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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Padre d'eroi238, Tremmòr239, scendi sull'ale
Dei vorticosi venti ov'hai soggiorno,
Là dove il forte rotolar del tuono
Di sue fosco-vermiglie orride strisce
Segna le falde di turbate nubi.
Vieni, o padre d'eroi, vientene, e schiudi
Le tempestose tue sale sonanti;
E teco a schiere dei cantori antichi
Vengano l'ombre, e dolci aerei canti
Traggan dall'indistinte armoniche arpe.
Non abitante di nebbiosa valle,
Non cacciator che sconosciuto imbelle
Lungo il rivo natio lento s'affida,
Oscarre al carro nato, Oscàr sen viene
Dal campo della fama. O figlio mio,
Quanto diverso or sei da quel che fosti
Sull'oscuro Moilena240! in le sue falde
Già t'avviluppa il nembo, e seco a volo
Forte fischiando per lo ciel ti porta.
Ah figlio mio, vedi tuo padre? il vedi
Che per la notte erra di poggio in poggio
Sospirando per te? Dormon da lungi
Gli altri guerrier, che non perdero un figlio.
Ma perdeste un eroe, duci possenti
Delle morvenie guerre. E chi nel campo
Pareggiavasi a lui, quando la pugna
Contro il suo fianco si volvea, qual nera
Massa d'onde affollate? Ossian che pensi?
A che quest'atra nuvola di doglia
Sopra l'alma ti sta? presso è il periglio.
Un foco esser degg'io: stringeci Erina,
E solo è il Re241. No, padre mio: fintanto
Che l'asta io reggerò, non sarai solo.
M'alzai d'arme sonante, e alla notturna
Aura porsi l'orecchio, a udire intento
Lo scudo di Fillan: ma suon di scudo
Qui non s'intende; io pel garzon tremai.
Ah scendesse il nemico242! e soverchiasse
Il ben-crinito battagliero! alfine
Udissi un sordo mormorio da lungi,
Quasi rumor del Lego, allor che l'onde
Irrigidite nei giorni del verno
Si rapprendono in ghiaccio, e alternamente
Screpola e stride la gelata crosta:
Risguarda al cielo il popolo di Lara,
E tempesta predice. I passi miei
Sul poggio s'avanzar: l'asta di Oscarre
Mi splendea nella man; rossicce stelle
Guardavano dall'alto. Alla lor luce
Vidi Fillan che tacito pendea
Dalla rupe di Mora: ei del nemico
Sentì la mossa romorosa, e gioja
Nel cor gli si destò243; ma de' miei passi
Odesi a tergo il calpestio; si volge,
Sollevando la lancia. E tu chi sei244,
Figlio di notte? in pace vieni? o cerchi
Scontrare il mio furor? miei di Fingallo
Sono i nemici: o tu favella, o temi
L'acciaro mio: non son qui fermo invano,
Della stirpe di Selma immoto scudo.
E non avvenga mai che invan, risposi,
Fermo in guerra tu stia, vivace figlio
Dell'occhi-azzurra Clato245: ad esser solo
Fingal comincia; oscurità si sparge
Sugli estremi suoi dì: ma pure ha seco
Due figli ancor246 che splenderanno in guerra.
A rischiarar di sua partenza i passi
Due rai questi esser denno. O sir dei canti,
Il garzon ripigliò, poco è che appresi
A sollevar la lancia, e pochi ancora
Nel campo son della mia spada i segni:
Ma una vampa è 'l mio cor: presso lo scudo
Dell'eccelso Catmòr, di Bolga247 i duci
Vansi accogliendo, e tu veder gli puoi
Su quel poggio colà. Che far degg'io?
Tornar forse a Fingallo? oppure all'oste
De' nemici appressarmi248? Ossian, tu 'l sai,
Nella corsa di Cona249 altrui non cessi
Che ad Oscar tuo. - Che mi rammenti Oscarre?
No no Fillan, non t'appressar, paventa
Di non cader, anzi che metta i vanni
La fama tua250. Noto son io nel canto251
E accorro allor ch'è d'uopo252: io le raccolte
A vegliar mi starò turbe nemiche.
Ma tu taci d'Oscarre: a che risvegli
Il sospiro d'un padre? infin che 'l nembo
Di guerra non passò, scordarmi io deggio
Del diletto guerriero: ov'è periglio
Non ha luogo tristezza, e mal sull'occhio
Di verace guerrier lagrima siede.
