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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Chi è quel grande là presso il pendente
Colle de' cervi, dell'ondoso Luba
Lungo il corso ceruleo? annosa pianta
Isbarbicata da notturni venti
Gli fa sostegno, ed ei sovrasta altero.
Quel grande e chi sarà? tu sei, possente
Progenie di Comàl294, che già t'appresti
L'ultimo ad illustrar de' campi tuoi295:
Sferzagli il vento il crin canuto: ei mezzo
Snuda l'acciar di Luno296; ha volto il guardo
Verso Moilena, onde l'armata Erina
Movea fremendo alla battaglia. Ascolta
Del Re la voce, ella somiglia a suono
D'alpestre rio. Scende il nemico, ei grida,
Sorgete o voi delle Morvenie selve
Possenti abitatori, e ad incontrarlo
Siatemi scogli del terren natio,
Per li cui fianchi romoroso indarno
Volvesi il flutto. Ah di letizia un raggio
Scendemi all'alma; è poderosa Erina.
Quando è fiacco il nemico, allor si sente
Di Fiangallo il sospir, che morte allora
Coglier potriami inonorata, e bujo
Ne involveria la taciturna tomba:
Ma chi fra' duci miei l'oste d'Alnecma
Farassi ad incontrar? se pria non giunge
All'estremo il periglio, il brando mio
Di sfavillar non ama. A' prischi tempi
Tal costume era il tuo, Tremmorre invitto,
Correggitor de' venti, e tal movea
Tràtalo il forte dal ceruleo scudo.
Ciascun dei duci a quel parlar pendea
Dal regio volto, e si scorgea negli atti
Misto a dubbiezza palpitar desio.
Ciascun tra labbro e labbro in tronche voci
Rammenta i propri fatti, e alterna il guardo
Ad Erina, a Fingàl: ma innanzi agli altri
Stavasi Gaulo non curante e muto.
Solo ei tacea, ché a chi di Gaulo ignote
Eran l'imprese? Esse al suo spirto innanzi
Tutte schierarsi, e la sua man di furto
Involontaria ricorreva al brando,
Brando che in lui trovò, poiché la possa
Mancò di Morni297, successor ben degno.
Ma d'altra parte crini-sparso, e chino
Sulla sua lancia addolorato in vista
Stava il figlio di Clato: egli tre volte
Alzò gli occhi a Fingàl; tre su le labbra
Mentre parlava, gli spirò la voce.
Che dir potea? vantar battaglie e guerre
Giovinetto non può; partissi a un tratto,
Lungo un rio si prostese, aveva il ciglio
Pregno di pianto, e dispettosamente
Con la riversa lancia iva mietendo
Gl'ispidi cardi: l'adocchiò Fingallo,
Che seguitollo il suo furtivo sguardo.
Videlo, e di letizia il sen paterno
Rimescolossi, tacito si volse
Inverso il Mora, e fra i canuti crini
La mal sospesa lagrima nascose.
Alfin s'udì la regal voce: o primo
Della stirpe di Morni, immoto scoglio
Sfidator di tempeste, a te la pugna
A prò del sangue di Cormano affido.
Non è la lancia tua verghetta imbelle
In fanciullesca man, né la tua spada
Scherzosa striscia di notturna luce.
Figlio d'egregio padre, ecco il nemico;
Guardalo, e struggi. E tu Fillan m'ascolta:
Mira del duce la condotta; in campo
Lento o fiacco non è; ma non s'accende
Di sconsigliato ardor: guardalo, o figlio;
Egli del Luba nella possa adegua
La correntìa; ma non ispuma o mugge.
Del Mora intanto nebuloso in vetta
Starommi a risguardarvi. Ossian del padre
Tu statti al fianco298; e voi cantori, alzate
Il bellicoso carme; al vostro suono
Morven scenda a pugnar: l'ultimo è questo
De' campi miei299: d'inusitata luce
La vostra man lo mi rivesta, o prodi.
