
Voce non s'ode armoniosa: è spento
Col possente il cantor; non v'è più fama.
Va tremolando il mattutino raggio
Su le cime di Cromla, e d'una fioca
Luce le tinge. Ecco squillar sul Lena
Il corno di Svaran: dell'onde i figli
Si raccolgon d'intorno, e muti e mesti
Salgon le navi: vien d'Ullina il vento
Forte soffiando a rigonfiar le vele
Candido-galleggianti, e via gli porta.
Olà, disse Fingàl, chiaminsi i veltri,
Rapidi figli della caccia, il fido
Brano dal bianco petto, e la ringhiante
Forza arcigna di Lua. Qua qua, Fillano,
Rino... ma non è qui: riposa il figlio
Sopra il letto feral. Fillan, Fergusto,
Rintroni il corno mio, spargasi intorno
La gioja della caccia: impauriti
L'odan del Cromla i cavrioli e i cervi,
E balzino dal lago. Errò pel bosco
L'acuto suon: dello scoglioso Cromla
S'alzano i cacciator; volano a slanci
Chi qua, chi là mille anelanti veltri
Sulla lor preda ad avventarsi. Un cervo
Cade per ogni can: ma tre ne afferra
Brano, e gli addenta, e di Fingallo al piede
Palpitanti gli arreca. Egli a tal vista
Gongola di piacer. Ma un cervo cadde
Sulla tomba di Rino, e risvegliossi
Il cordoglio del padre. Ei vide cheta
Starsi la pietra di colui, che 'l primo
Era dianzi alla caccia. - Ah figlio mio,
Tu non risorgi più! tu della festa
A parte non verrai; già la tua tomba
S'asconderà; già l'erba inaridita
La coprirà: con temerario piede
Calpesteralla un dì la schiatta imbelle,
Senza saper ch'ivi riposa il prode.
Figli della mia forza, Ossian, Fillano,
Gaulo re degli acciar, poggiam sul colle
Ver la grotta di Tura, andiam, veggiamo
D'Erina il condottiero. Oimè, son queste
Le muraglie di Tura? ignude e vuote
Son d'abitanti, e le ricopre il musco.
Mesto è 'l re delle conche, e desolato
Sta l'albergo regal: venite, amici,
Al sir dei brandi, e trasfondiamgli in petto
Tutto il nostro piacer. Ma che? m'inganno?
Fillano, è questi Cucullino? oppure
È colonna di fumo? emmi sugli occhi
Di Cromla il nembo, e ravvisar non posso
L'amico mio. Sì, Cucullino è questo,
Gli rispose il garzon. Vedilo, è muto
E tenebroso, ed ha la man sul brando.
Salute al figlio di battaglia120: addio
Spezzator degli scudi. A te salute,
Rispose Cucullin, salute a tutta
L'alta schiatta di Selma. O mio Fingallo;
Grato è l'aspetto tuo: somiglia al sole,
Cui lungo tempo sospirò lontano
Il cacciatore, e lo ravvisa alfine
Spuntar da un nembo. I figli tuoi son vive
Stelle ridenti, onde la notte ha luce.
O Fingallo, o Fingàl, non tale un giorno
Già mi vedesti tu, quando tornammo
Dalle battaglie del deserto, e vinti
Fuggian dalle nostr'arme i re del mondo121,
E tornava letizia ai patrj colli.
Gagliardo a detti, l'interruppe allora
Conan di bassa fama122, assai gagliardo
Se' tu per certo, Cucullin: son molti
I vanti tuoi; ma dove son l'imprese?
Or non siam noi per l'oceàn qua giunti,
Per dar soccorso alla tua fiacca spada?
Tu fuggi all'antro tuo: Conanno intanto
Le tue pugne combatte. A me quell'arme,
Cedile a me; che mal ti stanno. Eroe
Alcun non fu che ricercare osasse
L'arme di Cucullin, rispose il duce
Alteramente; e quando mille eroi
Le cercassero ancor, sarebbe indarno,
Tenebroso guerriero: alla mia grotta
Non mi ritrassi io già, finché d'Erina
Vissero i duci. Olà, gridò Fingallo,
Conan malnato, dall'ignobil braccio,
Taci, non parlar più. Famoso in guerra
È Cucullino, e ne grandeggia il nome.
Spesso udii la tua fama, e spesso io fui
Testimon de' tuoi fatti, o tempestoso
Sir d'Inisfela. Or ti conforta, e sciogli
Le tue candide vele in ver l'azzurra
Nebbiosa isola tua. Vedi Bragela
Che pende dalla rupe; osserva l'occhio
Che d'amore e di lagrime trabocca.
I lunghi crini le solleva il vento
Dal palpitante seno. Ella l'orecchio
Tende all'aura notturna, e pure aspetta
Il fragor de' tuoi remi, e 'l canto usato
De' remiganti, e 'l tremolio dell'arpa
Che da lungi s'avanza. - E lungo tempo
Starà Bragela ad aspettarlo invano.
No più non tornerò: come potrei
Comparir vinto alla mia sposa innanzi,
E mirarla dolente? Il sai, Fingallo,
Io vincitor fui sempre. E vincitore
Quinci innanzi sarai, qual pria tu fosti,
Disse Fingal: di Cucullin la fama
Rinverdirà come ramosa pianta.
Molta gloria t'avanza, e molte pugne
T'attendono, o guerriero, e molte morti
Usciran dal tuo braccio. Oscarre, i cervi
Reca, e le conche, e 'l mio convito appresta.
I travagliati spirti abbian riposo
Dopo lunghi perigli: e i fidi amici
Si ravvivin di gioja al nostro aspetto.
Festeggiammo, cantammo. Alfin lo spirto
Di Cucullin rasserenossi: al braccio
Tornò la gagliardia, la gioja al volto.
Ivano Ullino e Carilo alternando
I dolci canti: io mescolai più volte
Alla lor la mia voce, e delle lance
Cantai gli scontri, ove ho pugnato, e vinto.
Misero! ed or non più: cessò la fama
Di mie passate imprese, e abbandonato
Seggomi al sasso de' miei cari estinti.
Così scorse la notte, infin che 'l giorno
Sorse raggiante. Dall'erbosa piaggia
Alzossi il Re, scosse la lancia, e primo
Lungo il Lena movea: noi lo seguimmo
Come strisce di foco. Al mare, al mare,
Spieghiam le vele, ed accogliamo i venti
Che sgorgano dal Lena. Egli sì disse
Noi salimmo le navi, e ci spingemmo
Tra canti di vittoria e liete grida
Dell'oceàn per la sonante spuma.