Così gli estinti valorosi figli
I nostri padri tra 'l fragor dell'armi
Dimenticar solean; ma poi che pace
Tornava alla lor terra, allor tristezza,
Allor dei vati il doloroso canto
Circondava le tombe.253 Era Conarte254
A Tràtalo fratel, primo fra i duci.
Portava di sua spada i monumenti
Ogni spiaggia, ogni costa; e mille rivi
Misto volvean de' suoi nemici il sangue.
La fama sua, come piacevol aura,
Empiè la verde Erina: il popol tutto
In Ullina adunossi, e benedisse
L'eletto re, re della stirpe eccelsa
De' padri suoi255, che la natia dei cervi
Terra lasciò per arrecargli aita.
Ma dentro il bujo d'alterezza involti
Stavan d'Alnecma256 i duci, e gìan mescendo
Voci interrotte di dispetto e d'ira
Giù nel cupo di Muma, orrido speco,
Ove dei padri lor le tenebrose
Burbere forme s'affacciavan spesso
Agli spiragli dei spaccati massi,
Rimembrando ai lor figli iratamente
L'onor di Bolga calpestato e offeso.257
Come? Conarte regnerà? Conarte
Di Morven figlio? uno stranier su noi?
No non fia vero. Essi sboccar col rugghio
Di lor cento tribù, torrenti in piena.
Ma fu rupe Conarte: infranta e doma
Dal fianco suo ne rimbalzò la possa.
Pur tante volte ritornàr, che alfine
Cadder d'Ullina i figli. Il Re si stette
Sopra le tombe de' suoi duci assiso,
E declinava dolorosamente
L'oscura faccia: in sé stesso ravvolto
Era lo spirto suo; gli estinti amici
Seguir prefisse, e già segnato avea
Il luogo della morte e della tomba.
Quando Tràtalo venne, il re possente
Di Morven nubilosa, e non già solo:
Colgarre258 era con lui, Colgarre il figlio
Di Solincorma biancicante il seno,
E dell'invitto Re. Non con più forza
Tutto vestito di meteore ardenti
Dalle sale del turbine e del tuono
Scende Tremmorre, e dal focoso seno
Sopra il turbato mar sgorga tempesta:
Di quella onde Colgarre alla battaglia
Venne fremendo, e fea scempio del campo.
Occhio di gioja rivolgeva il padre
Sui fatti dell'eroe: ma che? di furto
Venne una freccia, e 'l suo gioir recise.
Cadde Colgarre: gli si alzò la tomba,
Né una lagrima uscì: sangue, e non pianto
Il Re versò per vendicare il figlio.
Fuggì Bolga dispersa, e mesta pace
Tornò su i colli: i suoi cerulei flutti
Ricondussero il Duce al patrio regno.
Allor la dolorosa rimembranza
Del figlio estinto gli piombò sul core
Con maggior possa, lagrime sgorgaro
Dalle paterne impietosite luci.
Nello speco di Furmo259 il Re del figlio
Pose la spada, onde il diletto eroe
S'allegrasse in mirarla, e sullo speco
I dolenti cantor con alte grida
Al suo terren natio chiamar tre volte
L'anima di Colgàr; tre volte udilli
Lo spirto errante, e tre porse la testa
Fuor di sua nebbia, e a quel chiamar rispose.
Colgar, disse Fillan, Colgar felice!
Tu fosti rinomato in gioventude.
Ma non per anco il Re vide il mio brando
Errar pel campo in luminose strisce.
Misero!260 con la folla inonorato
Esco alla pugna, e inonorato e misto
Pur tra la folla alla magion ritorno.
Ma il nemico s'appressa. Osserva, ascolta,
Ossian, che romorio! non sembra il tuono
Del terren fra le viscere ristretto261,
Alle cui scosse traballando i monti
Si rovescian sul dorso i boschi ombrosi?
Volsimi in fretta: sollevai nell'alto262
La fiamma d'una quercia, e la dispersi
Sopra il vento di Mora. A mezzo il corso
Arrestossi Catmorre. In tale aspetto
Rupe vid'io, sopra i cui fianchi il nembo
Sbatte le penne, e i suoi correnti rivi
Con nodi aspri di gelo afferra e stringe.
Cotal si stette rilucente, immoto
L'amico dei stranieri263; il vento ergea
La pesante sua chioma. O duce d'Ata,
Della stirpe d'Erina, al volto, al braccio
Il più possente ed il maggior tu sei.