Qual subitano fremito a sentirsi
Di vento sollevantesi, o lontano
Mareggiar di turbate onde, che oscura
Crucciosa ombra sommove, e ne le sbalza
Isola a ricoprir, che da molt'anni
Fu cupo seggio di stagnante nebbia;
Tale è 'l suon dell'esercito ondeggiante,
Che sul campo stendeasi. A tutto innanzi
Gaulo grandeggia: or quel ruscello, or questo
Tra' suoi passi zampilla: alzano i vati
Guerresche note: dello scudo accorda
Gaulo a quel suono il suon; strisciando i canti
Per le del vento sinuose penne.
I
«Là sul Crona un rivo sbocca;300
Di notte ingrossa, e sul mattin trabocca.
Allor sé stesso incalza
Di balza in balza,
E spuma e strepita,
E massi sgretola,
E piante sbarbica;
La morte rotola
Nell'onda che tuona
Fra tronchi e sassi:
Lungi dal Crona,
Lungi i miei passi;
Non sia chi d'appressarlo a me consigli.
Di Morven figli,
Siate in la vostra possa
Come l'onda del Crona allor che ingrossa».
II
«Ma sul carro fiammeggiante301
Là dal Cluta ondisonante,302
E chi mai sì fero appar?
Al suo aspetto turbarsi, crollarsi
Veggo i fonti,
Veggo i monti;
E il bosco
Rosso-fosco
Al suo brando vampeggiar.
Guardatelo,
Miratelo,
Come s'alza, come s'avventa!
E 'l nemico turba e sgomenta!
Sarebbe questa mai l'ombra di Colgaco303
Nubi-disperditor?
Dimmi, sarestù mai Colgaco indomito
Nembi-cavalcator?
No, no, che Morni è questo
Morni, sir dei destrieri304. O Gaulo, il padre
Guarda la tua battaglia;
Gaulo non tralignar; tuo padre uguaglia».
III
Già Selma si schiude305,
Già s'alzano i canti,
Già l'arpe tremanti
Si sente toccar.
Di snelli garzoni
Drappello giulivo,
Il tronco festivo306
Già gode portar.
Di gioja foriera
Piacevole auretta
Lusinga l'erbetta
Con dolce sospir.
E l'ultimo raggio
Del Sole che cede,
Già parte, già riede
Al nostro gioir.
Ecco carco di fama
Ritorna il Re307: ma perché muta o Selma?
Perché guati così? Selma t'intendo:
Non muggì la battaglia? or come il ciglio
Così di pace ha pieno?
Guerra venne, ei tonò; sparve, è sereno.
Fillan vivace,
Tuo padre in campo
Veggati un lampo, - e un vago raggio in pace.
Morven s'avanza a questo suono: un campo
Vedi di lance fluttuar sospeso,
Come d'autunno al variabil vento
Campo di giunchi. Il Re s'ergea sul Mora
Cinto dell'armi sue: cerulea nebbia
Facea corona al suo rotondo scudo
Ad un ramo sospeso. Al regio fianco
Muto io mi stava, ed avea fermo il volto
Sopra il bosco di Cromla308, onde lo sguardo
Non mi scappasse alla battaglia, ed io
Mi vi slanciassi nel bollor dell'alma,
Che di desio mi si gonfiava in petto.
Proteso ho un piè, sospeso l'altro, e d'alto
Splendea d'acciar: tale il ruscel di Tormo309
Mentre sta per cader, notturni venti
L'inceppano di ghiaccio: il fanciulletto
Lustrar lo scorge al mattutino raggio,
Qual già solea; tende l'orecchio; oh, dice,
Come sta così muto310? e pensa, e guata.
Né lungo un rivo neghittoso e lento
Sedea Catmòr, qual giovinetto imbelle
In pacifico campo: onda contr'onda
Torbida e grossa ei sospingea di guerra.