Primo tra' miei cantor, diss'ei, Fonarre
Chiamami i duci miei264, chiama Cormiro
L'igni-crinito, l'accigliato Malto,
E 'l torvo obliquamente riguardante
Bujo di Maronan, vengami inanzi
L'orgoglio di Foldano, e di Turloste
L'occhio rosso-rotante, e venga Idalla,
La cui voce in periglio è suon di pioggia
Ristoratrice d'appassita valle.
Disse; né quei tardar: curvi e protesi
Stavan costoro alla sua voce, appunto
Qual se uno spirto de' lor padri estinti
Parlasse lor tra le notturne nubi.
Terribilmente strepitavan l'arme
Sul petto ai duci, e di lor arme uscia
Vampa feral: così talor vampeggia
Il torrente di Brumo a' rai riflessi
D'infocati vapori; in suo viaggio
Notturno peregrin trema e s'arresta,
E i rai più puri del mattin sospira.
Foldan, disse Catmorre, ond'è che tanto
Versar di notte de' nemici il sangue
Sempre dunque t'aggrada?265 a' rai del giorno
Manca forse il tuo braccio? abbiamo a fronte
Pochi nemici: e fra notturna nebbia
Avviluppar dovremci? amano i prodi
Per testimon di lor prodezze il Sole.
Ma che, duce di Moma? il tuo consiglio
È già vano per sé: Morven266 non dorme;
E gli aquilini suoi vigili sguardi
Non si parton da noi. Di loro squadre
Tutto s'accolga la rugghiante possa;
Domani io moverò; doman di Bolga
Contro i nemici andrò. Chiede vendetta
Degna di me di Bombarduto267 il figlio,
Già possente, ora basso. Inosservati,
Foldan rispose, alla tua stirpe innanzi
Giammai non fur della mia forza i passi.268
Di Cairba i nemici a' rai del giorno
Spesso incontrai, spesso respinsi, e 'l duce
Di lodi al braccio mio parco non era:
Or la sua pietra inonorata, e senza
Stilla di pianto s'alzerà? né canti
Sulla tomba s'udran del re d'Erina?
E allegrarsene ancora impunemente
Dovran costoro? ah non fia vero: a lungo
No non s'allegreran. Fu di Foldano
Cairba amico: e noi mescemmo insieme
Colà nel tenebroso antro di Moma269)
Parole d'amistà; mentre tu ancora
Fanciulletto inesperto ivi pel campo
Capi mietendo di velluti cardi.
Io coi figli di Moma, io spingerommi
Là su quei colli; io sonnacchiosa o desta
Morven disperderò. Cadrai Fingallo,
Grigio-crinito regnator di Selma;
Né onor di pianto, né di canto avrai.
Fiacco e basso guerrier, Catmòr soggiunse,
Che parli tu? puoi tu pensar, puoi dunque
Pensar tu mai, che di sua fama ignudo
Cader possa l'eroe? che sulla tomba,
Dell'eccelso Fingal tacciano i vati?
Scoppieria dalla terra e dalle pietre
Spontaneo il canto, e 'l seguiria su i nembi.
Sai tu quando avverrà, che canti e lodi
Scordi il cantor? quando cadrà Foldano.
Troppo scuro se' tu, duce di Moma,
Troppo sei truce, ancor ch'entro le pugne
Il braccio tuo fia turbine e tempesta.
Che? bench'io di furor pompa non faccia,
Forse scordai nella magion ristretta
D'Erina il re? non e' con lui sepolto
L'amor mio pel fratello: allor che ad Ata
Tornar solea con la mia fama, io vidi
Sulla sua crespa annuvolata fronte
Errar sovente di letizia un raggio.
Ciascuno a cotai detti a' proprj seggi
Si ritirò con garrulo bisbiglio;
E a lor vario aggirarsi alle notturne
Stelle, scorrea su per li scudi e gli elmi
Luce cangiante e fievole, qual suole
Riverberar da uno scoglio golfo,
Che l'aura per la notte increspa e lambe.
Sedea sotto una quercia il duce d'Ata;
Pendea dall'alto il suo rotondo scudo.
Dietro sedeagli, e s'appoggiava a un masso
Lo stranier d'Inisuna270, il gentil raggio
Dall'ondeggiante crin271, che di Catmorre
Venne sull'orme, e fe' pel mar tragitto,
Lumon272 lasciando ai cavrioli e ai cervi.
Non lunge udiasi tintinnir la voce
Del buon Fonàr, sacra all'antiche imprese;
E tratto tratto si sperdeva il canto
per lo crescente gorgoglio del Luba.