Vide Fingal sul Mora, e in lui destossi
Generosa alterezza311. E 'l duce d'Ata
Combatterà, quando a pugnar non scende
Di Selma il re? Va va, Foldan, conduci
Il popol mio; folgor se' tu. Si slancia
Il sir di Moma, somigliante a nube,
Veste di spettri, ed abbrancò la spada,
Bellicoso vapor: le mosse e i cenni
Diè della pugna: le tribù, quai solchi
D'onde ammontate, riversar con gioja
La gorgogliante possa. Altero il duce
Primo impronta la via: sdegno si volve
Nel regio sguardo. A sé chiamò Cormulte
Di Dunrato signor; Cormulte, ei disse,
Vedi tu quel sentier che obliquo serpe
Del nemico alle spalle? ivi nascondi
Le genti tue, che dal mio brando irato
Morven non fugga: e voi cantori, udite:
Non sia tra voi chi per costor la voce
Osi di sollevar. Son di Cairba
Costor nemici, e senza onor di canto
Debbon cadere: il peregrin sul Lena
Incontrerà la neghittosa nebbia,
Ove affaldate le lor torbid'ombre
Marciran nell'oblio312, né fia che quindi
Né le sviluppi, e le sollevi e scorga
Aura di canto alle ventose sale.
Mosse Cormulte intenebrato, il segue
Muta la squadra: rannicchiati e stretti
Dietro la rupe si calar: ma Gaulo
Gli codeggia coll'occhio, e a Fillan volto,
Tu vedi i passi di Cormulte; or vanne,
Sia forte il braccio tuo: quand'egli è basso,
Rammentati di Gaulo: io qui mi scaglio
Fra le file de' scudi. Alzasi il segno
Spaventoso di guerra, il feral suono
Dello scudo di Morni; a quel frammischia
Gaulo l'alta sua voce. Erto levossi
Fingal sul Mora, e d'ala in ala intorno
Vide sparsa la zuffa: a lui d'incontro
Lucida stava in sull'opposto giogo
La robustezza d'Ata313: i duo gran duci
Pareano appunto (altera vista e bella)
Due luminosi spiriti del cielo
Ambo sedenti in tenebrosa nube,
Quando dal grembo suo versano i venti
Scompigliator di rimugghianti mari:
Sotto i lor occhi s'accavalla e infrange
Fiotto con fiotto; mostruose moli
Scoppiano di balene, e d'immensa orma
Stampan l'ondoso disugual sentiero.
Quelli nel suo chiaror sereni e grandi
Si risplendono a fronte, e l'aura addietro
Sventola i lunghi nebulosi crini.
M'inganno? o scorgo una focosa striscia
Perder nell'aere? e che sarà? di Morni
Il folgorante acciaro: armati ed arme
Tu affasci o Gaulo; ove tu volga il passo
Pullula morte. Ahimè! Turlato cade
Qual giovinetta quercia incoronata
Di frondeggianti rami. In riva al Moro
Dorme la sposa ricolmetta il seno
Fra l'errante suo crin: dorme, ma stende
Ne' sogni suoi le biancheggianti braccia
Al suo duce che vien: misera Oicòma!314
Questa è l'ombra di lui; Turlato giace,
Vane son tue lusinghe; è vano ai venti
Tender l'avido orecchio a corre il suono
Dell'echeggiante scudo: il suono è spento,
Spento per sempre; il tuo diletto è un'ombra.
Né già pacata di Foldan la destra
Pendea sul campo: per stragi, per sangue
Volvesi; in lui Conàl si scontra; acciaro
Con acciar si frammischia. Ah! con quest'occhi
Degg'io vederlo? o mio Conal, son bianchi
I crini tuoi: te de' stranieri amico
Membra Dunlora315 tua, membra la rupe
Ricoperta di musco: allor che il cielo
Rotolava i suoi veli, il tuo convito
Largo spandeasi; e 'l peregrin assiso
Presso l'accesa quercia, udia tranquillo
Romoreggiar per la foresta il vento.
Ma canuto se' tu, possente figlio
Di Ducaro possente; ah perché nuoti
Nel sangue tuo? sopra di te si curva
Sfrondata pianta, il tuo spezzato scudo
Giaceti appresso, e al rio mescesi il sangue.