Crotarre273, ei cominciò, sull'Ata ondoso
Primo fermossi: cento querce e cento
Lasciar più monti di sé stesse ignudi,
Per fabbricar le risonanti sale
De' suoi conviti, ove il suo popol tutto
S'accoglieva festoso. E chi tra i duci
Era in forza o bellezza a te simìle,
Maestoso Crotarre? al tuo cospetto
Di repentina bellicosa fiamma
S'accendeano i guerrieri, e uscìa dal seno
Delle donzelle il giovenil sospiro
Della stirpe di Bolga: al capo eccelso
Feste feansi ed onori; e Alnecma erbosa
D'un ospite sì grande iva superba.
Le fere in caccia di seguir vaghezza
Trasselo un dì sino alla verde Ullina,
Sul giogo di Drumardo. Iva pel bosco
Conlama bella dall'azzurro sguardo,
Conlama figlia di Casmino: il duce
Adocchiò, sospirò: s'arresta incerta
Di rossor, di desìo; vorria scoprirsi,
Nascondersi vorrebbe; or mostra, or cela
La sua faccia gentil tra rivo e rivo
Dell'ondeggiante crin. Scese la notte,
E la luna dal ciel vide il frequente
Alitar del suo petto, e delle braccia
L'inquieto agitar; che 'l nobil duce
Era il dolce pensier de' sogni suoi.
Tre dì Crotarre con Casmino insieme
Stettersi a festeggiar: nel quarto andaro
Nel bosco a risvegliar cervetti e damme.
Conlama coll'amabili sue grazie
V'andò pur essa: in un augusto passo
In Crotàr, s'abbattè; caddele a un tratto
L'arco di man; volse la faccia, e mezzo
Tra 'l folto crin l'ascose. Arse Crotarre,
E senza più la verginella ad Ata
Tutta tremante seco trasse: i vati
Venner coll'arpe ad incontrarli: e gioja
Per la bella d'Ullina errava intorno.
Ma divampò di furibondo orgoglio
Turloco altier della donzella amante.
Venne ad Alnecma, e con armate squadre
Contro ad Ata si volse. Uscì Cormulte,
Il fratel di Crotarre; uscì, ma cadde;
Il suo popol ne pianse. Allor si mosse
In maestoso e taciturno aspetto
La di Crotarre intenebrata forza:
Ei disperse i nemici, e alla sua sposa
Tornò letizia a serenar lo spirto.
Ma pugna a pugna sopraggiunse, e sangue
Sopra sangue sgorgò. Tutto era il campo
Tombe d'eroi; tutte le nubi intorno
Pregne d'ombre pendean di duci ancisi.
Non avea Alnecma altro riparo o schermo
Che di Crotar lo scudo, e d'esso all'ombra
Tutto si strinse: ei de' nemici al corso
Sé stesso oppose, e non invan: d'Ullina
Pianser le desolate verginelle
Lungo il rivo natio: volgeano il guardo
Sospirando ai lor colli, e giù dai colli
Non scendea cacciator: silenzio e lutto
Possedea la lor terra, e udiansi i nembi
Soli fischiar per le deserte tombe.
Ma qual presaga di tempeste e venti
Aquila rapidissima del cielo
Move a sfidarli, e ne rattien la foga
Con le sue poderose ale sonanti;
Tal mosse alfin dalle morvenie selve
Il figlio di Tremmòr, braccio di morte,
Conarte il valoroso. Ei lungo Erina
La sua possa sgorgò: dietro il suo brando
Distruzion correa: di Bolga i figli
Fuggir da lui, qual da torrente alpino;
Che pel deserto rimugghiando scoppia
Da sfracellati massi, e boschi e campi
Seco avviluppa in vorticosi gorghi
Irreparabilmente, e via si porta.
Crotarre accorse274: ma d'Alnecma i duci
Fuggir di nuovo. Il re tacito e lento
Si ritrasse in sua doglia275. Ei poscia in Ata
Splendette ancor, ma d'una torba luce276,
Come d'autunno il Sol qualora ei move
Nella sua veste squallida di nebbia
A visitar di Lara i foschi rivi;
Goccia d'infetto umor l'appassita erba,
E benché luminoso, il campo è mesto.
Malaccorto cantor, perché risvegli
Alla presenza mia la rimembranza
Di chi fuggì? disse Catmòr277: s'è forse
Dall'oscure sue nuvole qualch'ombra
Fatta agli orecchi tuoi, perché tu tenti
Di sgomentarmi con novelle antiche?278
Abitatori di notturna nebbia,
Voi lo sperate indarno: a questo spirto
Non è la vostra voce altro che un vento
Atto solo a crollar mal ferme cime
D'ispidi cardi, e seminarne il suolo.
Altra voce mi suona in mezzo al petto,
Né l'ode altri che me; questa di mille
Guerre e perigli a fronte, al re d'Erina
Di fuggir vieta, ove l'onor l'appella.
Ammutissi il cantore, e lento lento
S'acquattò nella notte, e non rattenne
Qualche cadente lagrima, membrando
Con quanta gioja in altri giorni il duce
Porgeva orecchio al suo canto gradito.
Già dorme Erina; ma non scende il sonno
Sugli occhi di Catmòr; vid'ei lo spirto
Dell'oscuro Cairba errar ramingo
Di nembo in nembo, del funebre canto
Sospirando l'onor. S'alzò Catmorre;
E scorsa intorno l'oste sua, percosse
L'echeggiante suo scudo. Il suon sul Mora
L'orecchio mi ferì. Fillano, io dissi,
Il nemico s'avanza; io sento il picchio
Dello scudo di guerra: in quell'angusto
Passo tu statti; ad esplorar d'Erina
Le mosse io me n'andrò: se pur soccombo,
Se 'l nemico prorompe, allor percoti
Lo scudo tuo; risveglia il Re, che a sorte
La sua fama non cessi279. Io m'avviai
Baldanzoso nell'arme, un rio varcando
Che pel campo serpea, dinanzi i passi
Del signor d'Ata, e dall'opposta parte
Della verd'Ata il sir fecesi incontro
Ai passi miei con sollevata lancia.
Noi già già ci saremmo in tenebrosa
Orrida zuffa avviluppati e misti,
Quasi due spirti, che protesi e curvi
Da due caliginose opposte nubi,
S'avventano nel sen nembi e procelle:
S'Ossian non iscorgea brillar nell'alto
Il lucid'elmo del signor d'Erina.
Sventolavano all'aura alteramente
Le spaziose sue penne aquiline
In sul cimiero280, e una rossiccia stella
Sfolgorar si scorgea tra piuma e piuma.
Io rattenni la lancia. Oh! dissi, a fronte
Stammi l'elmo dei re. Chi sei? rispondi,
O figlio della notte; e s'egli accade
Ch'io t'abbatta sul suol, sarà famosa
D'Ossian la lancia? A questo nome il duce
Lasciò l'asta cader. L'alta sua forma
Fessi maggior: stese la destra, e disse
Le parole dei re: nobile amico
Dei spirti degli eroi, degg'io fra l'ombre
Incontrarti così? Spesso nei giorni
Delle mie feste io desiai sull'Ata
I passi tuoi di maestà ripieni281,
E 'l tuo spirto gentile: ed or la lancia
Deggio alzar contro te282? Splendesse almeno,
E risguardasse i nostri fatti il Sole,
S'è' pur forza pugnar. Futuri duci
Segneran questo luogo, e andran pensando
Con tremito segreto agli anni antichi.
L'additeran, come s'addita il luogo,
Ove l'ombre dei morti hanno soggiorno,
Che piacevol terrore all'alma inspira.
Che? rispos'io, dimenticanza forse
Se noi scontriamci in amistade e in pace,
Ci coprirà? forse è piacevol sempre
La memoria di stragi e di battaglie
Alle nostr'alme? e non ci assal tristezza
In rimirar delle paterne pugne
Gli orridi campi insanguinati; e gli occhi
Non s'impregnan di pianto? ove con senso
Di lieta gioja a risguardar si torna
Le sale in cui tra lor festosi un tempo
Fer di conca ospital cortese invito.
Parlerà questa pietra ai dì futuri
Col crescente suo musco, e dirà: quivi
Catmorre ed Ossian ragionaro in pace;
Generosi nemici, e guerrieri prodi.
Pietra, è ver, tu cadrai; verrà 'l torrente
Di Luba, e seco ti trarrà; ma forse
Lo stanco peregrin su questo colle
Addormirassi in placido riposo.
E quando poi l'intenebrata luna
Roterà sul suo capo, allor frammiste
Le nostre ombre famose ai sogni suoi
Entro il suo spirto desteran l'imago
Di questo loco, e questa notte istessa.