Ghermii la lancia, e da furor sospinto
Scendea tal morte a vendicar: ma Gaulo
Mi pervenne ed accorse: i fiacchi a lato
Passangli illesi: sol di Moma il duce
Segno è dell'ira sua. Da lungi in alto
Cenno si fean le micidiali spade.
Acuto stral giunse di furto, e a Gaulo
Fere la man, cade l'acciaro a terra
Forte sonando: il pro' garzon di Selma
Giunge anelante innanzi al Duce, e a un punto
Ampio stesegli appiè sanguigno scudo,
Lo scudo di Cormulte316. Urlò Foldano
Al soccorso improvviso, e 'l feroce urlo
Tutto raccese il campo suo, qual suole
Soffio di vento, che solleva e spande
Pel frondoso di Lumo arido bosco
Rapida spaziosa ala di fiamma.
Figlia di Clato, ah, disse Gaulo, un raggio
Se' tu del cielo; al balenar gentile,
Spianasi il mar rimescolato, e ai nembi
Cadono vinte le rugghianti penne.
Giacque Cormulte a' piedi tuoi, per tempo
Raggiungi tu l'avita fama. O prode,
Non ti spinger tropp'oltre; in tuo soccorso
Rizzar l'asta io non posso; inerme in campo
Restar degg'io; ma la mia voce almeno
Combatterà con te: Morven il suono
Ne ascolterà, di bellicosi fatti
Confortator. La poderosa voce
S'alzò nell'aere, ben diversa allora
Da quella, onde solea di Strumo in riva
Dar della caccia il segno. I guerrier suoi
Curvansi nella mischia; egli nel mezzo
Fermo e grande si sta, qual quercia annosa
Di tempesta accerchiata; in giù dai venti
Pende fiaccato un noderoso ramo:
Ella non cura, e radicata e vasta
Sbatte e soverchia coll'aerea cima
La nebbia che l'ingombra, asilo e segno
Di meraviglia al cacciator pensoso.
Ma te, Fillan, segue il mio core, e calca
L'ampio sentier della tua fama: il campo
Falcia la destra tua: monti d'ancisi
Fanno inciampo al tuo piè. Foldan, la notte
Scese a tempo in tuo pro: Lena si perde
Tra le sue nubi. Di Catmorre il corno,
La voce di Fingal suonaro a un punto.
Morven l'intese, e con ansante foga
Sen corse al Mora strepitando: i vati
Quasi rugiada riversaro il canto
Raddolcitor di bellicosi affanni.
I
Chi vien da Strumo a passo lento e tardo,317
Coll'ondeggiante crin?
Volge ad Erina318 sospirosa il guardo,
Il bel guardo azzurrin.
Bella Evircòma, e chi 'l tuo duce uguaglia?
Tema non turbi il sen.
Raggio di foco egli volò a battaglia,
Raggio di luce ei vien.
Sol ch'egli alzi la spada,
Forza è che senza scudo,
Di schermo ignudo - ogni guerrier sen cada.
II
Dolce letizia, qual piacevol aura319,
L'alma restaura - del gran Re possente:
Fervongli in mente - i fatti alti e leggiadri
D'avi e di padri - che son ombra e polve;
E dentro volve - dissipati e spersi
Popoli avversi, - e le memorie amiche
D'imprese antiche; - ed ha fondata speme
Che di valore il seme
Per lui s'eterni; or che, fermando il ciglio
Nell'onorato figlio,
Vede de' padri suoi, siccome ei brama,
Tutta avvivarsi e rinverdir la fama.
Come s'allegra il Sole in oriènte
Sopra un fecondo e vivido arboscello,
In ch'ei col genial raggio possente
Sparse il vital vigor che lo fa bello:
Ei le fiorite chiome alteramente
Spiega, dolce lusinga al venticello;
Cedon le minor piante, e 'l cielo arride:
Così Fingallo al suo Fillan sorride.
III
Quale il suono - del tuono sul monte320
Quando al cielo s'offusca la fronte:
Tutto a Lara nel suo corso
Trema il dorso;
Tale il suono di Morven festosa,
Romorosa,
L'alma scote, - l'orecchio percote
Di profondo - giocondo terror.
Tornan essi risonanti,
Siccom'aquile rombanti,
Che s'affrettano anelanti
Alle case frondeggianti;
Già del sangue ancor fumanti
Di cervetti saltellanti,
Di capretti palpitanti,
Che restar conquisi e infranti
Dall'artiglio sbranator.
Figli di Cona ondosa, a risguardarvi,
Di meraviglia gravi,
Fuor degli aerei chiostri,
Vengono i padri vostri, - e vengon gli avi».
Tal fu dei vati la canzon notturna
Sopra il Mora de' cervi. Alzasi un foco
Di cento querce rovesciate; in mezzo
Ferve il convito: vi fan cerchio intorno
I rilucenti eroi; fra lor Fingallo
Facile a ravvisarsi. Al mormorante
Soffio inegual d'occidentali venti
Fischiar s'udiano l'aquiline penne,
Cimier dell'elmo; ei lungo tratto in giro
Volge alternando i taciturni sguardi.
Alfin parlò: Sente il mio cuore un vuoto
Nella nostra letizia, e tra' miei fidi
Scorgo una breccia: d'una pianta altera
Bassa è la cima; urla tempesta in Selma.
Ov'è 'l sir di Dunlora? al mio convito
Obliarlo dovrò? Quand'egli ha mai
Straniero o peregrin posto in oblio
Al convito, alla festa? E pur si tace?
Ah! Conàl non è più: rivo di gioia
Ti scontri, o duce; e rapida ti porti
Falda di vento alle paterne sale.
Ossian, facella è l'alma tua: n'accendi
La memoria del Re; sveglia le prime
Scintille di sua gloria. Era canuta
La chioma di Conallo: i suoi verd'anni
Frammischiarsi co' miei; nel giorno istesso
Ducaro primamente agli archi nostri
Pose le corde, e a farne prova uscimmo
Contro i cervetti di Dunlora.321 Assai,
Diss'io, Conallo, assai calcammo insieme
Sentier di guerra, e ci mirar più volte
I verdi colli d'Inisfela e l'onde
Videro biancheggiar le nostre vele,
Quando alla schiatta di Conarte aita
Recammo armati322. Per Alnecma un tempo
Ruggìa battaglia appo Dutùla323 ondoso.
Dalle di Morven nebulose vette,
Il buon Cormano324 a sostener discese
Ducaro, e non già sol; la di Conallo
Lungo-crinita giovinezza a lato
Stavagli: il garzon prode allor la prima
Ergea delle sue lance; al re d'Erina
Porger soccorso era tuo cenno, o padre.
Uscir con forte impetuosa piena
Di Bolga i figli: precedea Colculla325,
Il signor d'Ata; su la piaggia inonda
La marea della zuffa: ivi Cormano
Brillò di viva luce, e de' suoi padri
La fama non tradì: lungi dagli altri
Di Dulnora l'eroe fea strage e scempio
Del campo ostile, e del paterno braccio
Seguia Conàl le sanguinose tracce.
Pur prevalse Ata: il popolo d'Ullina
Fuggì sperso qual nebbia: allora uniti
Di Ducaro e Conallo i forti acciari
Dier prove estreme di lor posse, e fersi,
Quai due rupi di pini irte le fronti,
Ai nemici, ai compagni inciampo ed ombra.
Scese la notte: dalla piaggia i duci
Si ritrasser pensosi: un rivo alpestre
Al lor cammin s'attraversò; saltarlo
Ducaro non potea326. Perché s'arresta
Il padre mio? disse Conallo, io sento
Il nemico che avanza: ah fuggi, o figlio,
Disse l'eroe, la possa di tuo padre
Già vacilla, e vien meno: alta ferita
Toglie al piè la sua lena; infra quest'ombre
Lascia ch'io mi riposi. Oimè! qui solo
Non rimarrai tu già, Conàl soggiunse
Con profondo sospir, d'aquila penna
Sarà 'l mio scudo a ricoprirti: ei mesto
Curvasi sopra il padre; invano; e' morto.