Ma perché taci, e ti rivolgi altrove,
Figlio di Borbarduto? Ossian, diss'egli
Non obliati ce n'andrem sotterra;
Saran fonti di luce i nostri fatti
Agli occhi dei cantori; ma intanto in Ata
S'aggira oscurità: senza il suo canto
Giace il signor d'Erina283. Era il suo spirto
Torbido e tempestoso,284 è ver; ma pure
Raggio di fratellevole amistade
N'uscia verso Catmòr, quasi da nembi
Affocati dal tuon, raggio di Luna.
Catmorre, io ripigliai, d'Ossian lo sdegno
Non alberga sotterra, e via sen fugge
Il mio rancor sovra aquiline penne
Da nemico giacente. Avrà Cairba
Il suo canto, l'avrà; datti conforto
Duce, la cura e' mia. S'alzò, s'espanse
L'anima dell'eroe, trasse dal fianco285)
Il suo pugnale; isfavillante il pose
Nella mia man,286 fiso mirommi, e muto
Sospirando partì. Gli sguardi miei
Lo seguitar: ma quei di fosca luce
Scintillante svanì, qual notturna ombra,
Che a peregrin s'affaccia, indi del giorno
Sul primo albor con mormorio confuso
Si ricovra tra i nembi: egli la guata,
Ma più e più la non compiuta forma
Impicciolisce, e si dilegua in vento.
Ma chi è quel, che dalle falde uscendo
Di nebbia del mattin,287 vien dall'erbosa
Valle di Luba? gocciagli la chioma
Delle stille del ciel; vanno i suoi passi
Pel sentier dei dolenti. Ah lo ravviso;
Carilo è questi, il buon cantore antico.
Vien dall'antro di Tura288: ecco lì l'antro
Nella rupe scavato. Ivi fors'anco
Riposa Cucullin, sul nembo assiso,
Che degli alberi suoi curva le cime.
Udiam: che dolce il mattutino canto
Sta sulle labbra del cantor d'Erina.289
Che scompiglio è sul mar? veggo affollarsi
L'onde tremanti, impaurite, o Sole,
All'appressar de' tuoi splendidi passi.
Sole del ciel, quanto è terribil mai
La tua beltà, quando vapor sanguigni
Sgorghi sul suol, quando la morte oscura
Sta ne' tuoi crini raggruppata e attorta!290
Ma come dolce è mai, come gentile
Tua viva luce al cacciator che stassi
Dopo tempesta in sul suo poggio assiso,
Mentre tu fuor d'una spezzata nube
Mostri la bella faccia, e obliquamente
Van percotendo i tuoi gajetti rai
Sul suo crin rugiadoso: egli alla valle
Rivolge il guardo, e con piacer rimira,
Rapido il cavriol scender dal monte.
Ma dimmi, o Sole, sino a quanto ancora
Vorrai tu rischiarar battaglie e stragi
Con la tua luce? e sino a quanto andrai
Rotando per lo ciel, sanguigno scudo?
Veggio morti d'eroi per la tua fronte
Spaziar tenebrose, e ricoprirti
La chiara faccia di lugubre velo.
Carilo, a che vaneggi? al Sole aggiunge
Forse tristezza?291 Inviolato e puro
Sempre è 'l suo corso, ed ei pomposo esulta
Nel rotante suo foco: esulta e rota
Secura lampa: ah tu fors'anche un giorno
Spegner ti puoi: caliginosa veste
Di rappreso vapor puote allacciarti292
Stretto così, che ti dibatta indarno,
Ed orbo lasci e desolato il cielo.
Siccome pioggia del mattin, che lenta
Scende soavemente in valle erbosa,
Mentre pian pian la diradata nebbia
Lascia libero il varco al nuovo Sole,
Tale all'anima mia scende il tuo canto,
Carilo amico. Ma di far co' versi
Leggiadra gara sull'erbetta assisi
Tempo questo non è: Fingallo è in arme;
Vedi lo scudo fiammeggiante, vedi
Come s'offusca nell'aspetto: intorno
Già tutta Erina gli si volve; or odi:
Quella tomba colà dietro quel rivo
Non la ravvisi, o Carilo293? tre pietre
V'ergono il bigio capo, e vi sta sopra
Fiaccata quercia: inonorato e basso
Vi giace un re: tu n'accomanda al vento
L'ombra negletta: è di Catmor fratello.
Schiudigli tu l'aeree sale, e scorra
Per lo tuo canto luminoso rivo,
Che l'oscura alma di Cairba irraggi.