Il dì spuntò, tornò la notte; alcuno
Non apparia dei buon cantor solinghi,
In lor profondo meditare avvolti,
Per dar lode all'estinto: e che? potea
Conàl la tomba abbandonar del padre,
Pria che l'onor della dovuta fama
Sciolto gli fosse? Di Dartùla i cervi
Egli ferì di trascurati colpi,
E diffuse il convito: alcun non giunge.
Ei sette notti riposò la fronte
Sulla tomba di Ducaro: lo scorse
Avviluppato di nebbiose falde,
Quasi vapor sopra il cannoso Lego.
Alfin venne Colgàn,327 Colgàno, il vate
Dell'eccelsa Temòra; egli di fama
Sciolse l'omaggio al morto eroe; sul vento
Ducaro salse, e sfavillonne: il figlio
Lieto si volse ad onorate imprese.
Dolce lusinga ad un regale orecchio,
Verace suon di meritata lode,
Disse Fingal, quando è sicuro e forte
L'arco del duce, e gli si stempra il core
Alla vista del mesto. In cotal guisa,
Sia famoso il mio nome, allor che i vati
Co' vivi canti al dipartir dell'alma
Aleggeran la nebulosa via.
Carilo vanne, e coi cantori tuoi
Alza una tomba, ivi Conàl riposi
Nell'angusto abituro: ah non si lasci
Giacer pasto di nebbia alma di prode.
Manda la luna un deboletto lume
Sul boscoso Moilena; a' raggi suoi,
A tutti i prodi che cader pugnando
S'ergan pietre funebri; ancor che un duce
Ciascun non fosse, pur robuste in guerra
Fur le lor destre; ne' perigli miei
Essi furo il mio scoglio, ed essi il monte,
Ond'io presi a spiegar d'aquila il volo.
Quindi chiaro son io. Carilo, i bassi
Non si scordin da noi. Canto di tomba
Alzano i vati. Carilo precede;
Seguon quei gorgheggiando; e la lor voce
Rompe il silenzio delle basse valli,
Che giacean mute co' lor poggi in grembo.
Intesi il lento degradar soave
Del canto dilungantesi, e ad un punto
L'anima isfavillò; balzai repente
Dal guancial dello scudo, e dal mio petto
Scoppiar rotte, incomposte, impetuose
Note di canto. Ode così talvolta
Vecchia dal verno dischiomata pianta
Il sibilo gentil di primavera;
Odelo, e si ravviva, e si fa bella
Di giovinette spoglie, e scote al vento
Le rinverdite sue tremule cime.
Dolce ronzio di montanina pecchia
Errale intorno, e al rinnovato aspetto
Dell'erma piaggia, il cacciator sorride.
Stava in disparte il giovincel di Clato,
Raggio di Selma; avea disciolto il crine,
L'elmetto a terra scintillava. A lui
Del Re la voce si rivolse, ed egli
L'udì con gioia. O figlio mio, del padre
Tue chiare gesta rallegraro il guardo.
Meco stesso diss'io: l'avita fama
Scoppia dalla sua nube, e si riversa
Sul figlio mio: sei valoroso in guerra,
Sangue di Clato, il pur dirò; ma troppo
Temerario t'avanzi: in cotal guisa
Non combatteo Fingal, benché temenza
Fossegli ignoto nome. Alle tue spalle
Sienti le genti tue riparo e sponda.
Son esse il nerbo tuo. Così famoso
Sarai tu per lunghi anni, e de' tuoi padri
Vedrai le tombe. E' mi ricorda ancora,
Quando dall'oceàn la prima volta
Scesi alla terra dall'erbose valli.
Io mi sedea...328 Noi ci curvammo allora
Ver la voce del Re: s'affaccia agli orli
Di sua nube la luna, e si fa presso
La nebbia, e l'ombre de' nebbiosi alberghi
Già di vaghezza d'ascoltarlo accese.